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«Perché?» chiese il ragazzo appoggiandosi allo schienale del divano per aumentare di nuovo la distanza tra di loro.

«Così», rispose Matthew sporgendosi sull’orlo della poltrona. Nemmeno lui aveva la minima idea delle intenzioni di Thora. «Fai il bravo e tira su le maniche per la signora.»

Halldor diventò nerissimo in volto, ma Matthew sostenne con durezza il suo sguardo finché lui improvvisamente perse coraggio e si tirò su le maniche. «Ecco», disse con odio mostrando le braccia. Thora si piegò in avanti, controllò e sorrise. «Crap?» disse poi leggendo il tatuaggio del braccio destro, appena al di sopra del polso.

«Sì, e con ciò?» ribatté Halldor rimettendo giù le maniche.

«No, solo che è una bella coincidenza. Anche la persona che ha eseguito l’operazione alla lingua aveva un tatuaggio tale e quale il tuo.» Indicando con un sorriso il polso, Thora aggiunse: «Me lo puoi spiegare?»

«Non saprei», rispose Halldor impacciato, si passò le dita tra i capelli e socchiuse gli occhi. «Va bene, va bene, l’ho fatta io l’operazione. Eravamo a casa di Hugi. Harald aveva insistito per mesi, e alla fine ho acconsentito. I ferri li ho presi in prestito dall’ospedale, e gli anestetici li ho rubati in sala operatoria. Nessuno si è accorto di niente. Hugi mi ha dato una mano. È stato uno schifo, ci siamo coperti di sangue. Però il risultato sì che era da sballo.»

«Non so se all’ospedale sarebbero contenti se venissero a sapere che hai rubato delle medicine, dico bene?»

«No, certo che no. Per questo motivo non vorrei che il fatto trapelasse. Anche perché non so se la gente capirebbe, e io non voglio essere bollato come uno psicopatico.»

Matthew scrollò la testa e decise all’improvviso di cambiare argomento. «Tu sei sicuramente un esperto di certe cose… Ti sei accorto se per caso Harald praticasse lo strangolamento erotico, sai, per ottenere un orgasmo più accentuato?»

Halldor diventò rosso come un gambero. «Non mi metto certo a discutere queste cose con voi», tagliò corto.

«Perché no?» domandò Matthew. «Chissà, forse è proprio quello che ha portato Harald alla morte.»

Le ginocchia di Halldor andavano su e giù mentre batteva il ritmo con i piedi sul parquet a specchio. «No, non è morto così», disse a bassa voce.

«Come fai a saperlo?»

La cadenza che Halldor batteva con i piedi si fece ancora più vivace, mentre lui rimaneva in silenzio. Né Thora né Matthew dicevano alcunché, limitandosi ad aspettare. Alla fine lui tirò un profondo respiro e riprese a parlare: «Non so che diavolo c’entri, comunque conoscevo le sue perversioni sessuali, okay?»

«Come le conoscevi?» chiese Matthew freddamente.

I piedi di Halldor si bloccarono. «Perché me l’aveva detto lui stesso. Anzi, mi aveva proposto di farlo anch’io.»

«E tu l’hai fatto?» chiese Thora.

«No», fu la risposta decisa del ragazzo, alla quale Thora credette. «Di cose sballate ne faccio molte, ma quella è una delle più idiote che abbia visto.»

«Visto?» ripeté Matthew.

Halldor arrossì. «Cioè, non visto letteralmente. È stato un lapsus. Mi ci sono ‘imbattuto’, ecco la parola giusta.» Poi abbassò lo sguardo verso il pavimento. «È successo lo scorso autunno. Io mi ero addormentato su quel divano dopo un party scatenato, e mi svegliai a notte fonda sentendo dei versi strani.» Rialzò lo sguardo verso Matthew. «Non so perché mi svegliai proprio in quel momento, dato che la maggior parte delle volte rimanevo fuori combattimento fino al giorno dopo, fatto sta che aprendo gli occhi mi accorsi che Harald stava dando via l’anima! Stava letteralmente soffocando e aveva le convulsioni.» Thora si accorse che il giovane rabbrividì nel rivangare questa storia. «Gli tolsi come meglio potevo la cintura che gli stringeva il collo, ma non fu una cosa semplice, perché aveva legato l’estremità al termosifone. Poi gli feci la respirazione bocca a bocca, e lo salvai in extremis.»

«Sei sicuro che invece non stesse tentando di suicidarsi?» gli chiese Thora.

Halldor la guardò e scosse la testa. «No, non era un tentativo di suicidio. Credetemi. E non mi va di descrivervi il suo stato nei minimi particolari.» Ora era arrivato per Thora il turno di arrossire, al che Halldor sembrò riprendersi e proseguì più sicuro di prima. «Parlandone in seguito con Harald, mi spiegò senza remore quello che aveva cercato di fare. Anzi, spronò anche me a provare quel tipo di sesso, che secondo lui provocava una delle sensazioni più intense che avesse mai sperimentato. Eppure era quasi arrivato al punto di morire soffocato, e lo sapeva bene. Si era veramente spaventato, sapete?»

«Cosicché tu non credi che ci abbia riprovato?» domandò Matthew.

«No, sicuramente no. Beh, in effetti non posso esserne certo, comunque si prese un bello spavento.»

«Ti ricordi quando è stato?»

«La sera prima dell’11 settembre», fu la sua pronta risposta.

Matthew annuì, la testa piena di pensieri. Poi guardò Thora e le disse in tedesco: «Dieci giorni dopo avrebbe cambiato il suo testamento». Thora annuì, certa ormai che Halldor fosse l’erede islandese di cui si faceva cenno nell’atto. Avendogli appena salvato la vita, Harald gli sarà stato riconoscente, rifletté.

«Vi siete dimenticati che il tedesco lo capisco», Halldor disse con un sorriso maligno.

Matthew gli domandò di rimando altrettanto malignamente: «Hugi ci ha detto che Harald molto spesso ti trattava male, e addirittura davanti a tutti. Che ti umiliava, insomma. Non ti scocciava la cosa?»

Halldor sbuffò. «Bah! Harald non era, come vi ho già detto, una persona come le altre. Poteva dominarci tutti senza smettere di essere divertente. Di solito con me era un angelo, soprattutto quando eravamo noi due soli, mentre qualche volta, in compagnia, si comportava come un bastardo. Io non me la prendevo per niente, anche perché Harald dopo mi chiedeva sempre scusa.»

Thora era del parere che si trattasse di una menzogna, poiché si vedeva chiaramente che il ragazzo quegli scherzi non li sopportava affatto. Ma non sarebbe servito a niente continuare a fargli domande sulla questione. «Riguardo invece alle ricerche di Harald, che cosa puoi dirci di importante? Potresti descriverci che genere di assistenza gli fornivi?»

Halldor rispose immediatamente, risollevato dal cambiamento di rotta. «Lo aiutavo con le traduzioni, e qualche volta con le ricerche, ma era lui ad andare un po’ dappertutto, anche in luoghi con cui non vedevo alcun nesso. Certo, non sono uno storico e non mi intendo di storiografia, ma lui saltava da un argomento all’altro. Per esempio, mi chiedeva di tradurgli un documento e all’improvviso mi faceva passare a tutt’un altro testo, e così discorrendo.»

«Potresti farci qualche esempio di materiale a cui era interessato?» domandò Matthew.

«Sì, a grandi linee. All’inizio tradussi alcuni capitoli della tesi di dottorato di Olina Thorvardardottir sull’epoca dei roghi contro gli stregoni, poi Harald seppe che nell’antica sede culturale di Skalholt alcuni libri sulla magia circolavano in segreto fra i seminaristi. Se ben ricordo, aveva sottomano anche un’epistola scritta in danese, che non potei tradurgli alla perfezione perché in quella lingua non sono molto ferrato. Comunque feci del mio meglio. Si parlava di un messaggero e di un qualcosa che non capii bene, ma doveva essere della massima importanza, visto che da quel momento Harald cambiò completamente il corso delle sue ricerche. Dalle persecuzioni contro chi praticava la magia nera passò al secolo precedente, o giù di lì. Ricordo di avergli tradotto un testo proveniente dalla Descrizione d’Islanda di Oddur Einarsson, vescovo di Skalholt, risalente al 1590. L’argomento era il vulcano dell’Hekla e la storia di un uomo che impazzì per averlo scalato e aver guardato dentro il cratere. Harald aveva un interesse particolare per l’eruzione dell’Hekla del 1510, per il vescovo Jon Arason e la sua decapitazione nel 1550, e per il vescovo Brynjolfur Sveinsson. E poi di colpo volle sapere tutto sugli eremiti irlandesi, tornando indietro di parecchi secoli dal punto in cui era partito. Quando venne ucciso praticamente era tornato alle origini, cioè all’epoca della colonizzazione del Paese.»