Thora rise assieme al pilota come se lo sapesse benissimo pure lei, anche se in cuor suo aveva sperato che qualcuno li accompagnasse al Museo della Magia. «Vieni, non è lontano», disse a Matthew, trascinandolo via prima che esternasse la sua contrarietà. I due attraversarono la statale, completamente deserta, fino alla stazione di servizio e al negozietto lì di fronte. Entrarono dal benzinaio e chiesero informazioni sulla strada da fare. La ragazzina che lì servì si dimostrò molto gentile e uscì perfino fuori dal negozio per indicare loro il percorso, qualche centinaio di metri al massimo. Non avrebbe potuto essere più facile: dritti per la strada principale, poi al lungomare e lì, accanto all’imbocco del porticciolo, il museo. Un edificio nero, con il tetto verde di torba, che si poteva vedere già da lontano.
«Mi rivengono in mente le foto del computer di Harald quando vedo queste strade», disse Thora incamminandosi, lo sguardo che si posava qua e là per osservare il panorama.
«C’erano molte foto scattate qui? Foto importanti, intendo dire.»
«No, niente di interessante. Le tipiche foto turistiche, eccetto quelle scattate dentro il museo, dove tra l’altro è vietato fotografare», proseguì costeggiando la lastra di ghiaccio che occupava quel tratto di strada. «Attento!» disse a Matthew, che la scavalcò con una falcata. «Le tue scarpe non sono certo adatte a questo tipo di strade», commentò guardandogli le lucide scarpe nere, in stile con il resto del suo abbigliamento: pantaloni ben stirati, una camicia e un cappotto di lana che gli cadeva a pennello sopra il ginocchio. Lei invece indossava un paio di jeans, delle scarpe da passeggio e il giubbotto di piumino che Matthew detestava. Lui aveva evitato di criticarlo apertamente, accontentandosi di sollevare le sopracciglia quando era andato a prenderla e Thora si era infilata a fatica dentro l’auto, il busto triplicato di volume.
«Non mi sarei mai immaginato di dover fare della strada a piedi», rispose Matthew irritato. «L’uomo mi avrebbe dovuto avvisare ieri.» Con «l’uomo» intendeva dire la persona con la quale aveva parlato il giorno precedente, per assicurarsi di non trovare il museo chiuso.
«Ti fa bene una bella passeggiata, e ti insegna a non fare sempre lo snob», riprese Thora. «Qui in Islanda non serve a niente mettersi gli abiti buoni. Ora sbrigati, sennò ti trascino in paese e ti faccio comprare un maglione di lana!»
«Quello mai!» esclamò Matthew. «Dovresti prima passare sul mio corpo.»
«Quel giorno verrà prima che te ne accorga», disse Thora di rimando. «Ma non hai freddo così? Vuoi che ti presti il mio di maglione?»
«Ho già prenotato l’albergo di stasera, l’Hotel Ranga», lo informò Matthew per cambiare immediatamente discorso. «Lì intendo prendermi a noleggio una jeep invece dell’utilitaria che stiamo usando.»
«Vedi? Stai per diventare un islandese purosangue.»
Finalmente giunsero al museo, senza nemmeno cadere sul ghiaccio. Dall’esterno pareva un edificio vecchio stampo. Lo spiazzo antistante l’entrata era circondato da un basso muretto di pietre ricoperto di sabbia marina, con dei tronchi d’albero sparsi qua e là dalle maree. La porta del museo invece era rosso fiammante, per nulla in tono con il colore ocra della costruzione. Su una panchina di legno accanto all’entrata c’era un corvo ben pasciuto, che al loro arrivo guardò in alto, spalancò il becco ed emise un suono gracchiante. Poi sbatté le ali e svolazzò sul frontone del tetto, da dove li seguì con lo sguardo mentre entravano. «Molto appropriato», disse Matthew aprendo la porta rossa a Thora.
All’interno videro subito il bancone della cassa sulla destra e davanti a loro la bacheca con i prodotti e i souvenir in vendita per i visitatori, il tutto molto lindo e ben curato. Dietro il bancone sedeva un giovane che sollevò lo sguardo dal giornale. «Buongiorno. Benvenuti al Museo della Magia di Strandir.»
Thora e Matthew sì presentarono, e il ragazzo spiegò che li stava appunto aspettando. «Io sono qui solamente di riserva», aggiunse dando loro la mano e presentandosi a sua volta. «Thorgrimur…» La sua stretta era di quelle di un tempo, forte e rassicurante. «Il soprintendente del museo si è preso un anno sabbatico, spero che la cosa non vi crei un problema.»
«No, va benissimo», rispose Thora. «Da quello che ci risulta, eri qui tu lo scorso autunno, vero?»
«Sì, ho cominciato a lavorare qui a luglio.» Poi guardò Thora con curiosità e disse: «Posso chiederle perché mi sta facendo questa domanda?»
«Come il signor Reich le ha già detto al telefono ieri, stiamo facendo delle ricerche su una persona che aveva come hobby la magia. Ci risulta da altre fonti che si sia recato fin quassù lo scorso autunno, e ci è venuto in mente di venire a vedere questo posto, nella speranza di ottenere ulteriori informazioni sulle sue abitudini. Anche perché penso proprio che lei si ricordi di lui.»
Il custode si mise a ridere. «Non ne sarei così sicuro. Qui vengono molti visitatori.» Poi si rese conto che loro due erano al momento gli unici ospiti del museo, e si affrettò ad aggiungere con tono imbarazzato: «In questo periodo ovviamente non c’è quasi nessuno, ma nell’alta stagione è pieno di turisti.»
Matthew gli inviò un blando sorriso. «Sa, questa persona è una di quelle che non si dimenticano facilmente. Si tratta di uno studente di Storia originario della Germania, con un aspetto non certo ortodosso. Si chiamava Harald Guntlieb ed è stato ucciso poco tempo fa.»
Il volto di Thorgrimur si illuminò. «Ah sì, quello che era tutto… come dire… tutto decorato!»
«Sì, se si può parlare di decorazioni…» assentì Thora.
«Certo, me lo ricordo benissimo. Venne quassù con un altro tizio, il quale però non se la sentì di entrare perché aveva i postumi di una sbronza. L’omicidio è comparso spesso sui giornali, eh?»
«Sì, esattamente», disse Matthew. «Il suo compagno, quello reduce dalla sbornia, sa forse chi era esattamente?»
Il custode scosse il capo. «Non direi, comunque il vostro amico me lo presentò come un dottore quando ci congedammo, però credo che stesse solo scherzando. Infatti dovette svegliarlo con urla e botte prima di andarsene. Io li guardai dalla soglia del museo e pensai che non aveva per niente l’aria del medico, stravaccato com’era sulla panca di fuori e ancora mezzo ubriaco.»
Thora guardò Matthew e i due si scambiarono un’occhiata d’intesa. Era Halldor, non c’erano dubbi.
«Si ricorda cos’altro avvenne durante la loro visita?» chiese Thora.
«Sì, quel tizio mi colpì perché sapeva parecchie cose. A me piace molto ricevere la visita di gente con una profonda cultura storica, soprattutto nei confronti della storia della magia nera. Di solito chi viene quassù non sa un bel niente, e quasi nessuno conosce più ormai la differenza tra uno spettro e una larva, tanto per dire.» E dallo sguardo dei suoi interlocutori, Thorgrimur capì che i due facevano parte di quest’ultimo gruppo. «Che ne dite se cominciamo a visitare il museo, in modo che io possa spiegarvi a grandi linee gli oggetti presenti nella nostra mostra permanente? In seguito possiamo discutere del vostro amico.»
Thora e Matthew si guardarono reciprocamente, fecero spallucce e seguirono il ragazzo dentro il museo.
«Non so bene quanto siate al corrente di queste faccende, quindi comincerei da una spiegazione dello sfondo culturale della magia.» Thorgrimur si diresse verso una parete dalla quale pendeva la pelliccia di un piccolo animale. La pelle era voltata verso il muro, e sul retro era stata disegnata una runa magica molto più complicata di quella incisa sul corpo di Harald. Sotto la pelle era stato affisso al muro un cassettino di legno che assomigliava a una specie di antico portapenne. Ne spargevano dei ciuffi di capelli, tra i quali si intravedeva una moneta d’argento. Nel coperchio era tracciata una runa magica molto semplice e vi era posato un mostriciattolo che assomigliava a un piccolo porcospino.