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Thora si rimise diritta. «Esiste un elenco di tutte le rune magiche?»

«No, stranamente no. Nessuno si è ancora preso la briga di redigerne un catalogo, a quanto mi risulta.» Con un ampio gesto della mano, il custode precisò: «In questi pochi volumi e codici in mostra qui da noi sono contenuti parecchi simboli magici, eppure non costituiscono che una frazione ridotta di quanto già conosciamo. Un campionario niente affatto esauriente».

Peccato. Sarebbe stato troppo bello se Thorgrimur le avesse potuto consegnare una lista completa di rune per decifrare quella incisa su Harald. Spostandosi per ammirare altri oggetti, Thora arrivò a una bacheca collocata in mezzo alla sala e iniziò a girarvi attorno. All’improvviso Matthew ebbe un’illuminazione.

«Che lettera è questa qui?» chiese eccitato colpendo il vetro con l’indice.

«Quale, scusi?» domandò Thorgrimur avvicinandosi a sua volta al codice.

«Questa runa», ribadì Matthew indicandola.

Thora si chinò per vedere quello che Matthew stava indicando, e capì subito il motivo del suo entusiasmo. Era uno dei pochissimi simboli magici che conosceva di persona: esattamente quello inciso sul petto di Harald. «Che diamine», esclamò a bassa voce.

«Questa in fondo alla pagina?» chiese intanto Thorgrimur indicando un’altra lettera.

«No», sbuffò Matthew. «Questa in margine alla pagina. Qual è il suo scopo?»

«Beh, non saprei proprio… Purtroppo non vi posso aiutare. Il testo della pagina non si riferisce al simbolo disegnato. Questo è il classico esempio di una runa magica che il proprietario del codice ha vergato lui stesso sul margine. La cosa non era rara, anzi tali aggiunte si rinvengono in numerosi altri manoscritti che non trattano nemmeno di magia.»

«Come si chiama questo codice, allora?» chiese Thora mentre cercava di leggere il testo.

«Si tratta di un manoscritto del Seicento appartenente al Regio Istituto di Antichità Classiche di Stoccolma. È comunemente chiamato Libro di magia islandese perché non si conosce il nome dell’autore. Vi si trovano una cinquantina di formule magiche di vario genere, la maggior parte delle quali semplici e innocenti, come quelle mirate ad aumentare le probabilità di riuscita in qualche impresa o a difendere la gente da qualche nemico.» Thorgrimur si piegò per poter leggere lo stesso testo che Thora aveva cercato di decifrare. «Comunque ne riporta anche alcune molto più sinistre. Una formula è il cosiddetto incantesimo della morte, riservato a chi vuole liberarsi di un avversario. Pure uno dei due incantesimi erotici qui elencati è piuttosto macabro.» Il ragazzo si rialzò dalla bacheca. «Curioso! Anche il vostro amico aveva un interesse particolare per questa sezione della mostra, cioè per i libri e i manoscritti.»

«Le ha per caso chiesto informazioni proprio su questa specifica runa?» domandò Matthew.

«No, a quanto mi ricordi. Comunque io non sono un esperto di questo tipo di magie e per questo non lo potei aiutare come sperava. Però mi ricordo che lo misi in contatto con Pall, il soprintendente in carica qui, che di magia ne sa più di chiunque altro.»

«Dove possiamo trovarlo?» chiese Matthew, che stava entusiasmandosi alla nuova pista.

«Qui sta il problema. Ora si trova all’estero.»

«E con ciò? Non gli si può telefonare o mandargli una e-mail?» domandò Thora, non meno emozionata. «Per noi è importantissimo conoscere il significato di questa runa.»

«Beh, il suo numero dovrei averlo qui da qualche parte», rispose Thorgrimur assai più pacato di loro due. «Penso però che sia meglio se prima lo chiamo io per comunicargli il vostro interesse sulla questione.»

Thorgrimur tornò con Thora e Matthew al suo bancone e tirò fuori un’agendina che si mise a sfogliare. Poi sollevò la cornetta e compose un numero facendo in modo che loro non lo vedessero. Dopo un attimo di silenzio, cominciò a dettare un messaggio sulla segreteria telefonica dall’altra parte della linea. Infine li raggiunse. «Purtroppo non risponde. Comunque vi telefonerà di sicuro non appena ascolterà il messaggio. Probabilmente questa sera stessa, forse domani o al massimo dopodomani.» Thora e Matthew gli consegnarono i loro biglietti da visita, non riuscendo a nascondere la loro delusione per come era andata la telefonata. Thora lo pregò di informarli immediatamente non appena fosse riuscito a contattare Pall, e Thorgrimur rispose che non c’erano problemi di sorta, quindi ripose i biglietti dentro l’agendina.

«Tornando ad Harald, ha notato se qualcos’altro attrasse la sua attenzione, all’infuori dei manoscritti? Le accennò ad altri suoi interessi?» chiese Thora.

«Se ben ricordo, si concentrò soprattutto sui codici di magia», disse Thorgrimur pensandoci su. «Però mi fece un’offerta per comprare la coppa dei sacrifici esposta in una sala. Non ero sicuro se scherzasse o dicesse sul serio.»

«Di quale coppa sta parlando?» domandò Matthew.

«Venite con me.» I due lo seguirono in una piccola sala con una bacheca centrale in cui si vedeva una massa tondeggiante di pietra. «Si tratta di un contenitore arcaico adoperato per compiere sacrifici, rinvenuto qui nei paraggi e che la squadra scientifica della polizia ha confermato contenere tracce di sangue. Assai antiche, comunque.»

«E questa la chiamate coppa?» esclamò Thora vedendo le dimensioni del contenitore. «Ma non potevano farsi una tazza di legno?» Il macigno pesava sicuramente qualche chilo e aveva un incavo scolpito al suo interno.

«Mi pare di capire che il cimelio non fosse in vendita», disse Matthew.

«No, assolutamente no. Da una parte è l’unico oggetto qui dentro autenticamente antico, e poi io personalmente sono contrario a vendere i nostri cimeli.»

Thora guardò il reperto con attenzione. Poteva essere questo l’oggetto tanto agognato da Harald? Improbabile. «È sicuro che questa sia la pietra originale?»

«Che intende dire?» chiese Thorgrimur stupito.

«Tanto per fare un’ipotesi, non è che il soprintendente possa essersi accordato in segreto con Harald e avergli venduto la pietra, sostituendola poi con una copia?»

Thorgrimur sorrise. «Non è assolutamente possibile. Questa è la stessa pietra di sempre, non si è mossa di un millimetro. Ci scommetto la testa.» Poi si voltò e uscì dalla stanza, seguito a poca distanza dai due ospiti. «Come vi ho già detto, secondo me era solamente uno scherzo da buontemponi.»

«E non si ricorda proprio altro?» insisté Thora. «Qualcos’altro di particolare?»

«Beh, in effetti una cosa me la chiese…» rifletté Thorgrimur con un’espressione perplessa. «Accennò a un certo Martello delle streghe, e mi domandò se sapessi qualcosa di una copia antica conservata qui in Islanda. Io però quel titolo non l’avevo mai nemmeno sentito nominare e glielo dissi. Ma forse nemmeno voi sapete di cosa stia parlando, o sbaglio?»

«No, no, lo sappiamo bene», rispose Matthew per bocca di entrambi.

«Gli chiesi chi gli avesse dato quell’informazione, e lui mi rispose che in alcune vecchie lettere si parlava di un esemplare del libro che era arrivato fin quassù.»

25

In Islanda non sono molti gli edifici che possono vantare un ingresso maestoso come la sede centrale dell’Università d’Islanda. Briet si godeva il panorama seduta sui gradini dell’entrata a forma di ferro di cavallo. In particolare osservava le automobili, pensando a quanto le sarebbe piaciuto possederne una. Ma la cosa rimaneva un pio desiderio, data l’esiguità del presalario studentesco; anzi, avrebbe proprio voluto incontrare il taccagno che calcolava le basi minime del mantenimento sulle quali si erogava il prestito. Non vedeva l’ora di laurearsi e cominciare a lavorare. Non che i laureati in Storia potessero sperare in lauti guadagni, ma forse avrebbe potuto fare come sua sorella, che aveva sposato un avvocato e ora viveva come una principessa. Lui lavorava per una delle maggiori banche del Paese e prendeva uno stipendio favoloso, tanto che in quel periodo si stava facendo costruire una villa immensa a Vatnsendi. E pensare che la sorella di Briet, con la sua laurea in Scienze politiche, non lavorava che mezza giornata in un ministero, e l’altra mezza l’aveva a disposizione per fare shopping in centro. Briet si appoggiò alle spalle di Halldor, seduto accanto a lei sui gradini. Lui sì che era un bel ragazzo, addirittura un tesoro, senza contare che di solito i medici se la passavano proprio bene.