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«A cosa stai pensando?» le chiese lui mentre tirava una palla di neve che si era fatto per passare il tempo.

«Ah, niente di preciso», rispose Briet sospirando. «Ma sono preoccupata per Hugi.»

Halldor seguì con lo sguardo la palla di neve che, dopo una parabola verso l’alto, ricadde sulla statua di Saemundur e la foca. «Era uno stregone», disse. «Lo sapevi?»

«Chi?» chiese Briet meravigliata. «Hugi?»

«No, Saemundur il savio.»

«Sì, certo, lo sapevo.» La ragazza tirò fuori dalla borsa un pacchetto di sigarette. «Ne vuoi una? È la tua marca preferita.» Gli porse il pacchetto bianco e sorrise.

Halldor le sorrise di rimando. «No grazie, oggi le ho.» Poi prese una delle sue ed entrambi le accesero. Briet dovette lasciare la spalla del suo amico per permettergli di fumare. «Che brutto pasticcio.»

«Non me lo dire.»

Briet non sapeva esattamente cosa aggiungere: non voleva combinare altri guai che potessero impelagare lei e naturalmente anche Halldor in una situazione senza uscita, ma al contempo desiderava mostrargli di essere più comprensiva e sana di mente di Marta Mist.

«A dire il vero, di questa faccenda ne ho le tasche piene», riprese Halldor guardando fisso davanti a sé. «Ogni tanto mi metto a osservare gli altri studenti. Sono così diversi da noi…»

«Lo so bene», concordò Briet. «Noi non siamo certo i tipici studenti universitari. Ma anch’io non ne posso più di tutte queste idiozie.» Il perché ancora non lo sapeva, però era la realtà.

Halldor proseguì come se non avesse nemmeno sentito il suo commento. «Quello che mi disturba di più è il fatto che gli altri non passano il tempo a divertirsi da pazzi come facciamo noi, eppure non mi sembrano infelici o scontenti. Anzi, forse sono addirittura più soddisfatti di noi.»

Briet colse al volo quell’opportunità insperata. Pose il braccio sulla spalla dell’amico e avvicinò il volto al suo. «Anch’io stavo pensando le stesse cose. Abbiamo sorpassato ogni limite, e se Andri e gli altri vogliono continuare, lo faranno senza di me. Io adesso voglio pensare solo ai miei studi e alla mia vita. Non mi diverto più con queste stupidate.» Aveva evitato con scaltrezza di nominare Marta Mist per paura di scoprire troppo il suo gioco.

«Curioso, è proprio quello che avevo deciso di fare anch’io.» Halldor la guardò e le sorrise. «Io e te non siamo poi così diversi, lo sai?»

Briet gli sfiorò la guancia con un bacio. «Insieme stiamo bene. Al diavolo tutti gli altri.»

«Non Hugi però», disse Halldor cancellando il sorriso che era emerso sulle labbra di entrambi.

«No, naturalmente non possiamo dimenticarci di lui», si affrettò a ribadire Briet. «Anch’io sto sempre a pensare a lui. Come pensi che si senta in questo momento?»

«Lui sta malissimo. E io non ce la faccio più. Devo fare qualcosa.»

«Cosa?» Briet non se la sentiva di suggerirgli qualcosa di preciso. Trarre una conclusione errata in quel momento avrebbe significato perdere la sua fiducia per sempre.

Halldor si alzò improvvisamente in piedi. «A quei due avvocati do ancora qualche giorno, poi vado dalla polizia. Non me ne importa niente di cosa mi faranno.»

Diamine. Briet tentò in fretta e furia di trovare le parole giuste per far cambiare idea al suo amico. In quell’attimo rimpianse persino che Marta Mist non fosse lì con loro. «Halldor, Harald non l’hai ammazzato tu, vero? Tu eri alla Kaffibrennslan, o sbaglio?»

Lui la fissò in silenzio. Briet si tirò su a sua volta e gli disse: «Non intendevo insinuare niente, scusami. Volevo solamente dire: perché mai andare dalla polizia?»

«Lo sai, non riesco proprio a capire perché tu e Marta vi opponiate così tanto a confessare tutto. Nessuno sfugge al suo destino, ricordatelo», e se ne andò senza salutare.

Briet non sapeva che fare. Dopo averci pensato per un attimo, estrasse il suo cellulare dalla borsa e fece una chiamata.

Laura Amaming entrò nell’atrio dell’Istituto Arni Magnusson, dove Gloria stava passando i tappeti con l’aspirapolvere. In tutta la mattinata non era ancora riuscita a prenderla in disparte per parlarle, perciò ora colse l’occasione al volo. «Gloria», la chiamò e continuò a parlarle nella loro madrelingua. «Ti dovrei fare una domanda.»

«Guarda che sto pulendo come mi hai insegnato tu», subito si difese l’altra.

Laura la zittì con un cenno della mano. «Non si tratta delle pulizie. Volevo sapere se ti eri per caso accorta di qualcosa di insolito nella stanza degli studenti, il fine settimana in cui venne compiuto l’omicidio. Sei stata tu a fare le pulizie là prima che venisse trovato il corpo.»

Gli occhi scuri di Gloria si allargarono. «L’ho già detto a voi e alla polizia. Non c’era niente.»

Laura la guardò con attenzione. Stava mentendo. «Gloria. Dimmi la verità. Lo sai che dire le bugie è peccato. Dio sa che cosa hai visto. Hai intenzione di mentire anche a Lui quando verrà il momento di incontrarlo?» Laura afferrò la ragazza per le spalle e la costrinse a guardarla dritto negli occhi. «Non ti preoccupare. Come facevi a sapere che era stato commesso un delitto? Quel fine settimana non era entrato nessuno nello stanzino delle fotocopie. Che cosa hai visto?»

Una lacrima scese lenta sulla guancia della ragazza. Laura non si fece intenerire: non era la prima versata in quel posto di lavoro. «Gloria. Fai un esame di coscienza e dimmi che cosa c’era là dentro. Io ho trovato delle tracce di sangue sulla maniglia di una finestra.»

Le lacrime divennero due, poi tre e infine Gloria scoppiò in singhiozzi. «Non lo sapevo. Non lo sapevo proprio», esclamò all’improvviso.

«Certo, Gloria. Non ti accuso di niente. Come potevi sapere tu cos’era successo?» Laura asciugò le lacrime dalle guance della ragazza. «Che cosa c’era lì dentro? Su, dimmelo.»

«Sangue», rispose atterrita. «Non una pozza, piuttosto come delle strisce che qualcuno aveva lasciato dopo aver cercato di ripulire alla meglio. Io me ne sono accorta soltanto quando, sciacquando lo straccio nel secchio, l’acqua divenne rossa. Ma non me ne preoccupai, lì per lì, non sapendo niente del… hai capito.»

Laura tirò un sospiro di sollievo. Tracce di sangue e niente altro. Allora la cosa non poteva avere alcuna conseguenza spiacevole per la povera Gloria. Lei stessa non aveva ancora detto niente a nessuno dello straccio che si era impregnato di sangue pulendo la maniglia della finestra. Ma ora veniva loro data l’opportunità di rivelare tutto a Tryggvi e alla polizia. E poi ci avrebbero pensato gli investigatori a stabilire la provenienza del sangue, anche se lei era convinta che l’omicidio fosse stato compiuto proprio nella sala degli studenti. «Gloria, tesoro, non ti preoccupare. Si tratta di una sciocchezza che non cambia niente. Solo che dovresti parlare di nuovo con i poliziotti, e questa volta dire la verità. Capiranno subito che non ti eri affatto resa conto della gravità delle informazioni.» Laura sorrise, ma fu sorpresa nel vedere che la ragazza continuava a piangere.

«C’è dell’altro», disse tra i singhiozzi.

«Altro?» le chiese meravigliata. «Che cos’altro ci può essere?»