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Improvvisamente le venne un sospetto che la terrorizzò. Che invece avesse avuto l’abitudine di scattare in segreto delle fotografie dei loro amplessi o dei suoi altri rapporti sessuali, e ora non avesse voluto che la fidanzata le scoprisse? Che vergogna! Inorridiva al pensiero di essere entrata a far parte di qualche oscena collezione di donne nude. E se ci fossero stati addirittura dei filmini compromettenti? In preda alla nausea rimase immobile a lungo a fissare la cassa ai suoi piedi. Doveva aprirla, non c’era altro da fare.

Si accovacciò e sollevò con mani tremanti il coperchio di cartone e si mise a guardare il contenuto. Nessuna fotografia, né videocassetta. Invece c’erano degli oggetti avvolti negli stracci e alcune cartellette portadocumenti di plastica. Gurra tirò un sospiro di sollievo, prese a caso una delle cartelline e scoprì che conteneva un’antichissima lettera, sicuramente molto preziosa. A prima vista non ne capiva né la calligrafia né il contenuto, per cui se la posò sulle ginocchia per darci un’occhiata più tardi. Poi continuò a controllare frettolosamente il resto dei documenti e comprese, con un senso di liberazione, che non avevano niente a che vedere con il sesso o con la vita privata di Harald. Uno in particolare attrasse la sua attenzione. Era scritto con inchiostro rosso in una maniera goffa e sgraziata, una specie di scarabocchio su quella che sembrava tela cerata scura. Il testo era bislacco e incomprensibile, e terminava con una runa disegnata e le firme di due persone. I nomi non erano leggibili, ma uno era sicuramente quello di Harald, ripensando alla firma sul contratto di locazione. Gurra rimise il tutto nella cassa. Che strano.

A quel punto la curiosità la spinse a rovistare tra gli oggetti avvolti nelle pezze di stoffa in fondo alla cassa. Prese uno dei fagotti e lo tirò su con prudenza. Era leggerissimo, come se dentro non ci fosse niente. Lo aprì con cautela e ne guardò sbigottita il contenuto. Poi si mise a urlare, agguantò la lettera antica che ancora teneva sulle ginocchia, si alzò di scatto e scappò di corsa dallo stanzino, richiudendone a chiave la porta come se ne potesse uscire qualcosa.

Gunnar sollevò la cornetta del telefono interno e digitò il numero di Maria. Non era improbabile che la direttrice dell’Istituto Ami Magnusson si trovasse ancora nel suo ufficio, nonostante fosse sabato. C’era in programma un’imminente esibizione di manoscritti, e a giudicare dal trambusto provocato dalle precedenti mostre della stessa portata, ora dovevano essere tutti impegnati nei loro compiti all’istituto. «Salve, Maria, sono Gunnar.» Fece attenzione che la voce suonasse sufficientemente autoritaria. La voce di una persona impegnata e con la coscienza pulita.

«Ah, tu!» Quella risposta secca dimostrava che le sue intenzioni non avevano centrato il bersaglio. «Stavo appunto per mettermi in contatto con te. Ci sono delle novità da parte tua?»

«Sì e no», rispose Gunnar senza entusiasmo. «Sono sulla buona strada per ritrovare il documento smarrito, credo.»

«Mi sento già meglio sapendo che credi di averlo trovato», ribatté la direttrice con ironia.

Gunnar decise di sorvolare. «Non abbiamo più motivo di sospettare del personale dell’istituto. Mi sono messo in contatto con i rappresentanti della famiglia di Harald che stanno rovistando a casa sua. Il documento si trova là, ne sono certo.»

«Vuoi dire che credi di esserne certo?»

«Stammi a sentire, ti ho chiamato solamente per tenerti al corrente degli sviluppi, e non c’è nessun bisogno di rispondermi con maleducazione», protestò Gunnar, trattenendo l’impulso di sbatterle il telefono in faccia.

«Hai ragione, scusami. Qui siamo tutti sotto pressione per la mostra. Io stessa sono molto agitata, non te la prendere», disse Maria con un tono di voce più rilassato. Poi aggiunse con la stessa intonazione di prima: «Comunque, Gunnar, io rimango della mia idea. Hai solamente pochi giorni a disposizione per trovare questa lettera, non posso continuare a tacere sulle stupidaggini dei tuoi studenti, ci siamo intesi?»

Gunnar si chiese quanti fossero quei «pochi giorni» che gli rimanevano. Non più di cinque, al massimo tre, forse. Comunque non osava chiederle precisazioni per paura che accorciasse la proroga. «Sì che me ne rendo conto. Ti farò sapere non appena avrò trovato qualcosa.»

I due si salutarono seccamente. Gunnar si mise le mani nei capelli e poi si accasciò sulla scrivania. Doveva assolutamente trovare quell’epistola. In caso contrario sarebbe stato costretto a dare le dimissioni, dato che il furto di un documento pregiato appartenente a un’istituzione estera avrebbe minato la sua credibilità come direttore d’istituto. Si sentì ribollire il sangue. Maledetto Harald. Prima che comparisse sulla scena, Gunnar si era addirittura cullato nell’idea di candidarsi a rettore per le prossime elezioni. Ora invece sognava solamente che la sua vita tornasse alla normalità. Era tutto quello che desiderava al momento. All’improvviso bussarono alla porta.

Gunnar si tirò su e disse: «Avanti.»

«Buongiorno, posso disturbarla un secondo?» Era Tryggvi, il custode, che entrò richiudendosi la porta alle spalle. Poi avanzò con passo lento verso la scrivania del professore e rifiutò il posto a sedere che gli veniva offerto. Invece allungò una mano con il palmo rivolto verso l’alto. «Una delle donne delle pulizie ha trovato questo nella stanza degli studenti.»

Gunnar si sporse per vedere l’oggetto, una minuscola stellina metallica. La guardò con attenzione e si rivolse stupito a Tryggvi «Che cos’è? Non mi sembra un oggetto prezioso, o sbaglio?»

Il custode si schiarì la gola. «Penso che appartenesse alle scarpe di quell’Harald. La donna l’ha trovata alcuni giorni fa, ma me l’ha detto solamente ora.»

Gunnar lo guardò senza comprendere. «E allora? Non la seguo proprio.»

«C’è dell’altro. Se ho capito bene, su una delle finestre ha anche scoperto delle macchie di sangue.» Tryggvi guardò Gunnar dritto negli occhi in attesa della sua reazione.

«Sangue? Ma non era stato strangolato?» chiese sbalordito. «Non potrebbe trattarsi di sangue più vecchio?»

«Non lo so. Volevo solamente consegnarle questa, poi deciderà lei cosa farne.» Prima di andarsene, aggiunse: «Comunque gli hanno fatto qualcos’altro oltre che strangolarlo!»

Gunnar ebbe una fitta al cuore ripensando alle condizioni del cadavere. «Sì, ha ragione.» Poi si mise a guardare la stellina cercando di capirne le implicazioni, quando sentì Tryggvi che gli diceva: «Sono sicuro che proviene dalle scarpe che indossava la notte in cui venne ucciso, ma non ho assolutamente idea se sia caduta in qualche occasione precedente.»

«Beh, in questo caso…» mormorò Gunnar mordendosi le labbra. Infine decise di congedare il custode: «La ringrazio per avermi consegnato quest’oggetto. Probabilmente non ha molta importanza, ma potrebbe servire nelle indagini».

L’uomo annuì con calma. «Ci sarebbe dell’altro, se mi permette», disse estraendo da una tasca una salvietta ripiegata in quattro. «La donna che ripulì la stanza degli studenti il fine settimana in cui Harald venne assassinato trovò sul pavimento tracce di sangue che qualcuno aveva tentato di far sparire. E poi scoprì questo.» Tryggvi depose l’asciugamano sulle mani di Gunnar. «Mi sembra opportuno denunciare il fatto alla polizia.» Poi ringraziò il professore e se ne andò.

Gunnar appoggiò la schiena alla spalliera, guardò fisso la stellina e si mise a riflettere sulla mossa più adatta. Era un indizio importante? Una telefonata alla polizia avrebbe riaperto il caso, e lui non se la sentiva di ricominciare tutto da capo. No, non era ancora il momento. Anzi, non sarebbe mai arrivato il momento di riaffrontare quella questione, ora che tutto stava tornando alla normalità. All’infuori della dannata lettera, naturalmente. Gunnar gemette e ripose la stellina sul tavolo. Beh, quella faccenda poteva aspettare fino a lunedì.