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Poi aprì l’involucro e gli ci volle del tempo per rendersi conto di quello che ne era emerso. Quando infine comprese che cosa stava fissando, non poté trattenersi dal fare un verso da animale ferito. Prese immediatamente il telefono e chiamò la polizia. Quella cosa non poteva certo attendere fino a lunedì.

26

Il viaggio fino a Ranga andò liscio come l’olio. Il tempo si era mantenuto bello, e benché le campagne fossero ancora ricoperte da un manto di neve, il cielo era sereno e senza vento. Thora sedeva felice nella nuova macchina presa a noleggio, una jeep, e ammirava il paesaggio circostante. Certo, aveva detto e ripetuto a Matthew di fare attenzione alla ripida discesa di Kambarnir, raccontandogli un’infinità serie di incidenti stradali e costringendolo a guidare alla velocità di una lumaca, tanto che ormai chiunque li sorpassava. Con un sospiro tornò a sfogliare una delle due cartelle che avevano ricevuto dalla polizia e che contenevano, a detta degli inquirenti, tutto il materiale del caso. Alla descrizione della maglietta rinvenuta nell’armadio di Hugi, Thora si accorse di un particolare che le era sfuggito in precedenza. «Guarda qui!» gridò a Matthew.

Lui si spaventò e l’auto slittò per un attimo sull’asfalto. «Che c’è?»

«La maglietta», disse Thora premendo forte l’indice sulla pagina aperta. «Questa maglietta è la stessa che ho visto nelle foto dell’operazione alla lingua. C’era scritto davanti 100% SILICONE.»

«E con ciò?» chiese Matthew senza capire.

«Nelle fotografie si intravedeva una maglietta con il numero 100 e le lettere ILIC. Qui c’è scritto che la maglietta rinvenuta dentro l’armadio di Hugi aveva quella scritta, quindi il sangue proviene sicuramente da quell’operazione.» Thora richiuse la cartella, soddisfatta di se stessa.

«Ma non se ne sarebbe dovuto ricordare?» ribatté Matthew. «Non accade tutti i giorni di imbrattarsi di sangue.»

«Però Hugi disse che non gli avevano mostrato affatto la maglietta. Probabilmente non l’aveva collegata all’intervento.»

«È possìbile», concluse Matthew e i due proseguirono il viaggio in silenzio per qualche minuto. Oltrepassato il grande ponte sul fiume Ytri Ranga, nei pressi del paesino di Hella, Matthew annunciò all’improvviso: «Le due donne arrivano domani.»

«Le due donne? E chi sarebbero?»

«Amelia Guntlieb e sua figlia Elisa», precisò senza togliere lo sguardo dall’asfalto.

«Cosa? Vengono in Islanda?» chiese Thora sbalordita. «Perché mai?»

«Avevi ragione tu. Sua sorella stava da lui pochi giorni prima dell’omicidio. Ora vuole parlarci: pare sappia a che cosa stesse lavorando Harald negli ultimi tempi, anche se non nei minimi particolari.»

«E la madre? Viene per controllare cosa dice sua figlia?»

«No, per la verità desidera parlare con te. In privato, da madre a madre. Lo sapevi già che voleva dirti qualcosa, pensavi forse che lo avrebbe fatto per telefono?»

«Sì, lo ammetto. Da madre a madre? Dobbiamo forse confrontarci sui nostri sistemi educativi o cose del genere?» A Thora non andava per niente di incontrare quella donna.

Matthew scrollò le spalle. «Che ne so io? Non sono mica una madre.»

Thora sbuffò girandosi verso il finestrino. Prima di riprendere la parola, rimuginò su un’idea. «La sorella potrebbe essere implicata nella faccenda?»

«No, escluso.»

«Perché sarebbe escluso, se mi permetti?»

«Perché Elisa non è il tipo da fare cose del genere. Inoltre mi ha detto di essere ripartita il venerdì precedente il delitto. Aveva il volo prenotato da Keflavik a Francoforte.»

«E questo ti basta per escluderla? Solo perché te l’ha detto lei?» chiese Thora, stupita dall’ingenuità del collega.

Matthew le gettò un’occhiata in tralice. «Non direi proprio. Ho controllato e ti assicuro che ha preso quel volo.»

Thora non sapeva che cosa dire. Alla fine decise che forse era meglio vedere come sarebbe andato l’incontro con la sorella di Harald prima di fare altre ipotesi. A un certo punto, vide il cartello che indicava l’Hotel Ranga. «Qui», disse a Matthew indicandogli una traversa sulla destra. L’auto percorse lentamente la stradina fino alle sponde del fiume, e dietro una curva si trovò di fronte a una grande costruzione in legno.

«Vuoi sapere una cosa? Sono due anni che non dormo in un albergo», disse Thora mentre si incamminava con il suo trolley verso l’ingresso dell’hotel. «Cioè da quando ho divorziato.»

«Stai scherzando, non è vero?» esclamò Matthew estraendo il suo borsone dall’auto.

«No, te lo giuro», gli assicurò la donna con un pizzico di emozione nella voce. «Per salvare il nostro matrimonio, io e mio marito facemmo un estremo, disperato tentativo andandocene per un fine settimana a Parigi proprio due anni fa. Da quella volta non sono più andata all’estero, e nemmeno ho avuto l’occasione di dormire in albergo qui in Islanda. Strano a pensarci.»

«Il viaggio a Parigi allora non è riuscito a fare il miracolo», commentò Matthew aprendole la porta.

Thora sbuffò. «Puoi dirlo forte. Era l’ultima possibilità per salvare la nostra relazione, ma invece di sedere a un tavolo con un buon bicchiere di vino per trovare una qualsiasi base di riconciliazione, l’unica cosa che sembrava importare a quel cretino era farsi scattare fotografie davanti a ogni monumento che vedeva. È stata la condanna a morte del matrimonio.»

All’ingresso vennero accolti da un gigantesco orso polare ritto sulle zampe posteriori, con gli occhi sbarrati e pronto all’attacco. Matthew si mise subito in posa sotto le sue grinfie. «Fammi una foto. Ti prego.»

Thora gli fece la linguaccia e si presentò al bancone della reception. Al computer sedeva una donna di mezza età in livrea blu e camicetta bianca, che le sorrise e cercò immediatamente tra le prenotazioni le due camere singole che avevano fissato per quella notte. Dopo qualche istante consegnò loro le chiavi e spiegò la posizione delle camere. Thora si piegò per riprendere la valigia e stava per mettersi in cammino, quando a un tratto le venne in mente di controllare se quella signora così efficiente si ricordava di Harald. Forse le aveva chiesto informazioni su come andare da qualche parte nei dintorni. «Ah, senta: un nostro conoscente ha pernottato qui lo scorso autunno. Si chiama Harald Guntlieb, se lo ricorda per caso? Se non la disturba.»

La donna guardò Thora con l’espressione di chi è abituato a ricevere domande di ogni tipo, senza mai giudicare in merito. «No, non mi ricordo di quel nome», rispose con estrema cortesia.

«Potrebbe farci la gentilezza di controllare sul computer, per favore? Era un ragazzo tedesco pieno di piercing.» Thora abbozzò un sorriso per far finta che si trattasse di una cosa normalissima.

«Posso provare. Come si scrive il nome?» chiese la donna rivolgendo di nuovo lo sguardo allo schermo.

Thora le sillabò il cognome e attese che la donna richiamasse le informazioni sul soggiorno di Harald. Dalla sua posizione, vide comparire sullo schermo un elenco dopo l’altro di prenotazioni.

«Eccolo qui», disse finalmente la signora. «Harald Guntlieb, due camere per due notti. L’altro ospite era Harry Potter. Lo conoscete?» Il suo tono era assolutamente imperturbabile.

Thora annuì. «Si ricorda di loro due personalmente?» chiese speranzosa.

«No, purtroppo no. In quel periodo non ero nemmeno di turno. Sa, ero in ferie all’estero. Quando si opera in questo settore, è molto difficile andarsene in vacanza durante l’estate, che è l’alta stagione qui da noi», disse come per scusarsi con la cliente di essersi messa a oziare all’estero invece di fare il suo dovere nell’albergo. Poi rivolse di nuovo lo sguardo allo schermo. «Comunque il barista dell’hotel potrebbe ricordarsi di quei due tipi. Olafur, soprannominato Oli, era di servizio in quel periodo. E lo sarà anche stasera.»