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Thora ringraziò la signora e i due si diressero verso le loro camere. Quando stavano per sparire dietro l’angolo del corridoio, la receptionist li richiamò. «Ho trovato l’annotazione che avevano preso in prestito delle torce elettriche qui dalla reception.»

«Delle torce?» Thora domandò stupita. «C’è forse scritto per quale motivo?»

«No. La prassi è che ogni prestito venga inserito nel computer per assicurarsi che venga restituito prima della partenza. Cosa che loro fecero regolarmente.»

«C’è scritto se le presero di notte?» chiese Thora, pensando che forse Harald aveva smarrito qualcosa là fuori e lo volesse cercare prima di andare a letto.

«No, le tennero in prestito durante il giorno», rispose la donna. «Ma solo per curiosità, non si tratta dello studente straniero ucciso all’università?»

Thora rispose di sì e la ringraziò di nuovo per il suo prezioso aiuto. Lei e Matthew raggiunsero quindi le loro camere, che risultarono trovarsi l’una accanto all’altra.

«Perché non ci prendiamo una mezz’oretta di riposo?» domandò Thora non appena vide la camera. Il letto matrimoniale era irresistibile, con le coperte senza grinze e le lenzuola ben stirate. Non era abituata a un lusso simile a casa sua. Il suo letto di solito la accoglieva la sera nello stesso stato in cui l’aveva lasciato in tutta fretta alla mattina.

«Sì, non c’è fretta», concordò Matthew, evidentemente della sua stessa opinione. «Bussa da me quando sei pronta. E ricordati che sei sempre la benvenuta nella mia camera.» Le fece l’occhiolino e richiuse l’uscio prima che Thora riuscisse a rispondergli per le rime.

Non appena ebbe sistemato la borsa e il giaccone Thora diede un’occhiata al bagno e al mini-bar, poi si distese supina sul letto, dove giacque a mo’ di crocifisso godendosi l’attimo fuggente. Che appunto per questo non durò a lungo. Dalla sua borsetta le arrivò la suoneria del cellulare. Thora si risollevò in piedi con un gemito e andò a prendere il telefonino. «Pronto?»

«Ciao, mamma», rispose la voce allegra di Soley.

«Ciao, tesoruccio», disse sorridendo per il solo fatto di sentire la sua voce. «Che stai facendo di bello?»

«Beh», riprese la bambina con meno entusiasmo di prima, «stiamo andando al maneggio.» Poi abbassò la voce in un sussurro cospiratorio: «Non mi va per niente di andare. Questi cavalli sono cattivi.»

«Ma no», la rassicurò Thora facendosi forza. «Non sono affatto cattivi, anzi, ti dirò che i cavalli di solito sono proprio buoni e bravi. Sono sicura che vi divertirete, non è vero? Anche il tempo è bello.»

«Nemmeno Gylfi ha voglia di andare», mormorò ancora Soley. «Lui dice che i cavalli sono obsoleti.»

La donna sorrise immaginando la scena. «Dimmi invece qualcosa di divertente, che cosa avete fatto oggi?» chiese per cambiare argomento, sapendo di non essere la persona più adatta per mettersi a difendere l’equitazione.

Sua figlia riacquistò vivacità immediatamente. «Abbiamo comprato il gelato e ci siamo messi a guardare i cartoni animati alla televisione. Senti, Gylfi ti vuole parlare.»

Prima ancora che Thora riuscisse a salutare sua figlia, il ragazzo era già al telefono. «Ciao», le disse con voce demoralizzata.

«Ciao, tesoro. Come va?»

«Da schifo.» Gylfi non tentò neppure di sussurrare, anzi le sembrò che avesse alzato intenzionalmente la voce.

«Per colpa dei cavalli?» sondò il terreno Thora.

«Sì e no. Va tutto quanto male.» Dopo una breve pausa, riprese: «Ti dovrei dire una cosa importante… Ma facciamo domani, quando ritorno a casa.»

«Senz’altro, tesoro», rispose Thora senza sapere se rallegrarsi perché finalmente suo figlio voleva aprirsi con lei, o temere per quello che le avrebbe detto. «Mi mancate tanto, ci rivediamo domani sera.» Si salutarono così, e Thora si sdraiò di nuovo sul lettone, ma non riusciva a rilassarsi. Alla fine si alzò e andò a farsi una bella doccia calda.

Mentre si asciugava con gli asciugamani candidi e spessi dell’albergo, pose l’occhio su un opuscolo turistico che magnificava le bellezze naturali della regione, e lo sfogliò per vedere se trovava qualche angolo che avrebbe potuto interessare anche Harald. Di meraviglie da visitare in effetti ce n’erano molte, e alcune attrassero la sua attenzione. Una pagina intera era dedicata alla sede vescovile di Skalholt, dove si erano svolte le vicende dei vescovi Jon Arason e Brynjolfur Sveinsson. Altri due luoghi le fecero suonare un campanello d’allarme: il vulcano dell’Hekla e alcune grotte che risalivano ai tempi degli eremiti irlandesi, le cosiddette Aegissiduhellar, alla periferia del paesino di Hella. Non ne aveva mai sentito parlare prima, e si chiese se il nome del paese, che significa appunto «antro», non derivasse proprio da una di queste antiche caverne. Fece un angolino segnalibro sulle pagine che trattavano quegli argomenti e si vestì in fretta, indossando abiti pesanti molto caldi, anche se non all’ultima moda. Se fossero stati costretti a scendere in quelle spelonche sotterranee, nessuno sarebbe stato a guardare le marche dell’abbigliamento. Al pensiero di Matthew che avanzava in punta di piedi tra le rocce e i massi nelle sue scarpette da ballerina fu presa da una tentazione: non dirgli niente delle grotte prima di essersi allontanati abbastanza dall’albergo. Si raccolse i capelli con una fascia elastica, si mise addosso il piumino e uscì dalla camera. Fece appena in tempo a bussare leggermente alla porta di Matthew, che lui aprì senza indugi. Thora osservò come era agghindato e gli sorrise maliziosa: «Che completo elegante. E che belle scarpe». Le scarpe in questione dovevano essergli costate una fortuna, a giudicare dal cuoio ben lucidato e dalla fattura impeccabile. Thora soffocò un pizzico di rimorso che le stava venendo, dicendosi che lui doveva avere decine di scarpe del genere.

«Questo non è un completo», rispose Matthew piccato. «È uno spezzato. C’è una gran differenza. Ma non pretendo che tu, con la tua eleganza innata, possa notarla.»

«Oh, mi scusi, signor Kate Moss», disse Thora, ormai libera dal suo rimorso di coscienza e pronta a gustarsi il suo sadico piacere.

Matthew richiuse la porta e fece tintinnare le chiavi dell’auto a noleggio. «Allora, dove si va di bello?»

Thora guardò l’orologio del suo cellulare, che teneva nella tasca del giaccone. «Penso sia meglio cominciare con Skalholt. Si sono già fatte le quattro. Poi vedremo.»

«Perfetto, signora guida», accettò Matthew osservando pensieroso l’abbigliamento della sua collega. «Come ben sai, qui all’albergo c’è un ottimo ristorante. Non abbiamo bisogno di andare a caccia della cena qui fuori, o sbaglio?»

«Ah, ah. Sei davvero esilarante. Ma per tua informazione preferisco stare al caldo che preoccuparmi di essere vestita alla moda. E prima o poi dovrai ammettere che ho ragione.»

Quando arrivarono alla cattedrale di Skalholt stava già calando la sera. I due si affrettarono a entrare nella chiesa, che era ancora aperta, alla ricerca di qualcuno con cui fare due chiacchiere. Ben presto trovarono un ragazzo che li ricevette con estrema cortesia e chiese loro in che cosa potesse aiutarli. Loro gli spiegarono che speravano di trovare qualcuno che poteva aver parlato con un loro amico tempo prima e gli descrissero l’aspetto di Harald.

«Aspettate», interruppe Thora a metà descrizione. «State per caso alludendo allo studente ucciso? Io l’ho incontrato!»

«Si ricorda per caso il motivo della sua visita da queste parti?» chiese allora l’avvocatessa.

«Fatemi pensare… Allora, vediamo… Se ben ricordo, voleva discutere la decapitazione di Jon Arason… Sì, e anche di Brynjolfur Sveinsson.» Vedendo le loro espressioni perplesse si affrettò ad aggiungere: «Non c’è niente di strano, qui arrivano appunto visitatori che già conoscono queste storie e sono interessati a saperne di più. Si tratta di un’attrazione locale, per così dire, un drammone cruento. Per esempio, la gente pare affascinata dal fatto che per decollare il vescovo Jon Arason ci siano voluti ben sette colpi d’ascia. Alla fine il collo era praticamente maciullato.»