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«Ma non avete provato a cercare?»

«Ancora non abbiamo trovato la tomba di Sveinsson e della sua famiglia, pur avendone sotto mano la descrizione topografica! A nessuno è ancora venuto in mente di scavare qui intorno per ritrovare dei libri che non sappiamo nemmeno se furono sepolti veramente da queste parti. Inoltre non si sa che fine abbiano fatto i volumi lasciati in eredità a Johann Klein, anche se gira voce del ritrovamento di una parte di essi per opera dell’antiquario Arni Magnusson, specializzato in antichi manoscritti. In effetti, si può riconoscere quali libri siano appartenuti a Brynjolfur Sveinsson dalle sue iniziali.»

«BS?» chiese Thora per dare il suo contributo.

«No. LL», rispose il giovane sorridendo.

«LL?» Thora esclamò sorpresa.

«Lupus Loricarus, che in latino ha lo stesso significato di Brynjolfur, ‘lupo corazzato’.» Il giovane guardò stupito Thora che schioccava le dita. Lupus Loricarus era la scritta che aveva letto nel foglio di appunti di Harald. Erano evidentemente sulla strada giusta, se quegli scarabocchi si collegavano in qualche modo al delitto.

La conversazione non si protrasse ancora a lungo. Matthew e Thora ringraziarono il ragazzo per la pazienza dimostrata e si accomiatarono. Prima di mettere in moto l’auto, Matthew si volse verso la socia e le chiese: «Lupus Loricarus, eh sì. Non possiamo attendere che tutti se ne siano andati a dormire per metterci a scavare qui intorno con una zappa?»

«Sì, come no», rispose Thora ridendo. «Cominciamo dal cimitero.»

«Allora, tu scavi con la zappa, dato che sei vestita in maniera adatta. Io ti faccio luce con i fanali.»

I due lasciarono Skalholt. «Ora so dove possiamo andare», disse a un tratto Thora con aria innocente. «Vicino a Hella ci sono delle grotte abitate con tutta probabilità dai monaci irlandesi nell’alto Medioevo. Forse là troveremo degli indizi che ci spieghino l’interesse di Harald per quegli eremiti. Ho il sospetto che lui abbia preso in prestito le torce per dare un’occhiata in quelle cavità sotterranee.»

Matthew scrollò le spalle. «Sì, forse vale la pena darci un’occhiata. Ma come facciamo per le torce?»

«Ci fermiamo un attimo da un benzinaio e ne compriamo un paio.»

Arrivati a Hella, era già calato un buio pesto. Cominciarono con una sosta alla stazione di servizio per fare acquisti. Poi chiesero al benzinaio notizie sulle grotte, e questi rispose di rivolgersi all’Hotel Mosfell. L’albergo si trovava poco distante da lì, cosicché i due decisero di andarci a piedi. Un anziano e gentilissimo signore li accolse alla reception e uscì con loro per indicare le grotte che si intravedevano dall’altra parte della statale, sulla riva opposta del fiume. Inoltre mostrò loro la via migliore da prendere per arrivarci a piedi dal parcheggio, dato che con l’auto non era possibile avvicinarsi ulteriormente. Ringraziatolo di cuore, tornarono a prendere l’auto, attraversarono il ponte e parcheggiarono nell’area riservata ai visitatori delle grotte. Con grande spasso di Thora, dovettero camminare per un tratto sopra un prato che doveva far parte della fattoria lì nei paraggi. Matthew non faceva altro che scivolare con le sue scarpe lisce, ma riuscì a mantenersi in equilibrio sventolando di continuo le braccia come un papero impazzito. Quando furono arrivati al margine dell’altura che portava alle grotte, Thora aveva ripreso tutto il suo buonumore.

«Laggiù», esclamò indicando davanti a sé e guardando il suo compagno con uno sguardo falsamente preoccupato. «Pensi di poter arrivare fin là, piedino d’oro?»

Matthew corrugò le sopracciglia e assunse un contegno dignitoso. Si calò giù per la china come un novantenne, mentre Thora percorse il tratto inclinato saltellando come un agnellino. Poi lo aspettò in basso, decisa a godersi quell’attimo di rivincita, e gli gridò con crudeltà: «Muoversi!» Matthew non diede ascolto all’esortazione e alla fine riuscì ad arrivare con calma alla meta.

«Che premura hai?» disse accendendo la torcia. «Sei così eccitata perché andiamo fuori a cena insieme stasera?»

Thora accese la sua torcia e indirizzò il fascio di luce verso gli occhi di Matthew. «Non direi proprio. Andiamo ora.» Voltandosi, entrarono assieme nella prima grotta. «Incredibile, chissà chi ha avuto l’idea di una cosa del genere», commentò Thora stupefatta mentre il fascio luminoso vagava per l’antro oscuro. Se aveva ben capito, quelle spelonche erano state scavate nella roccia di calcite con attrezzi primitivi.

«Che intenzioni avranno avuto?» chiese Matthew.

«Soprattutto costruirsi un tetto», si udì una voce sconosciuta all’entrata della grotta.

Thora lanciò un urlo selvaggio e lasciò cadere la torcia, che rotolò sul pavimento irto di pietre disegnando un arabesco di luce sulla parete opposta a loro prima di bloccarsi. «Che spavento mi ha fatto prendere», esclamò Thora andando a riprendere la torcia. «Non avevamo idea che ci fosse qualcuno da queste parti.»

«Scusatemi, non volevo affatto farvi venire un infarto», disse l’uomo, che doveva avere una certa età a giudicare dall’aspetto. «Comunque siamo pari. Sono anni che non mi spaventavo così tanto come quando ho udito le sue urla. Il fatto è che mi hanno chiamato dall’albergo per farmi sapere che c’erano dei turisti che volevano visitare le grotte. Ho pensato che forse eravate interessati a una visita guidata. Mi chiamo Grimur e sono il proprietario delle terre qui attorno. Le grotte fanno parte del mio podere.»

Non c’era da lamentarsi con una proprietà del genere. «Ci farebbe molto piacere ricevere delle spiegazioni su questo strano posto.»

L’uomo entrò nella grotta e cominciò la sua esposizione in islandese, che Thora traduceva simultaneamente per Matthew a grandi linee. La guida mostrò loro, tra l’altro, come era probabile che i monaci avessero incastonato i loro giacigli nelle pareti appena scavate. Inoltre poterono ammirare il camino creato praticando un foro nel tetto della grotta per far entrare l’aria e uscire il fumo. Poi la guida indicò loro l’altare con la croce in fondo all’antro, che gli eremiti avevano con ogni probabilità scolpito direttamente sulla parete alle sue spalle. «Incredibile», disse Thora con stupefatta ammirazione. «Sono dei reperti eccezionali.»

«Sì, lo sono veramente», rispose la guida con orgoglio. «Questo territorio non è mai stato facilmente abitabile, a detta degli studiosi. E nel corso dei secoli si è fatto di tutto per costruirsi un tetto sopra la testa.»

«Giusto.» Thora diede un’altra occhiata attorno a sé con l’aiuto della torcia. «Ma le grotte sono state esaminate a fondo? Voglio dire, è possibile che si rinvengano ancora degli oggetti pregiati?»

«Oggetti pregiati?» L’uomo sembrava in imbarazzo e rispose con una risata. «Mia cara, queste caverne sono state usate come stalle fino al 1950 circa. Non credo che ci sia più nulla di antico da scoprire. Se ci fosse, sarebbe stato nascosto veramente bene.»

«Ah, peccato», esclamò Thora, delusa. «Quindi tutto è stato indagato a fondo?»

«No, non direi proprio», rispose la guida. «Da quanto ne so, solamente una volta si è proceduto a scandagliare le mie grotte.»

«Quando venne fatto?» domandò Thora. «Di recente?»

L’uomo rise. «No, non direi proprio. Non mi ricordo con precisione, ma devono essere trascorsi parecchi anni. E naturalmente non trovarono quasi niente, tranne ossa di animali e una buca nel pavimento che da quanto ho capito doveva essere stata utilizzata come focolare.» L’uomo indicò loro la piccola fossa nel terreno accanto all’altare. «Quel poco di importante che c’era da trovare è già tutto emerso, ve lo posso garantire.»

Thora chiese all’uomo se si ricordasse di aver visto Harald alle grotte, ma questi non ricordava nessuna persona che corrispondesse alla descrizione, anche se ciò non significava che il ragazzo non ci fosse stato per conto suo. Le grotte non erano recintate o chiuse al pubblico, cosicché non era difficile per la gente visitarle senza che loro, alla fattoria, se ne accorgessero.