«Cambiati i vestiti, Crocodile Dundee», disse Matthew a Thora quando i due furono tornati all’albergo. «Io mi tolgo solo il cappotto e vado ad aspettarti al bancone del bar per recuperare il tempo perduto su quel pendio scosceso.»
Thora lo guardò in tralice prima di affrettarsi a entrare in camera sua per cambiarsi. Questa volta si mise un paio di pantaloni eleganti e una camicetta bianca, poi si lavò la faccia e si mise un’ombra di rossetto. Non c’era niente di male nel volersi agghindare un po’ per una bella serata in compagnia di un uomo. Non voleva affatto dire che era pronta a tutto. Thora si fermò un momento sulla parola tutto. Non era stata molto convincente con se stessa, e la cosa la preoccupava un tantino. Ma smise di pensarci e si precipitò al bar dell’albergo.
Matthew era già impegnato in una vivace conversazione con il barista, quel tale Oli, sperava Thora. Il socio le lanciò un sorriso evidentemente contento per il suo cambiamento d’aspetto.
«Bellissima», le disse con tono deciso. «Questo è Oli, che mi stava appunto raccontando di Harald e di Harry Potter. Dei due si ricorda benissimo, dato che bevevano senza ritegno ed erano del tutto differenti dagli altri ospiti dell’albergo.»
«Sembravano indemoniati», continuò Oli chiedendo al contempo a Thora che cosa desiderasse da bere.
«Un bicchiere di vino bianco, grazie», rispose lei chiedendo il significato della sua affermazione.
«Beh, bevevano un bicchiere di tequila dopo l’altro e facevano finta di suonare la chitarra elettrica, cosa che da noi non si vede molto spesso. Per non parlare poi dell’aspetto di quell’Harald. Gli altri ospiti erano sconvolti e guardavano i due compagni a bocca aperta. Poi quei due fumavano come turchi, gli accendevo un sigaro dopo l’altro.»
Thora si guardò intorno per ammirare quel bar elegante con le travi a vista. Poteva essere d’accordo con la descrizione del barista. La prima cosa che le veniva in mente in quell’ambiente non era certo un’esibizione di chitarra elettrica senza chitarra. Al massimo una sviolinata senza violino. Poi si rivolse di nuovo a Oli. «Sai per caso come si chiamava per davvero Harry Potter?»
Lui sorrise. «Si chiamava Halldor. Entrambi erano diventati troppo ubriachi per ricordarsi che si doveva chiamare Harry, al termine della serata. Comunque all’inizio non si erano comportati proprio da pazzi scatenati.»
Di più non poterono cavar fuori dal barista. Allora presero posto al loro tavolo, circondato da un divanetto in pelle, brindarono e si misero a ripercorrere insieme le vicende della giornata appena trascorsa. Il cameriere arrivò con i menu e Matthew ordinò anche altro vino. Thora, con sua profonda meraviglia, aveva già terminato il suo vino e apprezzò l’iniziativa. Dopo cena Thora accompagnò le chiacchiere al Cointreau, e al terzo bicchiere mancava poco che anche lei facesse un assolo di chitarra elettrica davanti a Matthew e a Oli il barista. Invece posò la testa sul petto del suo compagno.
11 dicembre 2005
27
Thora si risvegliò con le vene che pulsavano e la sensazione che il suo cervello stesse tentando di uscire dal cranio. Si afferrò la fronte e gemette. Proprio il Cointreau doveva bersi, tra tutte le bevande. Ormai doveva saperlo che per lei la parola liquore faceva rima con dolore. Respirò, serrò gli occhi profondamente e si girò sul fianco. Così facendo il suo braccio andò a toccare qualcosa di così caldo da farle spalancare gli occhi terrorizzata. Nel suo letto c’era un uomo. Stava guardando la schiena di Matthew oppure di Oli il barista? Si mise a ripercorrere mentalmente la serata precedente e fu grata a se stessa di aver preferito l’opzione migliore. La nebbia che gravava sui suoi pensieri le rendeva però difficile districarsi da quella situazione imbarazzante. Come faceva a scivolare via indisturbata senza svegliare Matthew? E inoltre: come poteva fingere ora una dignità ormai perduta? Poteva sperare che lui non si ricordasse nulla di ciò che era accaduto durante la notte? Non le restava che una cosa da fare: sgattaiolare via e augurarsi che, incontrandosi a colazione, il discorso non ricadesse sulla sbandata notturna. In fondo lui aveva bevuto quattro volte più di lei.
Il piano fallì miseramente un attimo dopo, allorché Matthew si girò verso di lei e sorrise. «Buongiorno», le disse con le labbra asciutte e il palato cartaceo. «Come ci sentiamo?»
Thora tirò su la coperta fino al mento. Sotto le lenzuola era, naturalmente, nuda. Se avesse potuto esprimere un desiderio in quel momento, avrebbe chiesto una camicia da notte. Prima che le sue corde vocali potessero coordinarsi, emise una specie di rantolo. Infine sbottò: «Solamente una cosa, tanto per mettere in chiaro le faccende, capisci». Matthew la guardò serafico. «Quella di ieri sera non ero io, ma l’alcol. Cioè, tu hai dormito con una bottiglia di Cointreau, non con me.»
«Ah, capisco», disse Matthew tirandosi su e appoggiandosi a un gomito. «Certo che queste bottiglie di liquore sono una bella sorpresa. Non sapevo che fossero così capaci. Questa mi ha addirittura detto quanto fossero belle le mie scarpe. E voleva che non me le togliessi.»
Thora arrossì e cercò di trovare qualcosa da dire, qualunque cosa, per convincerlo che era una ragazza seria. A poco a poco, però, la serata cominciò a riaffiorare tra i fumi dell’alcol, e la donna dovette confessare a se stessa che quanto era successo non le dispiaceva affatto. «Non so proprio che cosa mi sia preso», disse arrossendo ancora di più.
«Perbacco, quanto ti scaldi per niente», constatò Matthew posando la mano sopra la sua, nascosta sotto le lenzuola.
«Io non faccio mai queste cose, punto e basta. Sono madre di due bambini e tu sei uno straniero.»
«Dal momento che hai dei figli, dovresti sapere bene come si fa», rispose lui sogghignando. «Il meccanismo è uguale in ogni parte del mondo, suppongo.»
Il rossore sulle guance virò sul porpora, e quando le venne in mente Amelia Guntlieb, il terrore la attanagliò. «Hai forse intenzione di raccontare la nostra nottata alla famiglia Guntlieb?»
Matthew buttò la testa all’indietro e scoppiò in una fragorosa risata, al termine della quale guardò la sua compagna e le disse: «È ovvio. Nel nostro contratto di lavoro c’è una clausola che mi intima di consegnare alla famiglia, alla fine di ogni mese, un dettagliato rapporto delle mie relazioni sessuali».
Quando si rese conto che Thora l’aveva preso sul serio aggiunse: «Certo che non lo faccio, come ti vengono in mente certe idee?»
«Non lo so, ma non vorrei si spargesse la voce che è mia abitudine andare a letto con i miei collaboratori. Una cosa del genere non l’ho mai fatta prima d’ora.» Calcolando che i suoi colleghi erano il vecchio Bragi, la terribile Bella e il verecondo Thor, quella dichiarazione pareva abbastanza surreale.
«Strano, se penso che mi sei praticamente saltata addosso», ribatté guardandola malizioso.
Thora roteò gli occhi fingendosi esasperata, ma in effetti le pareva di ricordare che era stata davvero lei a fargli delle avance, se la memoria non l’ingannava. «Sto morendo dal mal di testa. Al momento non ho la mente lucida.»
Matthew si alzò dal letto. «Io dovrei avere dell’aspirina effervescente. Te la porto subito, e vedrai come ti sentirai subito meglio.»
Prima che Thora facesse in tempo a bloccarlo, lui era già sceso dal letto e si era avviato alla toilette. Nudo da capo a piedi. Come mai gli uomini sono meno vergognosi delle donne? pensò Thora cercando di soffocare sul nascere altri pensieri molesti, nati dalla considerazione che quell’uomo aveva proprio un bel fisico, snello e aitante. In fondo in fondo quel suo peccatuccio non era poi stato così disonorevole. Thora ascoltò lo scorrere dell’acqua del rubinetto nel bagno e richiuse gli occhi.