A quel punto era come se alcuni capitoli della storia famigliare fossero stati cancellati dall’album, infatti le immagini che ora Thora guardava la proiettavano avanti nel tempo di almeno cinque anni. Il capitolo nuovo cominciava con una foto in cui la famiglia al completo era in posa, ed era la prima in cui compariva anche il signor Guntlieb, uomo dall’aspetto dignitoso e chiaramente più anziano di sua moglie. Tutte le persone ritratte indossavano i loro abiti più belli ed eleganti e in più si era aggiunta una bambina che stava in grembo a sua madre. Si trattava senza dubbio della figlia minore della coppia, l’unica oggi ancora in vita. La piccola malata sedeva, ora, su una sedia a rotelle. Non ci voleva un particolare occhio clinico per rendersi conto della gravità della sua situazione, legata com’era da lacci, con la testa riversa all’indietro e la bocca spalancata. La mandibola, invece di scendere verso il basso, era inclinata su un lato, denotando l’impossibilità da parte della ragazzina di controllare i suoi movimenti. Lo stesso valeva anche per gli arti superiori: un braccio era contorto fino al gomito e la mano piegata in modo abnorme verso il braccio stesso, con le dita a mo’ di artiglio. L’altro braccio giaceva inerte sul suo grembo. Dietro la sedia a rotelle si era sistemato Harald, che ora doveva avere sugli otto anni. L’espressione del suo volto non assomigliava a niente di quanto Thora avesse potuto intravedere nel viso di un bambino di quell’età: era come se lui avesse cessato di vivere. Benché nessuno dei membri della famiglia, compreso il fratello maggiore, fosse l’espressione della felicità, il piccolo Harald faceva pena, nella sua cupa tristezza. Doveva per forza essere successo qualcosa di grave, qualcosa che forse andava oltre una semplice costernazione per il destino crudele capitato alla sorellina. Che si trattasse di una profonda depressione che, seppur in rari casi, colpiva anche i bambini? Depressione causata dalla mancanza di attenzioni o dalla concorrenza tra i fratellini per l’amore dei genitori, anch’essi depressi? Se era questo il caso, era anche palese, dalle foto che seguivano, che i coniugi non avevano saputo né affrontare né risolvere la crisi famigliare. In nessuna delle fotografie offrivano al piccolo Harald la benché minima parvenza di affetto o contatto fisico, e il bambino era sempre un po’ in disparte, distaccato dagli altri tranne che in quelle poche foto dove suo fratello maggiore si trovava dritto, in piedi, al suo fianco. Era come se sua madre l’avesse completamente dimenticato o lo ignorasse volutamente. Thora si riservò di non trarre conclusioni affrettate, basate esclusivamente su vecchie foto che mostravano soltanto attimi infinitesimali della vita di una famiglia a lei sostanzialmente sconosciuta, momenti che magari rendevano solo un’immagine sfocata e irreale di comportamenti e pensieri.
Bussarono alla porta e Bragi fece capolino nell’ufficio: «Hai un paio di minuti?»
Thora annuì e lo fece accomodare. Il socio aveva poco meno di sessant’anni, ed era una di quelle persone che spiccano non soltanto per l’altezza, ma anche per la corporatura. Aveva tutto più grande della media, comprese mani, orecchie e naso. Bragi si fece cadere sulla sedia imbottita davanti alla scrivania e girò verso di sé il dossier che Thora stava consultando. «Com’è andata?»
«L’incontro? Benissimo, credo…» rispose Thora e si mise a guardare l’uomo che sfogliava, quasi senza interesse, l’anomalo album di famiglia.
«Che ragazzo triste, che viso sciupato…» disse Bragi indicando con il dito una delle immagini di Harald. «È lui la vittima, per caso?»
«Proprio così», rispose Thora. «Certo che sono delle strane fotografie.»
«Non saprei cosa dire. Dovresti vedere com’ero io da piccolo. Da ragazzo ero orribile, anzi, quasi senza speranza, e le foto di quel periodo lo testimoniano.»
Thora non si scompose di fronte a tali confessioni, ormai era abituata a ogni tipo di rivelazioni sconcertanti da parte del suo socio. Era sicuramente un’esagerazione dire che da ragazzo era stato orrendo, così come lo era la storia secondo cui era stato costretto, per pagarsi gli studi, a lavorare contemporaneamente come guardiano notturno alla pesa pubblica del porto e come pescatore il fine settimana. Ciò nonostante si era affezionata al suo modo di fare. Bragi con lei si era sempre comportato da gentiluomo, e, quando le aveva proposto, tre anni prima, di mettere su quello studio legale insieme, Thora aveva accettato con entusiasmo. A quei tempi era impiegata presso uno studio di noiosi avvocati di discreta fama e non vedeva l’ora di andarsene: non sopportava più di passare la pausa caffè ad ascoltare storie di pesca al salmone o di cravatte alla moda.
L’uomo spinse di nuovo la cartella verso Thora. «Hai deciso di accettare l’incarico?»
«Penso proprio di sì. Fa bene ogni tanto affrontare qualcosa di nuovo, di sconosciuto.»
«Non ci contare tanto, credimi. Non ci fu niente di emozionante quando, l’anno passato, dovetti affrontare l’esperienza nuova e sconosciuta di operarmi al colon!»
Thora non aveva alcuna voglia di addentrarsi in questo genere di conversazione e si affrettò a dire: «No, sai bene che intendevo un’altra cosa».
Bragi si alzò. «Certo, certo. Volevo soltanto metterti in guardia sulle possibili conseguenze.» Si avviò verso la porta e sulla soglia aggiunse, voltandosi: «E se chiedessi a Thor di aiutarti?»
Thor era un avvocato fresco di laurea che lavorava da loro da poco più di sei mesi e che, pur essendo un tipo alquanto schivo e riservato, aveva già dimostrato una tale diligenza che avrebbe potuto far comodo a Thora, in caso di bisogno. «A dire il vero, mi ero riproposta di passargli i casi a cui sto lavorando in questi giorni, proprio per alleggerirmi e concentrarmi solo su questo. Ho ancora una montagna di impegni da sbrigare.»
«Naturalmente, non ti preoccupare, fai come desideri», disse uscendo.
Thora tirò a sé la cartella e riprese la lettura da dove era stata interrotta. Esaminò il resto delle foto che mostravano la crescita di Harald, ora diventato un attraente ragazzo dalla pelle e dai capelli chiari come quelli di sua madre. Suo padre, invece, era più scuro e il suo volto non era di quelli che si ricordano. Nell’ultima pagina c’erano solamente due fotografie, entrambe chiaramente scattate presso uno studio professionale, l’una in occasione di una laurea, presumibilmente quella ottenuta da Harald presso l’Università di Monaco, l’altra relativa all’inizio o alla fine del servizio di leva, dove Harald compariva con l’uniforme dell’esercito tedesco. Thora non conosceva abbastanza bene le uniformi per poter dire a quale reggimento appartenesse, ma contava di ricevere le dovute informazioni dal dossier, sotto la dicitura «Leva».
Nelle pagine successive si trovavano le fotocopie del curriculum scolastico di Harald, dall’inizio degli studi fino alla laurea: a giudicare dai voti, il ragazzo era stato uno studente esemplare. Aveva sempre riportato voti eccellenti che, per esperienza personale, Thora sapeva difficili da ottenere nel sistema scolastico tedesco. L’ultima delle fotocopie veniva dall’Università di Monaco, dove Harald aveva ottenuto la laurea in Storia a pieni voti. Dalle date dei vari anni scolastici si notava che il ragazzo si era preso una pausa dagli studi prima di iscriversi all’università. Forse c’entrava qualcosa il servizio militare, anche se le sembrava piuttosto strano che con quei voti avesse preferito sprecare il tempo in caserma. Certo, la leva era ancora obbligatoria, in Germania, ma non era difficile ottenere il congedo provvisorio o addirittura l’esonero definitivo dal servizio militare, soprattutto se si avevano genitori ricchi e potenti come i suoi.
Thora sfogliò ora la seconda parte del dossier, classificato «Leva». Era un capitolo piuttosto scarno di notizie. La prima pagina era la fotocopia dell’immatricolazione di Harald Guntlieb nella Bundeswehr — l’esercito della Germania Unita — nel 1999. Da quanto Thora capiva di quel tedesco burocratico, Harald aveva scelto la fanteria, cosa strana, perché lei avrebbe giurato che fosse piuttosto un tipo da marina o aviazione. Seguiva un documento con l’ordine ricevuto, dal battaglione di appartenenza, di partire per il Kosovo, mentre la terza e ultima pagina di quella sezione era la comunicazione dell’espulsione di Harald dall’esercito: era datata sette mesi dopo e non conteneva alcuna ulteriore spiegazione, tranne un accenno a «medizinische Gründe», cioè motivi di salute. A margine della fotocopia qualcuno aveva aggiunto un chiarissimo punto interrogativo. Thora ne dedusse che doveva trattarsi della scrittura di Matthew il quale, a quanto ne sapeva, aveva raccolto quel dossier tutto da solo. Lei fece un appunto sulla sua agenda per ricordarsi di chiedere all’uomo dettagli più precisi sull’argomento, poi passò al capitolo successivo.