Tutta una serie di idee strampalate le passarono per il cervello, ma lei decise di darci un taglio. Si alzò in piedi e andò a cercare Matthew. Lo vide uscire dalla camera con il suo pesantissimo bagaglio.
Non appena l’uomo ebbe pagato il conto dell’albergo, Thora lo prese sottobraccio e quasi lo trascinò fuori.
«Che ti prende?» chiese stupito da tanta foga.
«Sono sopraggiunti dei problemi famigliari e devo tornare a casa il più presto possibile.»
Senza domandare oltre lanciò le valigie sul sedile posteriore e si sedette al volante, poi guidò senza interruzione fino a Reykjavik, passando per Hella, Selfoss e Hveragerdi. Matthew non disse quasi niente lungo il percorso, ma quando raggiunsero Kambarnir le chiese se poteva fare qualcosa per aiutarla, e Thora gli rispose che nemmeno lei sapeva in quale guaio si fosse cacciato suo figlio, ma doveva essere una faccenda delicata e doveva appunto raggiungerlo per discuterne. Continuarono a macinare chilometri in silenzio finché nei pressi del lago di Raudavatn, scoppiò una gomma.
«Che diavolo!» esclamò Matthew afferrando ancora più stretto il volante per non perdere il controllo dell’auto. Dovette poi rallentare la corsa e fermarsi all’angolo della strada.
«Oh, no! Oh, no!» gridò Thora guardando l’orologio. Mezzogiorno e venticinque. Potevano ancora farcela ad arrivare fino dall’altra parte della città per l’una, ma il cambio del pneumatico doveva essere all’altezza della Formula 1.
«Che schifo di gomme ci hanno rifilato», mormorò Matthew tra i denti mentre si dava da fare per togliere il cerchione. Alla fine ci riuscì e tutti e due si impegnarono a sollevare il telaio con il cric e a cambiare la gomma scoppiata. Al termine dell’operazione, Matthew prese il pneumatico bucato e lo scagliò sul sedile di dietro, sopra il trolley di Thora. Ma lei non ci fece nemmeno caso in quel momento.
Poi rientrarono in macchina a tempo di record e Matthew partì sgommando. «Aspetta qui», disse Thora quando frenarono davanti al portone di casa sua, uscendo di corsa dalla vettura. Correndo prese le chiavi dalla borsetta per non farsi fermare dal campanello, poi lo suonò comunque con la mano sinistra per far sapere a suo figlio che era tornata, mentre con la destra apriva la porta. «Gylfi», lo chiamò ansimante.
«Ciao, mamma.» Soley le andò incontro con un sorriso solare. Se era successo qualcosa, le doveva essere completamente sfuggito.
«Ciao, tesoruccio della mamma. Dov’è tuo fratello?» Thora le passò accanto per dare un’occhiata alla camera di suo figlio.
«Se n’è andato. Ho un messaggio per te», disse la bambina estraendo dalla tasca dei pantaloni un foglietto piegato in quattro.
Thora le strappò di mano il bigliettino. Mentre lo apriva, le chiese: «Quando è uscito? E dov’è andato?»
«È appena andato via. Un’oretta fa.» Soley ancora non aveva afferrato il senso degli orari, il che significava che Gylfi poteva essere uscito un secondo o due settimane prima. «Dov’è andato c’è scritto nel biglietto.»
«Vieni.» Thora lesse l’indirizzo, una via non lontana dalla loro casa. «Andiamo a fare un giro in macchina con quel bravo signore.» Le mise il giubbotto di Gylfi sulle spalle, le infilò alla meglio gli stivali di gomma e la spinse fuori. Poi aprì con decisione la portiera posteriore della jeep e aiutò sua figlia a salire con rapidi gesti. Lei stessa si precipitò nel posto davanti e pregò Matthew di partire immediatamente, quindi procedette a una frettolosa presentazione bilingue: «Matthew, ti presento mia figlia Soley. Lei parla solamente islandese. Soley cara, questo è Matthew. Lui non parla l’islandese, ma so che diventerete buoni amici».
Matthew trovò il tempo per girarsi e lanciare un sorriso amichevole alla bambina. «Graziosa come sua madre», disse mentre curvava seguendo le direzioni di Thora. «E ha anche lo stesso gusto nel vestire.»
«Qui, gira a destra. Sto cercando il numero 45», lo informò Thora senza fargli caso. La casa si presentò di fronte a loro dietro l’angolo, riconoscibile per il fatto che si intravedeva la schiena di Gylfi dirigersi verso l’ingresso. «Laggiù», ordinò Thora con voce frenetica indicando suo figlio. Matthew si precipitò a parcheggiare sul marciapiede davanti alla villa, dato che il posteggio destinato agli ospiti era già occupato. Thora riconobbe l’auto come quella di Hannes, e non appena la jeep si fermò, aprì immediatamente la portiera e uscì di corsa. «Soley, aspetta qui con il mio amico Matthew.»
Gylfi si voltò, dopo aver sentito sua madre gridare a squarciagola il suo nome diverse volte mentre correva verso di lui. Era già arrivato al portone e ora l’aspettava con aria scoraggiata davanti al citofono. «Ciao», la accolse triste e sconsolato.
«Ho fatto tardi», si scusò Thora trafelata, poi gli pose una mano sulla spalla. «Che diavolo sta succedendo, tesoro? Chi abita qui?»
Gylfi la guardò con un’espressione da cui trapelava una disperazione ormai totale. «Sigga è incinta. Io sarei il padre. I suoi genitori abitano qui…»
Il portone si spalancò prima che concludesse la frase. Thora era rimasta di stucco. Per qualche ragione non riusciva a togliere lo sguardo dall’Ipod appeso al collo di suo figlio, forse perché lo stava guardando nel momento in cui le era crollato il mondo addosso. Se l’uomo che aprì la porta non fosse stato nero in volto per la rabbia, le avrebbe probabilmente sorriso vedendola lì fuori a bocca aperta. «Buongiorno!» le disse invece secco un signore di mezza età, che poi si rivolse a Gylfi, gli lanciò un’occhiata di disprezzo e aggiunse: «Salve». Da quell’unica parolina traspariva ben altro che un augurio di felicità e successo. Tra le righe si poteva invece leggere la seguente affermazione: Vai al diavolo, tu che corrompi le figlie giovani e innocenti di persone per bene.
La gentilezza innata di Thora le fece rispondere con un sorriso forzato: «Salve a lei, io sono Thora, la madre di Gylfi».
L’uomo sbuffò ma li invitò a entrare. I due si tolsero le scarpe sotto lo sguardo attento del padrone di casa, che si era appoggiato con fare intimidatorio allo stipite della porta del salotto. Sembrava quasi aspettarsi che Gylfi, dopo aver disonorato sua figlia, passasse all’azione contro sua moglie.
«Grazie», disse Thora di punto in bianco passando oltre l’uomo ed entrando nel salotto. Teneva strette le spalle di suo figlio con entrambe le mani e lo guidava come una marionetta, quasi volesse proteggerlo nel caso all’uomo saltasse in testa di sferrare il suo attacco. Quando entrarono nell’ampio e spazioso soggiorno, poterono vedere tre persone: Hannes, che Thora riconobbe dalla nuca, una donna pressapoco sua coetanea che si levò in piedi al loro ingresso, e una ragazzina seduta in una sedia discosta, con la testa reclinata sul petto in completa resa.
«Allora, finalmente siete arrivati», gracchiò la donna con voce stridula. Oh, Dio, fa che il mio nipotino erediti la mia voce, pregò Thora tra sé e sé, tentando una seconda volta di strizzare fuori uno straccio di sorriso. Le sue mani non lasciavano però la presa sulle spalle di Gylfi.
«Hannes», disse Thora guardando il suo ex marito e cercando di lanciargli un messaggio con lo sguardo: ora sì che bisognava comportarsi da uomo, da padre responsabile, permettendo a lei invece di scomparire tra la mobilia della stanza. Ma purtroppo lui non sembrava aver recepito il significato di quell’occhiata, anzi la fissò con uno sguardo di rimprovero. «Ciao, Sigga», continuò Thora con tutta la gentilezza che poteva, rivolgendosi alla ragazzina che sollevò la testa. I suoi occhi erano gonfi di pianto, e due lacrime grosse e pesanti le colavano sulle guance.