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Gylfi si svincolò dalla presa di sua madre e corse verso la povera ragazza. «Sigga!» disse gemendo, chiaramente emozionato nel vedere la sua amata così malconcia.

«Oh, che bella scena!» sbraitò la donna. «Romeo e Giulietta, ma guarda un po’. Mi viene da vomitare.»

Thora si voltò di scatto verso la madre di Sigga, infuriata per quelle parole. Certo, i due ragazzini avevano commesso un errore gravissimo, ma mettersi a prenderli in giro non le faceva certo onore. Thora non era abituata a perdere il controllo di se stessa, ma davanti a quel quadretto di odio famigliare si sentì il dovere di replicare: «Mi scusi, ma non le pare che la cosa sia già abbastanza complicata, per mettersi a peggiorare la situazione con del sarcasmo?» Hannes schizzò in piedi e la trascinò a forza sul divano. La donna cominciò a singhiozzare, gli occhi colmi di un’ira sconfinata.

«Ora vedo da dove ha imparato le buone maniere suo figlio», esclamò poi invelenita, seduta con la schiena diritta come una ballerina. Suo marito invece preferiva rimanere in piedi, e così impalato in mezzo alla stanza sembrava un iceberg che incombeva su di loro.

«Mamma!» gemette Sigga tra le lacrime. «Stai zitta, ti prego», le disse, e la cosa piacque subito a Thora. Quella ragazza sarebbe presto diventata sua nuora, ed era bene che avesse un carattere forte.

«Perché diamine vi mettete a litigare ora?» si sentì provenire dall’iceberg. «Se non siamo in grado di discutere la situazione da persone civili, allora è meglio lasciar perdere. Ci siamo riuniti qui da noi per guardare in faccia la realtà. O meglio questa terribile notizia, che ha sconvolto un po’ tutti. E basta.» La parola terribile era stata pronunciata con intenso calore.

Hannes si alzò in piedi. «D’accordo, cerchiamo di mantenere la calma. La cosa non è facile per nessuno dei presenti.»

La donna lanciò uno sbuffo di disprezzo.

«Ecco, appunto», proseguì Hannes con espressione grave. «Intanto vorrei cominciare col dire che la questione mi rammarica profondamente, e per conto della mia famiglia vorrei chiedere umilmente scusa per il comportamento sventato di nostro figlio e per il dolore che vi ha causato.»

Thora contò fino a dieci per digerire le parole del suo ex marito prima di ucciderlo. Rivolgendosi verso di lui, disse con estrema calma: «Tanto per cominciare, e perché sia chiaro a tutti, noi non siamo una famiglia. Io, mio figlio e mia figlia siamo una famiglia. Tu invece non sei altro che uno dei tanti padri del fine settimana che non sa nemmeno prendere le difese del proprio figlio nel momento del bisogno». Il suo sguardo, fisso negli occhi di Hannes, aveva avuto l’effetto desiderato. Il volto di suo figlio brillava di gioia. Thora ribadì le sue affermazioni: «Perché sia chiaro a tutti».

Hannes boccheggiava, ma non ebbe il tempo di intervenire perché la madre di Sigga scattò ancora: «Veramente in stile. Approfitto dell’occasione per farvi notare che tra breve quel tesoro, figlio tuo o vostro che sia…» le scene madri dovevano essere una sua specialità, perché la donna amplificò l’impatto delle sue parole indicando Gylfi con gesti esagerati e melodrammatici «…diverrà un padre del fine settimana proprio come suo padre.»

«No», esclamò Gylfi, che proseguì orgoglioso di sé: «Io… voglio dire noi. Noi. Noi intendiamo rimanere insieme. Ci prendiamo un appartamento in affitto e ci prendiamo cura del bambino.»

Thora dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. Gylfi con un appartamento in affitto! Ma se non aveva la minima idea che la maggior parte di ciò che considerava ovvio (il riscaldamento, l’elettricità, la televisione, l’acqua e la spazzatura) costava dei soldi! Comunque non era il caso di puntualizzarlo in quel frangente. Se si era messo in testa di andare a vivere da solo in un appartamento in affitto, era meglio lasciarlo fare.

«Sì!» guaì Sigga. «Certo che possiamo farlo. Io sto per compiere sedici anni.»

«Stupro di minori!» gridò sua madre. «Ecco quello che è accaduto! Non ha nemmeno sedici anni, mia figlia! Questo è uno stupro bell’e buono!» disse indicando Gylfi e urlandogli: «Delinquente!»

Thora stentava a capire come questa scenata isterica potesse migliorare le cose, quindi rivolgendosi alla ragazza le disse: «A che mese sei, amore?»

«Non lo so, forse tre mesi. O perlomeno non ho avuto le mestruazioni negli ultimi tre mesi.» Suo padre arrossì fino alla punta dei capelli.

Gylfi aveva compiuto sedici anni un mese e mezzo prima. «Mi permetto di farvi notare che, secondo la legge, questo reato riguarda i minori di quattordici anni, e non di sedici. Inoltre mio figlio non aveva ancora compiuto i sedici anni al momento del concepimento, e se seguissimo la sua logica allora anche lui potrebbe aver subito delle molestie sessuali, come lo stupro si chiama oggi a termini di legge.»

«Che razza di stronzate sono queste?» sbuffò il padre. «Come se una donna potesse violentare un uomo! Senza contare che la donna in questione è una bambina, una bambina ai primi anni delle superiori.»

«La cosa dovrebbe cambiare le carte in tavola davanti a un tribunale», affermò l’uomo compiaciuto di se stesso.

«Non cambia un tubo», rispose Thora. «Nelle leggi non si fa menzione della classe frequentata, ve lo posso garantire io.»

Il padrone di casa si spazientì. «Froci bastardi di parlamentari!»

«Siete tutti impazziti!» urlò Sigga con voce stridula. «Questo è il mio bambino. Sono io che lo porterò dentro, che avrò il pancione, che mi rovinerò il seno e che non potrò più andare agli appuntamenti.» E poi scoppiò a piangere.

Gylfi tentò di consolarla con quello che al momento gli sembrava incredibilmente romantico. Con voce intrisa di sentimentalismo le disse, in modo che tutti sentissero: «Non me ne importa niente se ti viene una pancia grossa e sformata e dei seni schifosi. Io non ti lascerò mai, e non inviterò mai più nessuna a degli appuntamenti. Ci andrò da solo. Io ti amo più di tutte le altre ragazze!»

Sigga pianse ancora più forte mentre gli adulti fissarono Gylfi a bocca aperta. In un certo qual modo quella dichiarazione d’amore così assurda aveva aperto loro gli occhi sul fatto che madre natura questa volta aveva commesso un errore madornale. Quelli erano due bambini che dovevano avere un bambino. E stare a discutere di chi fosse la colpa non serviva a nessuno.

Quando anche Hannes si rese conto della situazione, si girò verso Thora e le disse con il volto sconvolto dall’ira: «Questa è tutta colpa tua. Tu che vivi senza freni e dormi con chiunque ti pare se solo ti mostra un po’ d’interesse. Mentre io abitavo ancora con te, nostro figlio queste cose non le faceva, e invece adesso fa di tutto per imitare il modello che si trova sotto gli occhi!»

Thora era troppo sbalordita per potergli rispondere. Vita sfrenata? Un’unica notte in due anni, e di cui lui non sapeva ancora niente? Ma se addirittura suo nonno, che aveva ottantotto anni, l’aveva esortata a uscire di più e ad andare a divertirsi!

«Lo sapevo, sei una puttana!» gridò la madre con un tono così stridulo che quasi perforò i timpani dei presenti. «Una maniaca del sesso, tale madre tale figlio, lo dico sempre.» La donna guardò Thora con aria trionfante.

L’aiuto le giunse dalla parte più inattesa di quel gruppetto, quando il marito della signora disse glaciale: «Se la buttiamo sull’ereditarietà, almeno ora siamo sicuri che tua figlia non ha ereditato la frigidità dal gene materno.»

A questo punto i giochi erano fatti. Ormai aveva inquadrato i futuri suoceri di suo figlio, e ne aveva già avuto abbastanza. La aspettavano un battesimo, una serie di compleanni, una cresima e Dio solo sa cos’altro senza alcun aiuto da parte loro. A Thora, inoltre, non andava di ascoltare i segreti più intimi di queste persone, soprattutto in quell’occasione tanto stressante. Così si alzò in piedi e disse: «Sapete che vi dico? Non capisco a quale genio sia venuta in mente la brillante idea di incontrarci tutti qui». Girandosi verso Hannes, proseguì: «Siete liberissimi di accapigliarvi con il padre di Gylfi anche fino a notte inoltrata, se volete. Io invece ne ho avuto abbastanza di tutti voi». Si alzò in piedi per andarsene, e con tutta la dignità che le rimaneva disse: «Gylfi, vieni via». Poi, rivolgendosi alla povera Sigga che ancora piangeva a capo chino, aggiunse: «Sigga mia, il vostro bambino sarà sempre il benvenuto a casa mia, e anche voi due, se volete abitare da me. E ora addio.»