Girò le spalle alla compagnia e si allontanò con passo regale, con Gylfi che la seguiva docile. Ormai il cervello le si era asciugato. Uscirono sbattendosi la porta alle spalle e si incamminarono verso l’auto. Senza aprire bocca, Thora si sedette davanti, mentre Gylfi andò sul sedile posteriore accanto a sua sorella.
«Parti subito», ordinò Thora mettendosi una mano sulla fronte, poi guardò Matthew e gli disse, sapendo che i suoi figli non capivano il tedesco: «Indovina un po’? Sono stata molto deprezzata là dentro. Tu hai dormito con una nonna, lo sai?»
Con sua grande sorpresa, Matthew scoppiò in una bella risata. «Devo riconoscere allora che le nonne islandesi sono assai diverse da quelle tedesche.» Poi si girò a guardare il ragazzo, che pareva sprofondato in una crisi esistenziale. L’unico punto di appoggio che Gylfi aveva al momento era sua madre, che però era reduce da una bella bevuta e magari non era stata all’altezza. «Ciao, figlio di Thora, io sono Matthew», gli disse facendo l’occhiolino a sua madre. Lei si girò e, in un impeto di solidarietà, stava per dire a suo figlio che Matthew era più di una semplice amico e collega, ma vedendo l’Ipod che dondolava ancora dal collo del ragazzo, cambiò idea.
«Gylfi, tesoro. Questo qui è Matthew, un mio collega di lavoro. L’ho invitato a cena, per cui noi due parleremo insieme tranquilli più tardi, dopo che sarà andato via, va bene?» disse ingoiando un groppo che le era comparso all’improvviso alla gola. Sarebbe diventata nonna a trentasei anni. Gesù, Maria, Spirito Santo e quell’altro della Santissima Trinità che non ricordo chi fosse, fate che il bambino nasca sano e che la vita dei suoi genitori sia sempre felice nonostante questo passo falso. Trattenne le lacrime che cercavano con forza di venir fuori. Ora che sapeva tutto, le vennero in mente alcune premonizioni facilmente decifrabili. Come le lamentele di Soley. Mi sono stufata. Gylfi non ha voglia di giocare con me. Si è chiuso in camera, salta sul letto e non mi vuole far entrare…
«Thora!» Matthew la estrasse dalla sua conchiglia. «Ho appena ricevuto una telefonata dal Museo della Magia. Abbiamo trovato la spiegazione al trattamento inferto al corpo di Harald.»
28
Thora non voleva cancellare l’invito a cena, ma aveva la testa altrove. Come ipnotizzata, buttò in pentola o nel microonde tutto quello che riuscì a racimolare nel frigorifero e in freezer, senza stare molto a badare al risultato.
«A tavola!», chiamò poi con brio simulato. Matthew si era già accomodato e seguiva stupefatto l’apparizione di una tazza dopo l’altra piene di cibo. Alla fine sulla tovaglia c’erano piselli, patatine, riso, cus-cus, zuppa, marmellata e piadine.
«Che bontà», commentò cortesemente quando tutti si furono seduti, allungandosi verso la tazza con i piselli.
Thora si riscosse e sospirò: «Manca qualcosa, eh?» Si rialzò per cercare di salvare il salvabile con delle lasagne surgelate, della pasta, della carne o del pesce, ma si rese conto che in frigo non c’era niente. Purtroppo non aveva fatto in tempo a fare la spesa e, travolta dagli eventi, non aveva pensato a fermarsi in un take away. Matthew la prese per l’avambraccio e la rimise seduta a tavola.
«Per me va benissimo. La cena sarà atipica, come d’altronde l’ora in cui la facciamo, ma non importa.» Poi sorrise ai ragazzi, che guardavano perplessi il miscuglio che Thora aveva messo nei loro piatti.
Thora gettò l’occhio all’orologio e si accorse che erano solo le tre del pomeriggio. Era chiaro che era completamente uscita di testa. Cercando di sorridere, si scusò: «Sono ancora sotto choc, ma forse tra un annetto o giù di lì mi riprenderò. Allora ti riinviterò a cena.»
«No, no, non ce n’è bisogno, veramente. È meglio che sia io a invitarti fuori a pranzo», scherzò Matthew mettendosi in bocca un pezzo di piadina senza niente dentro. «Buonissima, deliziosa», ripeté con malizia.
Nessuno finì tutto quel bendidio e presto il bidone della spazzatura si riempì di avanzi. Soley chiese il permesso di andare dalla sua amica Kristin, e Thora glielo concesse senza esitare. Gylfi, invece, si volatilizzò nella sua cameretta annunciando che avrebbe navigato su Internet. Thora sperava che non andasse a cercare siti sulla cura dei neonati. Vedendo nero su bianco in cosa si era andato a cacciare, si sarebbe completamente scoraggiato. Rimasti solo loro due, Thora e Matthew si sedettero sul divano del salotto, portandosi dietro le tazzine di caffè che lei aveva preparato da brava padrona di casa.
«Ma pensa un po’!» la stuzzicò Matthew fingendosi a disagio. «Visto come stanno le cose, è meglio che non mi fermi troppo. Le nonne non hanno bisogno di fare un riposino dopo mangiato?»
«Questa nonna qui ha voglia, più che altro, di un gin tonic», sbuffò lei, «ma visti i precedenti, mi accontenterò del caffè. Sappiamo entrambi quali effetti mi provoca l’alcol, e non vorrei ritrovarmi come Gylfi.» Sorridendogli, le comparve un’ombra di rossore sulle guance. «Dimmi piuttosto che novità ci sono dal Museo della Magia.» Thora si mise comoda nella poltrona, tirando su i piedi.
Matthew estrasse un foglio e lo posò sul tavolino davanti a sé. «Ha chiamato Thorgrimur dicendomi di essere riuscito finalmente a contattare quel tale Pall, il grande esperto. Per farla breve, gli ha spiegato per filo e per segno il significato del nostro simbolo magico. Sai perché ne sapeva così tanto?»
Thora scosse il capo, ma vedendo che Matthew si aspettava un po’ più di partecipazione da parte sua, aggiunse: «Non lo so, forse perché è un genio?»
«No. Beh, magari lo è, ma sapeva tutto su quella runa perché lo aveva colpito l’interesse morboso mostrato da Harald quando la vide in quel libro.»
«Ciò significa che Harald gli aveva chiesto qualcosa su quel particolare segno?» chiese Thora.
«Sì e no. Inizialmente si era messo in contatto con Pall per ricevere informazioni di carattere generale sulle rune magiche, soprattutto su quelle che non si trovano in nessun registro ufficiale. In seguito cominciò invece a interessarsi al libro di incantesimi che abbiamo visto anche noi in mostra. Pall gli spiegò il significato delle principali formule magiche presenti nel volume, e a un certo punto si accorse che Harald si era concentrato su una in particolare, una specie di rudimentale poesia che si poteva comunque classificare sotto la categoria delle formule d’amore. Noi comunque non l’abbiamo vista perché non era su quella formula che era aperto il codice nella bacheca. Ora puoi indovinare come era fatto quell’incantesimo.»
«Si prendono gli occhi da una persona morta per fare qualche magia?» rispose Thora con occhi speranzosi.
«No, tutt’altro, ma l’incantesimo è comunque assai importante. Serve per far sì che una donna si innamori di qualcuno, ovvio. Bisogna scavare una buca nel terreno sopra la quale la donna dovrà camminare, versarvi del sangue di serpente e scrivere il nome della donna assieme ad alcune rune magiche. Alla fine si deve recitare un sortilegio: appunto la cantilena ricevuta per posta dalla madre di Harald.» Matthew sorrise, fiero di sé.
«Quella che sembrava una poesia?» chiese conferma Thora.
«Esatto», rispose Matthew. «E non è l’unica cosa. Quel Pall ha aggiunto che Harald aveva un’interesse maniacale per la magia in questione e che avevano discusso la cosa sin nei minimi particolari: se il sortilegio riguardasse solamente un’amante o anche altri tipi di amori, se la buca dovesse essere sul pavimento o nel terreno e altre amenità del genere. Poi passarono a discutere della runa disegnata in margine alla pagina che conteneva la formula magica.» Matthew fece una breve pausa a effetto.