A Thora le parole di Matthew non suonarono molto convincenti. «Hanno intenzione di telefonare loro, oppure cosa? Che avete pensato di fare?»
«Chiameranno loro non appena arriveranno in albergo.» Matthew diede un’occhiata all’orologio. «Sicuramente tra breve. Ma se vuoi, posso telefonare direttamente io.»
Un bel dilemma. Thora non era in grado di decidersi. «Va bene, chiamale tu», disse a un tratto, ma cambiò subito idea: «No, non farlo».
La questione si risolse da sola. Il cellulare di Matthew squillò. Thora sospirò quando lui lo estrasse e, guardato il display, disse: «Sono loro». Poi schiacciò il tasto della risposta. «Pronto? Qui parla Matthew.»
Il dialogo si mantenne su un tono di circostanza. «È andato bene il viaggio?» «Oh, che peccato.» «Avete il nome dell’albergo, vero?» eccetera. La telefonata terminò quando Matthew disse: «Ci vediamo, allora. A risentirci».
Rivolgendosi a Thora, la rassicurò poi con queste parole: «Sei fortunata, nonnina!»
«In che senso?» chiese Thora emozionata. «La signora Guntlieb non è venuta?»
«Sì, sì, è venuta. Ma al momento è in preda a un attacco di emicrania e desidera rimandare il vostro incontro a domani. Al telefono era Elisa. Sono tutte e due in taxi sulla via per l’Hotel Borg. Lei ci vuole incontrare in albergo tra mezz’ora.»
29
La figlia non assomigliava per niente alla madre, ma aveva un aspetto ugualmente attraente. Era mora come il padre e molto più simile a lui d’aspetto, stando alle foto di famiglia nel dossier che Thora aveva visto. Tutto in lei denotava una semplicità estrema, a partire dai capelli lunghi raccolti in una coda di cavallo. Indossava pantaloni neri di buon taglio e una camicetta nera di seta. L’unico gioiello visibile era un anello con diamante all’anulare della mano destra, lo stesso che Thora aveva già notato nella fotografia della cucina. Ciò che la colpì di più era la magrezza estrema della ragazza, la cui mano ossuta le fece sospettare che sotto i vestiti si nascondesse un corpo addirittura scheletrico.
«Come stai?» le chiese Matthew dopo averla salutata abbracciandola con affetto. Thora si rese subito conto che Matthew non le dava del lei, come avrebbe dovuto fare un impiegato della famiglia. Evidentemente lui era assai vicino a quella gente, oppure ricopriva un ruolo talmente alto nell’azienda famigliare da non dover perdere tempo con i convenevoli.
Elisa imbastì un debole sorriso. «Non tanto bene. È stato un periodo molto difficile.» Voltandosi verso Thora, aggiunse: «Sarei venuta molto prima se avessi saputo che mi volevate parlare. Non mi sarei mai immaginata che la mia ultima visita ad Harald cambiasse così tanto le carte in tavola.»
Thora ne dubitava, anche perché la ragazza aveva fatto visita a suo fratello solo pochi giorni prima della sua morte, ma le disse solamente: «Non c’è problema, comunque ora è qui».
«Certo, ho comprato il biglietto non appena Matthew mi ha chiamato. Voglio esservi d’aiuto, se posso», disse in tono apparentemente sincero. Poi aggiunse: «E anche la mamma.»
«Benissimo», disse Matthew a voce stranamente alta, come se volesse segnalare a Thora di non dire qualcosa di poco conveniente.
«Sì, benissimo», ripeté allora lei per rassicurarlo che non aveva affatto l’intenzione di metterlo in imbarazzo.
«Perché non ci sediamo?» chiese Elisa. «Posso offrirvi del caffè, o un bicchiere di vino?» Dopo gli ultimi avvenimenti Thora aveva deciso di ridurre drasticamente l’alcol, per cui accettò una tazza di caffè. Gli altri due invece ordinarono del vino bianco.
«Allora», cominciò Matthew mettendosi comodo in una poltrona. «Che ci vuoi raccontare riguardo alla tua precedente visita in Islanda?»
«Non sarebbe meglio aspettare che ci portino le ordinazioni? Prima di parlare ho proprio bisogno di un buon vino», disse Elisa guardando Matthew con occhi supplicanti.
«Certamente», rispose l’amico di famiglia, piegandosi per darle una stretta alla mano posata sul bracciolo della sua poltrona.
Elisa guardò Thora come per farsi perdonare. «Non so come spiegarvelo, ma il ricordo di quella visita mi angoscia. Temo di essermi comportata da egoista e di non aver parlato di altro che di me stessa con mio fratello. Se solo avessi saputo che non l’avrei più incontrato, forse avrei potuto dirgli tante cose sui miei sentimenti nei suoi confronti…» Mordendosi il labbro inferiore, concluse: «Ma non l’ho fatto e non potrò farlo mai più».
Il cameriere arrivò con le ordinazioni, e Thora si pentì subito della propria morigeratezza mentre osservava i due tedeschi assaporare il loro bianco con vero piacere. Decise subito di riprendere a bere alla prima occasione, ma al momento non le sembrava il caso di andare a ordinarsi un bicchiere di vino. Peccato, troppo tardi.
«Innanzitutto desidero spiegarvi il motivo della mia visita ad Harald», riprese Elisa posando il bicchiere sul tavolo. Thora e Matthew annuirono incoraggianti. «Come ben sai, Matthew, sono in crisi profonda con i miei genitori. Loro vogliono che mi laurei in Economia e poi prenda in mano le redini della banca, come d’altronde si aspettano un po’ tutti. Harald era l’unica persona che mi spronava sempre a fare quello che desideravo, soprattutto suonare il violoncello. Agli altri invece sembra giusto che mi immerga nel mondo della Borsa, e che suoni solamente per passatempo. Harald però sapeva che così non poteva funzionare per me. Pur non essendo affatto un musicista, lui comprendeva che, se qualcuno possiede talento per uno strumento, allora deve dedicarvisi totalmente. Oppure smettere di suonare, senza ridursi a fare il dilettante.»
«Capisco», disse Thora pur non capendo affatto dove volesse arrivare.
«Per questo motivo parlammo così tanto di me durante la visita. Ero andata da lui sperando che mi infondesse coraggio e fu quello che ottenni. Harald mi disse di mandare a quel paese papà e mamma e continuare a suonare. Mi disse anche che il mondo era ormai pieno di cravatte con la testa che sapevano gestire una banca, ma che pochissimi sapevano suonare uno strumento bene come me.» E si affrettò ad aggiungere: «Le ‘cravatte con la testa’ erano sue parole, era il suo modo di esprimersi».
«E lei cos’ha deciso di fare, se non sono indiscreta?» chiese Thora incuriosita.
«Continuare a suonare», rispose Elisa sorridendo amaramente. «Mi sono comunque iscritta a Economia e comincerò tra breve a frequentare. Di solito si decide di fare una cosa e si fa poi l’opposto, no?»
«Allora tuo padre dev’essere contento adesso», intervenne Matthew.
«Beh, contento… In questa famiglia è difficile essere contenti. Soprattutto ora.»
«Elisa, so che è doloroso per lei discutere della propria famiglia, ma dopo aver letto lo scambio di e-mail che Harald tenne con suo padre, non abbiamo avuto l’impressione che i due andassero molto d’accordo.» Thora tacque per un momento e poi aggiunse: «E inoltre abbiamo anche ragione di ritenere che i rapporti non fossero buoni neppure tra madre e figlio.»
Elisa bevve un sorso di vino prima di rispondere. Guardando Thora dritta negli occhi, affermò: «Harald era il fratello migliore che si potesse desiderare. Forse non era una persona come tutte le altre, soprattutto negli ultimi tempi», Elisa tirò fuori la lingua e la toccò con le dita a forma di forbici, riferendosi a quella biforcuta di Harald, «ma avevo cieca fiducia in lui. Era un gentiluomo, e non soltanto nei miei confronti. Con nostra sorella era stato un tesoro. Nessuno era capace di prendersene cura come faceva lui.» Poi, abbassando gli occhi tristi verso il bicchiere sul tavolo davanti a loro, proseguì: «Mamma e papà, loro… Non so come spiegarlo… Non trattavano mai Harald con rispetto. Io ricordo di aver sempre ricevuto abbracci, carezze e infinito amore da loro, cose che invece non li ho mai visti fare nei confronti di Harald. Loro… era come se non lo sopportassero!» Poi si corresse in fretta. «Non che fossero cattivi o violenti con lui, sia chiaro, però proprio non lo potevano amare. Non so perché si comportassero così, davvero non riesco a trovarne una spiegazione plausibile.»