«Riteniamo che il cucchiaino sia stato utilizzato per togliere gli occhi dal corpo. Per quanto riguarda invece la perquisizione…» Markus ebbe un attimo di titubanza, che Thora interpretò come un possibile punto debole dell’indagine. «Ovviamente venne eseguita, e stiamo cercando di stabilire come abbia fatto quest’oggetto a passare inosservato. Stiamo indagando anche su questo, non si preoccupi.»
«Cosicché quello che avete in mano contro Halldor sono il contratto, la stellina e il cucchiaino insanguinato», riepilogò Thora notando come l’ispettore si agitava nella sua sedia. C’era ancora dell’altro. «Non direi che ciò incrimini il nostro Halldor senza ombra di dubbio, se mi consente. Poi lui avrebbe già un alibi, o sbaglio?»
«Il cameriere di una birreria!» esclamò Markus ironico. «Con lui ci dobbiamo parlare di nuovo, e non si stupisca se compariranno delle crepe nella sua testimonianza, quando lo metteremo sotto torchio.» La guardò con aria di sfida. «Inoltre abbiamo altre cosette che incriminano il suo cliente.»
«Cioè?»
«Durante la perquisizione nell’appartamento di Halldor, questa mattina, abbiamo scoperto due cosette che convincerebbero persino sua madre della sua colpevolezza.» Il volto di Markus trasudava un tale compiacimento, che Thora avrebbe voluto sbadigliargli in faccia e andarsene all’istante, lasciandolo con un palmo di naso. Invece la sua curiosità ebbe la meglio: «E che avreste trovato, sentiamo?»
«Gli occhi di Harald.»
31
Thora fissava in silenzio Halldor, seduto a testa china davanti a lei. Dal momento in cui era arrivata allo stanzino degli interrogatori, lui si era limitato a guardarla entrare, per poi riprendere subito la sua contemplazione del pavimento. L’avvocatessa sbuffò spazientita. «Senti un po’, se non hai intenzione di parlarmi, ho ben altro da fare con il mio tempo prezioso.»
Il ragazzo sollevò lo sguardo. «Ho voglia di una sigaretta.»
«Scordatelo. Qui è vietato fumare. Pensi di essere a una festicciola tra amici?»
«Ciò non cambia che mi va proprio una sigaretta.»
«Ti conviene fartela passare», poi addolcì il tono: «Tu sai perché sei stato arrestato, vero?»
«In un certo senso…»
«Allora ti sei reso conto della situazione in cui ti trovi. Una bruttissima situazione, a dire il vero.»
«Ma non l’ho ucciso io», esclamò Halldor guardandola fisso negli occhi. Non ottenendo soddisfazione, si mise a tormentare con un dito il buco che aveva sul ginocchio dei jeans. Il buco era stato certamente messo apposta per far pagare il doppio il modello.
«Una cosa deve essere chiara tra di noi, prima di continuare.» Thora attese che lo studente le prestasse totale attenzione e non riprese il discorso se non quando lui la guardò di nuovo in viso. «Io sto lavorando per conto della famiglia Guntlieb. Il che significa che i tuoi interessi e i loro non vanno affatto d’accordo. Soprattutto ora che ti hanno arrestato. Per cui ti consiglio di sceglierti un altro avvocato il prima possibile. Ti posso fornire i nomi di bravissimi legali, che ti forniranno l’assistenza di cui hai bisogno, ma questo è tutto l’aiuto che ti posso dare.»
«Non andartene. Voglio parlare con te. Nessuno di questi agenti mi crede», si lagnò lui.
«Non ti è passato per la mente che si siano stufati delle tue frottole?» gli chiese Thora piuttosto seccata.
«Non sto mentendo. Non in linea generale», s’inalberò Halldor.
«E suppongo che stia a te decidere quali siano le linee generali, vero?»
«Lo sai benissimo che intendo dire», scattò lui. «La cosa che conta di più è che non l’ho ucciso io.»
«E il resto? Gli altri particolari?»
«Così…»
«Se vuoi che ti sia di qualche aiuto, devi parlare apertamente con me. Io lo capisco al volo quando la gente dice delle bugie», aggiunse rubando la battuta e la sicurezza all’ispettore Helgason.
Halldor fece una smorfia ma capitolò. «D’accordo. Però ciò che ti sto per raccontare è top secret. Intesi?»
«Fino a un certo punto», precisò Thora. «Ti ho già detto che non intendo rappresentarti come avvocato difensore a un eventuale processo, ma sono qui in veste legale, per cui potresti dirmi quello che ti pare, eccetto ovviamente i delitti che hai intenzione di commettere in futuro.» Detto ciò, gli lanciò un sorriso d’intesa.
«Ma quali delitti!» riprese Halldor serio. «Mi prometti che quello che sentirai non uscirà di qui?»
«Ti prometto che la polizia non ne saprà niente, ma renditi conto che la tua posizione è già compromessa. Comunque, visto che ormai sono qui, ti conviene parlare chiaro, così vediamo se possiamo aiutarti.»
«Va bene», le rispose con un velo di dubbio nella voce. Poi aggiunse con arroganza: «Domandami, allora!»
«Gli occhi di Harald sono stati ritrovati a casa tua. Come lo spieghi?»
Le mani dello studente ebbero uno scossone. Poi Halldor prese a grattarsi nervoso il dorso della sinistra. Thora aspettò paziente che il ragazzo decidesse se dirle la verità o raccontarle una frottola, nel qual caso l’avrebbe piantato lì senza pensarci due volte.
«Io… Io…»
«Sappiamo entrambi chi sei tu», lo interruppe spazientita. «Rispondimi o me ne vado subito.»
«Non ho potuto spedirli», gridò a un tratto in preda al panico. «Non ho avuto il coraggio di farlo. Il corpo era stato ritrovato e avevo paura che scoprissero anche gli occhi all’ufficio postale. Mi ero riproposto di spedirli più tardi, quando si fossero calmate le acque. Intanto scrissi col sangue la formula magica, la infilai in una busta da lettere la domenica mattina successiva e la imbucai in una cassetta del centro.» Halldor tirò un profondo respiro al termine della sua confessione, e sigillò le labbra come se avesse l’intenzione di non dire più niente.
«L’hai fatto per rispettare il contratto?» lo incalzò Thora. «Volevi veramente onorare quell’assurdo patto sull’incantesimo della vendetta?»
Halldor la fulminò con lo sguardo. «Certo. Avevo giurato di farlo e volevo mantenere la parola data ad Harald. Era una cosa che contava molto per lui», rispose rosso in volto. «Sua madre era una vera e propria vipera.»
«Ma ti rendi conto della tua stupidità?» chiese Thora impietrita. «Come hai potuto farti venire in mente una cosa del genere?»
«Beh, comunque non l’ho ucciso io», tentò di difendersi.
«Aspetta, non siamo ancora arrivati all’omicidio», lo interruppe Thora esasperata. «Allora, se ho ben capito, sei stato tu a cavargli gli occhi, vero?»
Halldor annuì arrossendo.
«E te li sei portati a casa?»
Un altro cenno positivo.
«Se non ti sembro indiscreta, dov’è che li hai conservati fino a oggi?»
«Nel freezer, dentro il pane. Infilati in una busta di pane in cassetta.»
Thora si appoggiò allo schienale della sedia. «Ah, dentro il pane. In quale altro posto?» Poi cercò di scacciare dalla mente l’immagine dell’assurdo tramezzino che le si era formata in testa e continuò. «Come hai potuto fare una cosa tanto disgustosa?»
«Non è stato un problema. Ho adoperato un cucchiaino da caffè. È stato più difficile incidere la runa magica sul corpo. Non mi è riuscito per niente bene. Ormai ero partito, dovevo correre spesso alla finestra per prendermi una boccata di aria fresca.»
«Non è stato un problema, dici?» domandò Thora allibita. «Scusami, ma mi permetto di dubitarlo.»
Halldor le lanciò un’occhiata assassina. «Ho visto cose parecchio più disgustose di quella. E fatto cose più orribili. Come pensi che sia tagliare in due la lingua del tuo migliore amico? O seguire gli interventi in sala operatoria?»