Thora non aveva al suo attivo esperienze simili, ma dubitava che fossero più orripilanti che togliere gli occhi al cadavere di un amico con un cucchiaino. D’ora in avanti avrebbe sicuramente girato il caffè nella tazzina con un cucchiaio da minestra. «Comunque sia non si è trattato certo di un’operazione divertente.»
«Ovvio che no», esclamò Halldor alzando la voce. «Eravamo tutti quanti fuori di testa, te l’ho già detto.»
«Eravamo?» chiese Thora stupita. «Non eri da solo?»
Halldor ammutolì subito. Si rimise a stuzzicare il buco sui pantaloni e a grattarsi il dorso della mano. Thora dovette ripetergli la domanda per farlo parlare. «Non, non ero solo. Anzi, c’eravamo tutti: io, Marta Mist, Briet, Andri e Brjann. Eravamo ritornati dal giro nei locali del centro. Marta aveva voglia di altra droga e Briet le aveva detto che Harald aveva nascosto delle pillole di qualcosa nell’aula degli studenti.»
«Non c’era anche Hugi con voi?»
«No, quella sera non lo incontrammo più. Dopo essersi allontanato dal party con Harald, non lo rivedemmo più, così come Harald. Cioè, non lo rivedemmo in vita.»
«Così vi introduceste nell’Istituto Arni Magnusson», riprese Thora. «Ma come faceste a entrare? Il sistema di allarme non ha mostrato segni di movimento.»
«Il sistema non era stato attivato, anzi, credo che non lo sia quasi mai. La maggior parte della gente non ha nessuna voglia di girare per l’edificio a controllare che non ci sia più nessuno. Sono in pochi a farlo.»
«Thorbjörn Olafsson, il professore che seguiva Harald, è invece sicurissimo di avere azionato l’allarme», ribatté Thora. «Anzi, ne ha prova documentata.»
«Beh, l’allarme non era inserito quando siamo entrati noi. Chi ha ucciso Harald deve averlo disattivato prima che arrivassimo.»
«Comunque il portone era chiuso a chiave, e per entrare ci vuole un codice segreto», insisté Thora. «Tutte le informazioni vengono poi inviate a un database, secondo il quale nessuno sarebbe entrato nell’edificio.» La stampata del sistema d’allarme era compresa nella catasta di documenti che aveva ricevuto dalla polizia, cosicché su quello Thora non aveva dubbi.
«Noi entrammo attraverso una finestra lasciata aperta sul retro dell’edificio. Se ci tieni tanto a saperlo, quella finestra è sempre aperta, essendo nell’ufficio di un professore deficiente che non si ricorda mai di bloccarla. Almeno così afferma Briet. È stata lei a dircelo. Così, entrammo tutti per di là, dato che né lei né Brjann avevano con sé le loro chiavi.»
«E poi? Harald era già là dentro? Dormiva, smaltiva la sbornia, era morto o che altro?»
«Ti ho già detto che Harald non l’ho ammazzato io. Quando arrivammo non era affatto addormentato. Era dentro l’aula degli studenti. Sul pavimento. Morto. Morto stecchito. Blu e con la lingua di fuori. Non ci voleva certo un medico legale per capire subito che era morto per soffocamento.» I leggeri cambiamenti di tono nella voce di Halldor indicavano che non era poi un tipo così freddo come voleva dare a intendere.
«Ma non poteva essersi autostrangolato mentre si masturbava? Avete per caso portato via qualcosa che si potesse connettere a un’azione del genere?»
«No, affatto. Non c’era niente sul collo, eccetto un livido impressionante.»
Thora si mise a riflettere sull’intera questione. Se quel tipo le stava mentendo, doveva proprio essere un attore nato. «E che ora era esattamente?»
«Mah, più o meno le cinque di mattina. Forse le cinque e mezzo. Non lo so. Mi ricordo di essere entrato nel bar attorno alle quattro. Quanto tempo invece passammo a gironzolare per la città non potrei dirlo. Non dovevamo rendere conto a nessuno.»
Thora tirò un profondo sospiro. «E poi che successe? Cominciasti subito a cavargli gli occhi eccetera, oppure cosa? E come andò a finire il cadavere nello stanzino delle fotocopie?»
«Ovviamente mi diedi da fare immediatamente. Eravamo tutti lì impalati come degli stupidi. Non avevamo idea di cosa fare. Persino Marta Mist ebbe un attacco isterico, lei che di solito è calma come una pietra. Eravamo in preda alla disperazione e completamente fuori di testa. Poi Briet si mise improvvisamente a parlare del contratto, cercando di convincermi a esaudire le clausole che avevamo stipulato, altrimenti Harald mi avrebbe perseguitato dagli inferi. In effetti quel patto l’avevamo sottoscritto a uno dei nostri incontri spiritici davanti a tutti gli altri, per lo più per fare scena, anche se Harald questa storia l’aveva presa sul serio. Hugi era l’unica persona del giro che del contratto non sapeva niente. Harald diceva che lui non prendeva abbastanza sul serio la magia nera.»
«E il contratto riguardava solamente il sortilegio della vendetta?» domandò Thora.
«Beh, quello scritto sì», precisò Halldor. «Ma ne avevamo anche stipulato un altro simile. Si trattava di una magia d’amore che avrebbe dovuto risvegliare il tardivo affetto della madre di Harald per suo figlio e renderle la sua morte ancora più ardua da sopportare. Questo patto, però, era solamente orale, e per rispettarlo io avrei dovuto scavare una buca in fondo alla tomba di Harald e scrivervi una serie di rune magiche con il nome di sua madre. Poi avrei dovuto versarvi del sangue di serpente. Harald aveva già comprato il serpente per l’occasione. Me l’aveva consegnato una settimana prima di morire, e ancora ce l’ho a casa. Mi sta facendo impazzire. Bisogna nutrirlo con criceti vivi, e mi viene da vomitare solo a pensarci.»
Ecco perché Harald aveva comprato i criceti: per dare da mangiare al serpente. Ovvio. «Allora prevedeva già di morire?» domandò Thora stupita.
Halldor si strinse nelle spalle, con aria evasiva. «Io ho fatto solamente il mio lavoro. Mi ricordo che Marta Mist e Brjann avevano il voltastomaco mentre mi davo da fare sul corpo di Harald. Poi Andri disse che dovevamo portare il cadavere fuori dalla stanza, altrimenti saremmo stati i primi sospettati dell’omicidio. Siamo noi che adoperiamo quell’aula più di chiunque altro. Lì per lì ci sembrò sensato, perciò lo trascinammo fin dentro lo stanzino. Ma non c’era spazio a sufficienza per stenderlo sul pavimento, così lo mettemmo dritto in piedi dietro la porta, il che ci costò parecchia fatica. Poi tagliammo la corda e andammo a casa di Andri, che abita nei pressi dell’università, a Vesturbær. Marta Mist vomitò nel gabinetto fino all’alba, mentre noi altri rimanemmo seduti in salotto come statue di sale fino a che ci addormentammo.»
«Ma dove vi procuraste il sangue di corvo per sottoscrivere il patto?»
Un velo di vergogna pervase il volto del ragazzo, anche se cercava di nasconderlo. «Io e Harald andammo a caccia di corvi giù a Grotta, in riva al mare. E ne uccidemmo uno con una fucilata, dato che non avevamo alternative. Eravamo già stati allo zoo cittadino per controllare se qualcuno potesse regalarci o venderci un corvo, e avevamo parlato con tutti i negozi di piccoli animali. Ma senza alcun risultato. E il contratto doveva essere stilato con sangue di corvo.»
«E il fucile?»
«Presi quello di mio padre, che fa il cacciatore. Non si è accorto di nulla.»
Thora era rimasta a corto di domande. Poi si ricordò della cassetta con i pezzi di cadavere. «Halldor», riprese con voce tranquilla, «come spieghi le parti del corpo rinvenute a casa di Harald? Erano i resti di qualche vostra malefatta, o qualche sua proprietà?» In quelle circostanze forse non era appropriato usare la parola proprietà, ma per il momento poteva bastare.
Halldor tossì e si strofinò il naso. «Ah, sì, appunto… Non sono pezzi di cadavere, tecnicamente parlando.»
«Tecnicamente parlando?» ripeté Thora quasi urlando. «Per come stanno le cose, non mi stupirei nemmeno se mi dicessi che andavate in giro a profanare tombe come dei Frankenstein da strapazzo!»
«Ma no, si tratta solamente di roba portata via dal lavoro, spazzatura», minimizzò lui.