«No, non la riconobbi affatto», rispose la donna, di nuovo brusca e distaccata. «Le ragazze che lo venivano a trovare erano solitamente due, una alta con i capelli rossi, l’altra bassa e bionda, quella a cui si riferisce lei. Le due avevano in comune l’aspetto di due prostitute chiamate alle armi, cioè pesantemente truccate e vestite in tuta mimetica. Entrambe poco attraenti ed estremamente sgarbate. Penso che non mi abbiano mai rivolto un saluto, nonostante ci incontrassimo spesso. Per questo motivo non avrei potuto riconoscere la loro voce.»
Benché Thora concordasse con la signora circa la maleducazione di Briet e Marta, non poteva certo considerarle poco attraenti. Cominciava a sorgerle il sospetto che la donna si fosse presa una cotta per Harald e fosse gelosa delle sue amiche. Ma in quel momento la conversazione prese una nuova piega. «Beh, comunque tutto ciò non importa e non si collega affatto al nostro caso», annunciò, poi fece il gesto di rialzarsi e prese la lettera. «La ringraziamo vivamente per averci aiutato e provvederemo a risolvere il problema dell’appartamento.»
Anche Matthew si alzò e diede la mano alla signora, la quale lo guardò negli occhi sorridendo. Il sorriso con cui Matthew le rispose fu alquanto impacciato. «Perché non lo prende lei l’appartamento?» gli chiese la donna posando con grazia l’altra mano sul dorso di quella di Matthew.
«Sì, cioè no, mi dispiace ma non intendo abitare in questo Paese», rispose Matthew imbarazzato, mentre cercava di recuperare la sua mano senza offendere la donna.
«Peccato, Bella ne sarebbe entusiasta», commentò in tono amabile Thora, approfittando dell’occasione d’oro per rendergli pan per focaccia. La signora gli lasciò subito la mano.
«Tocca a te dargli il documento», affermò Thora mentre cercava di mettergli fra le mani l’ingombrante busta che la donna aveva fornito loro prima che se ne andassero, per prevenire ulteriori danneggiamenti alla povera lettera. Come se le sue condizioni non fossero già disperate.
«Nemmeno per sogno», ribatté Matthew incrociando le braccia strette. «È stata una tua idea, per cui io intendo solamente rimanere a guardare la sua reazione. Al massimo gli potrei dare un fazzoletto se scoppierà a piangere nel momento in cui aprirà la busta.»
«Non mi sento così da quando ammaccai la macchina del vicino, appena presa la patente», commentò in tono lugubre Thora. I due erano stati fatti accomodare nell’anticamera dell’ufficio di Gunnar, in attesa che il professore tornasse da una lezione. L’avvocatessa appoggiò la schiena alla poltrona e continuò: «Come se fossi stata io a rovinarla, questa dannata lettera».
«Comunque tocca proprio a te dargli la brutta notizia», insisté categorico Matthew controllando l’orologio. «Ma quando torna? Devo assolutamente mangiare qualcosa prima del tuo incontro con Amelia. Sei sicura, almeno, che il turno di riposo dei ristoratori termini a mezzogiorno, vero?»
«Faremo presto, non ti preoccupare. E tu potrai mangiare prima ancora di accorgertene.» Thora udì finalmente un rumore di passi provenire dal corridoio e si alzò per guardare fuori. Era per l’appunto Gunnar che procedeva a passo svelto verso il suo ufficio. Sotto le braccia teneva una pila di carte e di libri e sembrò stupito nel vederli.
«Buongiorno», disse mentre cercava la chiave del suo ufficio nelle tasche dei pantaloni. «Posso aiutarvi?»
«In realtà forse siamo noi che possiamo aiutare lei», esordì Thora simulando entusiasmo. «Volevamo mostrarle questo documento che abbiamo ritrovato da poco: potrebbe essere la lettera che stavate cercando.»
Il volto del professore si illuminò. «Che bella notizia», disse aprendo la porta del suo ufficio. «Entrate, prego. Non mi pare vero.» Arrivato davanti alla scrivania, vi depose il materiale che stava trasportando, poi si sedette e fece accomodare i suoi ospiti. «Dove mai l’avete trovata?»
Thora si sedette a sua volta e posò la busta sul tavolo. «A casa di Harald, in una cassa con altri oggetti. Solo che la dobbiamo mettere in guardia… la lettera non è affatto in buone condizioni.» Thora sorrise come per scusarsi. «La persona che l’ha ritrovata l’ha ridotta molto male.»
«Male?» chiese Gunnar aprendo la busta con cautela. Con altrettanta delicatezza tirò fuori la lettera, e più si rendeva conto delle sue condizioni, più il suo volto si incupiva. «Che diavolo le è capitato?» esclamò infine deponendo la lettera sul tavolo e restando a fissarla.
«Vede, la donna che l’ha trovata ha rinvenuto anche dell’altro e si è spaventata a morte», continuò Thora. «E ne aveva il motivo, può starne certo. È stata proprio lei a pregarci di riconsegnarvela, chiedendo scusa per quello che aveva combinato, e sperando che fosse possibile restaurarla.»
Gunnar pareva sotto choc. Guardava la lettera senza muoversi. A un tratto si mise a ridere, una risata particolarmente sgradevole, per nulla divertita. «Mio Dio», disse infine tra i denti non appena ebbe smesso di ridere istericamente. «Ora sì che Maria si arrabbia.» Il suo corpo ebbe un brivido nel pronunciare quel nome. Gunnar si mise ad accarezzare la lettera, poi la tirò verso di sé e la esaminò. «Comunque questa è proprio la lettera che cercavamo, e dovrei essere felice del suo ritrovamento», concluse riprendendo a sghignazzare.
«Maria?» chiese Thora. «Chi è Maria?»
«La direttrice dell’Istituto Arni Magnusson», rispose Gunnar con voce sconsolata. «È lei che ha il cuore a pezzi per colpa di questa faccenda.»
«Allora mi raccomando, le faccia sapere da parte della signora che l’ha ritrovata che le dispiace moltissimo per come l’ha ridotta, ma non l’ha fatto apposta», ribadì Thora.
Gunnar tolse lo sguardo dalla lettera e lo pose sull’avvocatessa. Il suo volto indicava che aveva ben poco da aggiungere. «Sì, senz’altro.»
«Invece vorrei approfittare dell’occasione per chiederle informazioni su una studentessa del suo dipartimento. Si tratta di Briet, un’amica di Harald.»
Gunnar la guardò torvo. «Che vuole sapere di lei?»
«Ci è stato detto che tra i due era sorto un contrasto. Qualcosa che riguardava un loro progetto in comune riguardante Brynjolfur Sveinsson. E che avrebbero litigato a causa di un documento scomparso. Ne sa forse qualcosa?» Thora si accorse che dietro la scrivania era appeso un ritratto maschile. «Non è lui questo qui nel quadro?» gli chiese indicando il dipinto.
Gunnar la fissò pensieroso prima di risponderle senza gettare nemmeno uno sguardo dietro di sé: «No, quello non è il vescovo, ma un mio bisnonno, che ha il mio stesso nome di battesimo. Come può notare lei stessa, indossa l’abito talare, non le vesti vescovili del diciassettesimo secolo.»
Thora avrebbe voluto sprofondare, e decise di non chiedere informazioni anche su una delle fotografie appese alla parete, che mostrava il professore in posa con un uomo che sembrava il contadino di Hella, quello che lei e Matthew avevano incontrato quando avevano visitato le grotte degli eremiti irlandesi. Il fatto che si fosse vergognata aveva ringalluzzito il professore, che disse con voce secca: «Voi siete gli ospiti più molesti che abbia mai ricevuto». Il suo viso era di pietra.
Thora ebbe un sussulto. «Ci dispiace molto. Volevamo solo chiarire alcuni particolari ancora oscuri, e Briet è uno di questi. Se comunque non ne vuole discutere con noi, potrebbe darci il nome del docente o dell’assistente che la seguiva.»
«No, no, vi posso rispondere io stesso. Ma devo ammettere che siete proprio bravi a scovare tutti gli scheletri nell’armadio del nostro dipartimento. E Briet è uno di questi.»
«Davvero?» chiese Thora con stupore. «Credevamo che la questione fosse delicata solamente per lei. Ci hanno detto che ultimamente si sia comportata in modo strano, ed è per questo che le abbiamo rivolto la domanda.»