«Ma non era buono?» le chiese Thora, ricordandosi di ciò che la sorella aveva detto di lui. «Elisa ne ha parlato come di una brava persona.»
«Era sempre alla ricerca di qualcosa», rispose la madre. «È meglio metterla in questi termini. Cercava in ogni modo di riconquistarsi la fiducia e l’amore del padre, che però non ottenne mai. Con me si era invece arreso quasi subito. L’unica cosa che lo salvò fu l’affetto che ricevette da suo nonno, che lo aveva sempre adorato. Ma quando lui morì la vita di Harald prese una piega sempre più assurda. Durante gli studi a Berlino si mise a drogarsi e a sfidare la morte. Uno dei suoi amici morì durante i loro giochi infernali. Lo venimmo a sapere quasi subito.»
«Ma non avete mai tentato di riconciliarvi con vostro figlio, in qualche modo?» domandò Thora pur sapendo in anticipo che la risposta sarebbe stata negativa.
«No», disse infatti la donna tagliando corto. «A un certo punto si mise in testa di studiare la magia e i testi che ne parlavano, un interesse che gli aveva trasmesso suo nonno. Dopo la morte di Amelia Maria, si arruolò nell’esercito e noi non facemmo niente per fermarlo. Quella decisione fu un errore, ma ora non voglio star qui a rivangare questi vecchi ricordi. Comunque, dopo meno di un anno di leva venne rispedito a casa. Allora però aveva già denaro in abbondanza tra le mani, avendo ereditato una grossa somma dal nonno, e da quel momento di lui non sapemmo praticamente più niente. Comunque, quando prese la decisione di venire quassù in Islanda, ce lo fece sapere con una telefonata.»
Thora guardava sconcertata la donna. «Se sta cercando comprensione da parte mia, mi dispiace, ma non posso fornirgliela. Però la compatisco per quello che ha sofferto. Non so come avrei reagito io stessa di fronte a tali disgrazie; forse allo stesso modo, ma mi auguro proprio di no.»
«Avrei veramente voluto essere così forte da poter ricostruire il mio rapporto con Harald. Ma ora è troppo tardi e devo tenermi il mio doloroso segreto per sempre.»
A Thora queste ultime parole sembrarono un’ironia, forse il malocchio che le era stato lanciato stava funzionando. «Non pensi che voglia infierire su di lei, ma ci tengo a dirle che quello che ha fatto ha afflitto anche molte altre persone. Per esempio, in questo momento è detenuto in prigione un giovane studente di Medicina che era diventato amico di Harald. Lui non ha alcuna speranza di rifarsi una vita, dopo aver conosciuto suo figlio.»
«Che ne sarà di lui?»
«Probabilmente verrà condannato per non aver riferito il ritrovamento del cadavere e per averlo mutilato, e dovrà farsi qualche anno di galera. Certo non potrà più tornare ai suoi studi di Medicina. Comunque credo che Harald lo abbia nominato nel suo testamento. Un premio di consolazione…»
«Pensa che sia stato un buon amico per mio figlio?» chiese la donna guardando Thora negli occhi.
«Sì, ne sono sicura. È stato lui ad adempiere alla promessa fatta, per quanto orribile e stupida fosse. Suo figlio, d’altronde, si sceglieva gli amici tra le persone più stravaganti del mondo.»
«Ci penserò io a quel ragazzo», disse la signora quasi bisbigliando. «È il minimo che possa fare. Se lui volesse, potrei farlo ammettere senza ostacoli ai corsi di Medicina da noi anche se venisse condannato per quello che ha commesso.» Allungò le dita, poi le intrecciò come se fosse in preda a dolori reumatici. «Mi sento meglio se posso fare qualcosa per alleviare la mia disperazione.»
«Se dice sul serio, può incaricare Matthew di questo compito. Se non c’è altro…» aggiunse alzandosi, nella speranza che la conversazione fosse terminata. Ne aveva avuto proprio abbastanza.
Amelia prese la borsa che aveva appeso allo schienale della sedia, poi si alzò in piedi e si abbottonò il cappotto. Infine porse a Thora la mano, e le disse con convinzione: «Grazie mille. Ci mandi pure il conto, lo salderemo non appena ci arriverà.»
Dopo i saluti di rito, Thora si affrettò verso l’uscita. Non vedeva l’ora di respirare aria pura. Attraversando la sala con il grande plastico dell’Islanda, vide Matthew che mostrava a Elisa le varie regioni dell’isola. L’uomo sollevò lo sguardo verso Thora, toccò leggermente Elisa sull’avambraccio, le indicò l’avvocatessa e dopo qualche parola si precipitò verso di lei.
«Com’è andata?» le chiese mentre passavano davanti alla vetrata dell’uscita, sulla quale era scritta una poesia di Tomas Gudmundsson.
«Bene. Male. Non saprei che dire.»
«Mi devi ancora un pranzo», le fece notare Matthew aprendole la porta. «Ma visto che sono una persona ragionevole e che non ho affatto fame, sono disposto a barattarlo con qualcos’altro.»
«Del tipo?» chiese Thora, pur comprendendo al volo che cosa intendesse.
I due se ne andarono insieme verso l’Hotel Borg.
Thora scivolò in silenzio giù dal letto due ore dopo e si vestì. Matthew non dava segni di vita. Trovati foglio e penna sul tavolino della camera, Thora gli scrisse una breve lettera di addio, che pose sul comodino accanto a lui.
Uscì silenziosamente, corse fuori in strada e andò a piedi fino a Skolavòrdustigur a riprendere il suo catorcio, visibile da lontano per gli adesivi dell’Officina Bibbi. Si meritava il resto della giornata di libertà.
Il cellulare le squillò nella tasca del giaccone e Thora rispose.
«Ciao, mamma», risuonò la voce allegra di suo figlio.
«Ciao, tesoro. Come va? Sei già tornato a casa?»
«Sì, io e Sigga siamo qui», rispose con tono imbarazzato. «Stiamo pensando a dei nomi da dare al bambino, come ci hai consigliato. Sai se Pepsi è da maschio o da femmina?»