Martinho calò la visiera protettiva e prese il piede di porco. «Vierho, rimani qui e vedi di coprirmi. Benito, puoi maneggiare la torcia?»
«Certo, Johnny.»
«Capo, non hai intenzione di usare lo scudo?»
«Non c’è tempo.» Si mosse prima che Vierho potesse ribattere. La luce della torcia rischiarava il terreno davanti a lui. Si inginocchiò, fece scorrere la punta della sbarra sull’erba e cominciò a scavare. La sbarra colpì ripetutamente il suolo, quindi affondò nel vuoto. Improvvisamente urtò contro qualcosa e Martinho fu pervaso da un fremito di eccitazione. «Padre, quaggiù.»
Vierho si chinò, imbracciando la carabina. «Che cosa c’è, capo?»
«Qualcosa là sotto!»
Vierho puntò l’arma e fece partire due colpi.
Un rumore simile a un violento raschio giunse da sotto l’aiuola. Qualcosa era scoppiato.
Vierho sparò ancora. Le pallottole, esplodendo, provocarono un suono curioso simile a un tonfo.
Si udì un furioso gorgoglio, come se là sotto ci fosse un banco di pesci intenti a cibarsi in superficie.
Silenzio.
Altre torce lampeggiarono sull’aiuola. Martinho alzò lo sguardo e vide un cerchio di scudi attorno a lui… uniformi dell’OIE e dei bandeirantes.
Concentrò nuovamente lo sguardo sulla sezione di aiuola. «Padre, ho intenzione di aprire la botola. Tienti pronto.»
«Certo, capo.»
Martinho mise un piede sotto la sbarra per far leva sul terreno e lentamente sollevò la botola. Sembrava saldata con una sostanza gommosa che si allungava in sottili filamenti. Dalla zaffata di solfuro e sublimato corrosivo Martinho capì che la sostanza gommosa non era altro che il contenuto della capsula sparata col fucile a gas. Dopo l’ultimo poderoso colpo, la botola si spalancò e ricadde sull’aiuola.
Alla luce delle torce Martinho poté scorgere una massa di acqua scura. Aveva l’odore del fiume.
«Sono venuti dal fiume», osservò Alvarez.
Chen-Lhu si avvicinò a Martinho e disse: «Sembra che gli individui mascherati siano fuggiti. Tutto procede per il meglio». E pensò: Ho fatto bene a impartire ordini a Rhin e l’ho fatto nel momento più opportuno. Dobbiamo far saltare la loro organizzazione. Questo capo bandeirante, educato tra gli imperialisti yankee, è un nemico. È uno di quelli che cercano di distruggerci. Non può esserci altra spiegazione.
Martinho ignorò lo scherno nella voce di Chen-Lhu; era troppo esausto per poter reagire. Si sollevò e si guardò attorno. L’aria era ferma come se da un momento all’altro dovesse scatenarsi qualche sorta di calamità. Un gruppetto di osservatori, probabilmente pubblici funzionari, sostava al di là della cerchia di guardie, la folla invece era stata sospinta nelle strade adiacenti.
Da una strada laterale sopraggiunse a gran velocità una camionetta rossa. I finestrini luccicavano alla luce dei proiettori e i fanali si accendevano e si spegnevano quando rasentava passanti e altri veicoli. Alcuni poliziotti le aprivano la strada. Martinho riconobbe l’insegna dell’OIE sul cofano anteriore. L’auto si arrestò sobbalzando ai margini dell’aiuola e ne uscì Rhin Kelly.
Aveva indossato la tuta da lavoro dell’OIE. Sotto le luci della Plaza, il verde della tuta dava l’impressione di una chiazza d’erba scolorita dal sole.
Attraversò in fretta l’aiuola, con gli occhi fissi su Martinho; intanto pensava: Deve essere utilizzato per i nostri scopi, quindi scaricato. È un nemico. Non ci sono più dubbi.
Martinho la osservava avvicinarsi, ammirando la grazia e la femminilità del suo portamento accentuate dalla semplice foggia dell’uniforme.
Si fermò davanti a lui e gli parlò con voce rauca e affannosa: «Senhor Martinho, sono venuta a salvarle la vita».
Lui scosse il capo, incredulo. «Cosa…»
«Si sta scatenando il finimondo!» spiegò lei.
Martinho poté udire degli spari in lontananza.
«La folla è in tumulto», riprese Rhin. «Si è armata.»
«Che cosa diavolo sta succedendo?» chiese lui.
«Stanotte ci sono stati dei morti», rispose Rhin. «Donne e bambini fra gli altri. È crollata una parete della collina dietro il Monte Ochoa, rivelando la presenza di numerose tane.»
Vierho disse: «L’orfanotrofio…»
«Sì», proseguì Rhin. «L’orfanotrofio e il convento situati sul Monte Ochoa sono stati travolti. La colpa è dei bandeirantes. Sa cosa si dice su…»
«Parlerò con questa gente», la interruppe Martinho. Si sentì oltraggiato al pensiero di essere minacciato da coloro che aveva sempre protetto. «È un’assurdità! Non abbiamo fatto nulla per…»
«Capo», intervenne Vierho. «Non si può ragionare con la folla in preda al panico.»
«Due uomini della squadra Lifcado sono già stati linciati», disse Rhin. «L’unica via di scampo per lei è di fuggire immediatamente. I vostri autocarri sono a portata di mano.»
Vierho lo prese per un braccio. «Dobbiamo seguire il suo consiglio, capo.»
Martinho rimase in silenzio, ascoltando le informazioni che i bandeirantes si scambiavano fra loro: «La folla… colpa nostra… orfanotrofio…»
«Dove possiamo andare?» chiese Martinho.
«I tumulti sembrano localizzati…», disse Chen-Lhu. Si interruppe e rimase in ascolto: le urla della folla si erano fatte più distinte. «Vada a casa di suo padre, a Cuiaba, e si porti dietro la sua squadra. Gli altri possono rifugiarsi nelle zone Rosse.»
«Perché dobbiamo…»
«Rhin la raggiungerà non appena avremo escogitato un piano di azione.»
«Devo sapere dove trovarla», fece Rhin, prendendo la palla al balzo. E pensò: La casa di suo padre, già. Deve essere il centro di… là o nel Goyaz, come sospetta Travis.
«Ma non abbiamo fatto nulla», protestò Martinho.
«La prego», insistette Rhin.
Vierho lo tirò per un braccio.
Martinho trasse un profondo sospiro. «Padre, raggiungi i tuoi compagni. Sarete più al sicuro nella zona Rossa. Userò il camioncino per andare a Cuiaba. Devo discutere questa faccenda con mio padre, il prefetto. Qualcuno deve mettersi in contatto con le alte sfere e farsi sentire.»
«Sentire cosa?» si intromise Alvarez.
«Il lavoro… deve essere sospeso… momentaneamente», disse Martinho. «È necessario svolgere varie indagini.»
«È pazzesco», tuonò Alvarez. «Chi vuoi che dia ascolto a quelle fesserie?»
Martinho provò a deglutire, aveva la gola secca. L’aria della notte era fredda… opprimente, le urla della folla inferocita erano sempre più vicine. I poliziotti e i militari non sarebbero riusciti a trattenerla a lungo.
«Non ti ascolteranno», mormorò Alvarez, «nemmeno se hai ragione».
Le urla della folla sottolinearono la verità che trapelava dalle sue parole. Martinho sapeva che gli uomini al potere non avrebbero ammesso alcun errore. Erano al potere in quanto erano state fatte determinate promesse. Se quelle promesse non venivano mantenute qualcuno avrebbe fatto da capro espiatorio.
Forse è già stato trovato, pensò Martinho.
Lasciò che Vierho lo conducesse agli autocarri.
CAPITOLO QUARTO
Era una caverna che sovrastava le scure e umide rocce di una gola del fiume di Goyaz. All’interno, profondi pensieri pulsavano in un cervello intento ad ascoltare una radio, dalla quale la voce di un umano riferiva le notizie del giorno: disordini a Bahia, bandeirantes linciati, pronto intervento di paracadutisti per restaurare l’ordine…
La radio, una piccola transistor portatile, emetteva fastidiosi suoni raschianti che riecheggiavano nella caverna, disturbando le funzioni sensoriali del cervello, ma le notizie degli umani dovevano essere ascoltate… almeno fino a quando le batterie lo avessero permesso. Forse più tardi, si sarebbero potute usare le cellule biochimiche, ma le conoscenze del cervello in materia di meccanica erano molto limitate. Di teoria ne aveva assimilata parecchia dai manuali abbandonati nella zona Rossa, ma la pratica era un’altra cosa.