Per qualche tempo aveva avuto a disposizione un televisore portatile, ma la sua autonomia era stata ridotta e ora non funzionava più.
Le notizie terminarono e la radio cominciò a trasmettere della musica. Il cervello lanciò dei segnali allo strumento che si interruppe; quindi, in quel silenzio così a lungo sospirato, cominciò a pensare, a pulsare.
Era una massa di circa quattro metri di diametro e di mezzo metro di altezza e riconoscendosi in una «Suprema Integrazione» svolgeva il suo ruolo con vigilanza passiva, eppure era non poco contrariato di fronte alle necessità che lo tenevano ancorato in quella caverna rifugio.
Una maschera sensoriale mobile che poteva spostarsi e flettersi a piacere — per assumere ora la forma di un disco, ora di un tubo membranoso e addirittura per simulare il volto gigantesco di un umano — giaceva, simile a un berretto, sulla superficie del cervello. I suoi organi sensoriali erano diretti verso la luce grigia dell’alba che filtrava dall’imboccatura della caverna.
Il ritmico pulsare di una vescica laterale pompava nel cervello un liquido scuro e viscoso. Insetti senza ali strisciavano sulla superficie membranosa, ispezionando, riparando e alimentando dove era necessario.
Sciami di insetti volanti si ammucchiavano negli anfratti della caverna, alcuni dei quali producevano acidi per ottenere il loro fabbisogno di ossigeno, altri digerivano, altri ancora rifornivano energia ai muscoli atti a pompare.
La caverna era permeata di un odore amarognolo di acido.
Gli insetti volavano dentro e fuori nella luce dell’alba. Alcuni si fermavano per compiere piroette, oscillare e ronzare per stimolare gli impulsi del cervello; altri emettevano modulati striduli nel riportare notizie; altri ancora si raggruppavano o si allineavano; altri formavano motivi complessi con variazioni di colore o agitavano le antenne nei modi più complicati.
Giunse la squadra da Bahia: «Piogge abbondanti… terreno bagnato; crollati i covi della nostra postazione d’ascolto. Un osservatore è stato scoperto e attaccato, ma un caposquadra lo ha tratto in salvo aprendogli un varco attraverso il fiume. In quel punto una delle strutture dei ponti è crollata. Non abbiamo lasciato tracce del nostro operato, tuttavia gli umani ci hanno avvistati. Quelli che non sono riusciti a mettersi in salvo sono stati soppressi. Tra gli umani ci sono state molte perdite».
Numerosi morti tra gli umani, rifletté il cervello. Allora le notizie trasmesse dalla radio erano esatte.
Era un disastro.
Ora il cervello richiedeva una maggior quantità di ossigeno; gli insetti specializzati si riversarono su di esso; il ritmo di pompaggio aumentò di velocità.
Gli umani si crederanno attaccati, pensò il cervello. Allora metteranno in atto i loro meccanismi di difesa. Riuscire a penetrare in quei meccanismi col pacato ragionamento sarà difficilissimo, se non impossibile.
Chi può ragionare con una mente irrazionale?
Gli umani erano estremamente difficili da capire, coi loro valori religiosi e i loro modelli di accumulazione.
Gli «affari» erano ciò che i libri definivano i loro modelli di accumulazione, ma al cervello sfuggiva il vero significato della parola. Il denaro non era commestibile, non sembrava contenere energie, inoltre era fatto di un materiale per nulla resistente. Le taipe,le case degli umani più poveri, fatte di graticcio e di fango, avevano maggior consistenza.
Eppure gli umani erano avidi di denaro. Quella roba doveva essere importante, proprio come la loro concezione della divinità, qualcosa simile a una suprema integrazione, la cui essenza e localizzazione erano impossibili a definirsi. Era tutto troppo complicato.
Il cervello sentiva che in qualche luogo doveva esistere la fonte originaria del pensiero che riuscisse a spiegare queste cose, ma gliene sfuggiva il modello.
Allora pensò come fosse strana questa struttura vitale, questo trasferimento di energia intera per creare visioni immaginarie, che in realtà erano schemi e progetti, e che a volte si smarrivano per strada. Come era curiosa, misteriosa e anche bella la scoperta dell’essere umano, le cui fattezze erano state copiate e adattate a uso di altre creature. Com’era ammirevole e sublime questa manipolazione dell’universo che esisteva solo entro i confini dell’immaginazione, senza riscontro reale.
Per un attimo il cervello si sottopose a una prova, cercando di simulare le emozioni umane. La paura e l’unità dello sciame… solo quello poteva capire. Ma i mutamenti, il tipo di paura chiamata odio, i riflessi stimolati dalla vescica laterale… questi erano più difficili da capire.
Il cervello non aveva mai preso in considerazione l’idea di essere stato una volta parte di un essere umano e quindi soggetto a tali emozioni. Questo pensiero irritante lo aveva sempre evitato. Ora il cervello era solo un sosia di quello umano, più grande e più complesso. Nessun sistema circolatorio umano poteva sostenere le necessità di nutrimento che lui richiedeva. Nemmeno il più semplice sistema sensoriale umano poteva soddisfare la sua sete di informazione.
Era semplicemente il Cervello,una parte funzionale del sistema del super-alveare, ora più importante persino delle api regine.
«Quale classe sociale umana è stata sterminata?» chiese.
La risposta gli giunse in tono stridulo: «Lavoratori, femmine, umani immaturi e qualche regina sterile».
Femmine e umani immaturi, pensò il cervello. Nello schermo della sua consapevolezza prese forma un’antica maledizione indiana. Di fronte a simili eccidi, la reazione umana sarebbe stata violenta. Si imponeva un’azione immediata.
«Quali notizie dai nostri messaggeri penetrati nelle barriere?» domandò il cervello.
La risposta fu: «Sconosciuta la posizione segreta dei messaggeri».
«Deve essere individuata. I messaggeri devono restare nascosti fino a nuovo ordine. Informateli immediatamente.»
Operai specializzati si allontanarono per eseguire l’ordine.
«Dobbiamo catturare degli esemplari umani più vari», ordinò il cervello. «Dobbiamo trovare un capo vulnerabile tra loro. Inviate osservatori, messaggeri e unità d’azione. Fate pervenire notizie il più presto possibile.»
Quindi il cervello rimase in ascolto, controllando che i suoi ordini venissero eseguiti e i messaggi trasmessi anche a lunghe distanze. Fu pervaso da un vago senso di frustrazione; sentiva delle necessità che non riusciva a spiegarsi. Sollevò la maschera sensoriale e la depose su alcuni paletti di sostegno, formò gli occhi e li concentrò sull’imboccatura della caverna.
Pieno giorno.
Ora doveva solo attendere.
L’attesa era la parte più difficile dell’esistenza.
Il cervello cominciò a esaminare questo pensiero, considerando possibili alternative al processo di attesa, immaginando proiezioni di crescita fisica.
Tali pensieri produssero una specie di caos intellettivo che mise in allarme l’intero sciame. Gli insetti presero a ronzare furiosamente intorno al cervello, proteggendolo, alimentandolo, formando falangi di guerrieri.
Questa iniziativa preoccupò il cervello.
Il cervello sapeva che cosa aveva spinto lo sciame all’azione: proteggere il fulcro dell’alveare era un istinto di sopravvivenza radicato in tutte le specie. Il cervello si rendeva conto che le primitive unità dello sciame non potevano cambiare quel concetto. Eppure dovevano abituarsi al cambiamento. Dovevano acquisire elasticità di ingegno e capacità di assuefarsi a nuove idee, affrontando ogni situazione come una «cosa» unica.