Выбрать главу

Quello col flauto gli batté sulla spalla e gli ordinò: «Tu passa davanti e manovra questo…»

«Veicolo», disse quello di fianco al padre di Joao.

«Veicolo», fece eco quello col flauto.

«Ospedale?» riprese Joao.

«Ospedale», rispose quello col flauto.

Joao lanciò un’altra occhiata a suo padre. Il vec­chio non dava segni di vita. L’altro indiano si accin­geva a legarlo alla panca in vista dell’imminente de­collo. Nonostante il suo aspetto da selvaggio, sembra­va molto competente.

«Obbedisci», intimò quello col flauto.

Joao aprì il portello della cabina anteriore e sci­volò all’interno seguito dall’indiano armato, mentre alcune gocce di pioggia cominciavano a bagnare il parabrezza. Si sedette al posto di comando e chiuse il portello. L’abitacolo rimase al buio. I portelli di sicurezza si chiusero con un colpo sordo. Accese le luci del cruscotto e notò che l’indiano si era acquat­tato là dietro col flauto puntato contro la sua schie­na. Una specie di cerbottana, pensò Joao. Probabil­mente lancia frecce avvelenate.

Joao schiacciò il bottone d’accensione e, mentre attendeva che le turbine acquistassero velocità, si allacciò la cintura di sicurezza. L’indiano, ancora rannicchiato alle sue spalle, ne era sprovvisto ed era perciò esposto a eventuali sobbalzi provocati da un brusco decollo.

Joao girò gli interruttori di comunicazione situa­ti in un angolo del cruscotto e guardò dentro il pic­colo schermo in cui si proiettava l’immagine di una parte del laboratorio. Le portiere posteriori erano aperte, suo padre giaceva legato alla panca e l’altro indiano gli sedeva accanto. Chiuse le portiere per mezzo di un comando idraulico.

Le turbine raggiunsero il massimo della velocità.

Joao spense le luci e innestò il comando idrosta­tico.

Il velivolo si staccò da terra di soli dieci centimetri, Joao tirò a sé la cloche e il muso si drizzò verso l’alto. Virò a sinistra, si elevò di altri due metri per acqui­stare velocità, quindi si diresse verso le luci di un viale.

L’indiano gli parlò all’orecchio: «Gira verso quella montagna laggiù». Allungò la mano e fece un cenno a destra.

La clinica Alejandro si trova ai piedi della collina, pensò Joao. Sì, è quella la direzione giusta.

Sterzò nella direzione indicata e sorvolò una strada che intersecava il viale illuminato.

Con noncuranza diede un altro colpo alla cloche; il velivolo si sollevò di un altro metro e aumentò di velocità. Contemporaneamente azionò l’apparecchio di ascolto comunicante col compartimento posteriore e girò la chiavetta dell’amplificatore posto sotto la panca su cui giaceva suo padre.

Il fonorilevatore, capace di amplificare il suono provocato da uno spillo tanto da farlo rimbombare come una cannonata, emise solo un lontano sibilo e una specie di raschio. Joao aumentò il volume del­l’amplificatore. Lo strumento avrebbe dovuto tra­smettere i battiti del cuore del moribondo nella cabina.

Non udì alcun suono eccetto quel sibilo, quel ra­schio.

Mio padre è morto, pensò Joao. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Quei selvaggi me l’hanno uc­ciso.

Nello schermo del cruscotto notò che l’indiano, là dietro, aveva messo una mano sulla schiena del vec­chio e sembrava che la stesse massaggiando. Il suo­no ritmico e raschiante accompagnava il movimento.

Joao fu assalito dall’ira. Per un attimo pensò di lasciarsi precipitare: suicidandosi avrebbe provocato la morte di quei due folli.

Il carro volante si stava avvicinando alla periferia della città. A sinistra si snodavano delle strade di circonvallazione che si immettevano in un ampio viale. Era una zona occupata da villette con giardi­no, ciascuna col proprio tetto d’atterraggio.

Joao sorvolò la zona e si diresse verso il viale. Alla clinica, già, pensò. Ma è troppo tardi.

Dal compartimento posteriore non giungevano i battiti del cuore di suo padre, soltanto quel raschio lento e ritmico e, adesso che prestava maggior at­tenzione, gli sembrava di udire anche un ronzio simi­le al verso della cicala.

«Là, sulla montagna», disse l’indiano dietro di lui, allungando la mano per indicare a destra.

La mano era illuminata dalle luci del cruscotto e Joao vide che la pelle del dito, ricoperta di squame, si muoveva. In quel movimento riconobbe una certa specie di insetti dotati di numerose zampe.

Gli scarafaggi!

Il dito era composto da molteplici insetti uniti tra loro che si muovevano all’unisono!

Joao si volse e fissò l’indiano negli occhi. Adesso capiva perché erano così luccicanti; erano composti da migliaia di piccole sfaccettature.

«Ospedale, là», disse la creatura, indicando con il dito.

Joao ritornò ai comandi e si sforzò di mantenere la calma. Non erano indiani… non erano nemmeno esseri umani. Erano insetti… specie di alveari dalla forma umana, organizzati in modo da assumere le sembianze dell’uomo.

Quella scoperta gli fece sorgere numerosi interro­gativi. Come facevano a sostenere il loro peso? Come si nutrivano e in che modo respiravano?

Come potevano parlare?

Adesso, qualsiasi preoccupazione personale dove­va essere subordinata all’impellente necessità di in­formare il governo e di fornire la prova della sua scoperta ai ricercatori dei laboratori governativi.

Persino la morte di suo padre doveva essere su­bordinata a questo imperativo, adesso. Joao sapeva che doveva catturare una di queste creature. Accese la radio trasmittente per segnalare la sua posizione alla base. Speriamo che alcuni dei miei uomini siano in ascolto, pregò mentalmente.

«Ancora più a destra», gracchiò la creatura alle sue spalle.

Joao corresse la rotta.

La voce… quel suono stridulo, raschiante. Ancora, Joao si chiese come quella creatura potesse simu­lare la voce umana.

Joao guardò alla sua sinistra. La luna era già alta e illuminava una fila di torri bandeirantes. La prima barriera.

Presto il carro volante avrebbe superato la zona Verde per entrare nella Grigia, quella (nel progetto di Nuova Colonizzazione) del terreno agricolo più povero, quindi, al di là di essa, la grande zona Ros­sa, che si estendeva attraverso il Goyaz e all’interno del Mato Grosso fino alle pendici delle Ande, dove si radunavano squadre di lavoratori provenienti dal­l’Ecuador. Joao scorse davanti a sé le luci sparse del­le fattorie e al di là il buio.

Il carro stava acquistando troppa velocità, ma Joao non osava rallentare; i due indiani potevano inso­spettirsi.

«Devi volare più alto», gli intimò la creatura.

Joao azionò la pompa di dislocamento, il muso si sollevò e il veicolo si librò a trecento metri di al­tezza.

Si profilarono in lontananza altre torri bandeirantes, l’una vicino all’altra. Joao ricevette i segnali della barriera sul quadrante del cruscotto. Lanciò un’occhiata al suo guardiano; le vibrazioni prodotte dalla barriera non sembravano avere alcun effetto sulla creatura. Guardò fuori del finestrino laterale. Nessuno laggiù gli avrebbe intimato di fermarsi, questo lo sapeva. Era un carro bandeirante diretto nella zona Rossa… con la radio trasmittente sempre in contatto con la base. Lo avrebbero preso per un caposquadra diretto nella zona Rossa per un lavoro in appalto, che chiamava a raccolta i suoi uomini. Se i guardiani della barriera avessero riconosciuto la sua onda di chiamata, ciò avrebbe confermato la sua supposizione.

Joao Martinho aveva appena portato a termine con successo un contratto in appalto nella Serra dos Parecis. Tutti i bandeirantes lo sapevano.

Joao sospirò. Vide il fiume Sào Francisco illumi­nato dalla luce argentea della luna serpeggiare alla sua sinistra, mentre piccoli corsi d’acqua si snoda­vano come fili dalle pendici dei colli.

Devo trovare il nido: è là dove mi stanno portan­do, disse fra sé Joao.