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«Quattro giorni», rispose Rhin. Lanciò un’occhia­ta all’orologio da polso. «Quattro giorni esatti.»

Joao captò una nota di forzata contentezza nella sua voce. Che cosa nascondeva? Stava per dare una risposta alla domanda, quando un fruscio di tessu­to e un breve lampo di luce gli preannunciarono la visita di qualcuno.

Dall’apertura della tenda emerse Chen-Lhu. Dal­l’ultima volta che lo aveva visto, appariva terribil­mente invecchiato. La pelle del suo volto era grin­zosa e cascante, le guance erano incavate. Cammina­va con grande cautela. «Vedo che il paziente è sve­glio», disse.

Joao rimase sorpreso dalla robustezza della sua voce… come se tutte le energie fisiche dell’uomo si fossero incanalate in un’unica direzione.

«Gli sto facendo una trasfusione energetica», gli comunicò Rhin.

«Ottima idea», fece Chen-Lhu. «Non ci rima­ne molto tempo. Glielo hai detto?»

«Soltanto che abbiamo riparato la capsula.»

Certe cose si devono dire con delicatezza, pensò Chen-Lhu. Con molta delicatezza. Da un temperamen­to latino ci si possono aspettare strane reazioni.

«Stiamo programmando un tentativo di fuga con la capsula», lo informò Chen-Lhu.

«Non è possibile», affermò Joao. «La capsula non può sollevarsi con più di tre persone a bordo.»

«Esatto, trasporterà tre persone», proseguì Chen-Lhu. «Ma non sarà necessario che le sollevi; in ef­fetti non potrebbe.»

«Che cosa intende dire?»

«Il suo atterraggio è stato disastroso; uno dei pattini è danneggiato e il serbatoio è rotto. Gran par­te del carburante era andato perduto, prima ancora che scoprissimo il danno. C’è anche il problema dei comandi: non sono in buone condizioni nonostante la perizia del Padre.»

«Rimane il fatto che può trasportare solo tre per­sone», insistette Joao.

«Visto che non siamo in grado di trasmettere un messaggio, possiamo portarlo», disse Rhin.

Brava ragazza, pensò Chen-Lhu. Attese che Joao assimilasse il concetto.

«Chi?» chiese Joao.

«Io stesso», rispose Chen-Lhu. «Unicamente per attestare la rovina del mio paese e avvertire la vo­stra gente prima che sia troppo tardi.»

Le parole di Chen-Lhu gli riportarono alla mente un’intera conversazione udita nella tenda: Hogar, Vierho… Chen-Lhu che blaterava su… su…

«Suolo sterile», disse Joao.

«Il suo popolo deve sapere prima che sia troppo tardi», affermò Chen-Lhu. «Per questo motivo io sarò uno dei passeggeri. E Rhin per il fatto che…» Alzò debolmente le spalle. «Diciamo per cavalleria e inoltre perché è piena di risorse.»

«E fanno due», disse Joao.

«Con lei fanno tre», concluse Chen-Lhu e rimase in attesa dell’esplosione.

Invece Joao disse semplicemente: «Ma non ha al­cun senso».

Sollevò il capo e guardò il suo corpo disteso sulla branda. «Quattro giorni qui e…»

«Ma lei è il solo ad avere… entrature politiche», disse Rhin. «È in grado di farsi ascoltare.»

Joao lasciò ricadere il capo sulla branda. «Persino mio padre non mi ascolterebbe!»

La sua asserzione provocò un sorprendente silen­zio. Rhin alzò lo sguardo su Chen-Lhu, quindi fissò Joao.

«Lei pure ha delle amicizie autorevoli, Travis», disse Joao. «Probabilmente più influenti delle mie.»

«E forse no», obiettò Chen-Lhu. «D’altra par­te, lei è l’unico che abbia visto da vicino la creatura, il cui scheletro ci porteremo dietro. Lei è un testi­mone oculare.»

«Siamo tutti testimoni oculari.»

«Abbiamo sottoposto la questione ai voti», disse Rhin. «I suoi uomini insistono.»

Joao guardò prima l’uno, poi l’altra e fece no­tare: «Ciò non toglie che dobbiamo lasciare dodi­ci uomini in questo posto. Che cosa ne sarà di lo­ro?»

«Soltanto otto, adesso», mormorò Rhin.

«Chi?»

«Hogar», rispose lei. «Thome della sua squadra, più due dei miei aiutanti: Cardin e Lewis.»

«Come?»

«C’è un oggetto che assomiglia a un flauto qena», spiegò Chen-Lhu. «La creatura nella capsula ne ave­va uno.»

«Una cerbottana», disse Joao.

«No», disse Chen-Lhu. «La loro imitazione è ancora più perfetta. Si tratta di un generatore di vi­brazioni che disgrega le cellule del sangue umano. Da quando lo abbiamo scoperto, stiamo tentando con tutte le nostre forze di tenerli lontani.»

«Adesso comprende che è nostro dovere trasmet­tere questa informazione», sottolineò Rhin.

Su questo non c’è alcun dubbio, pensò Joao.

«Deve esserci qualcun altro, più forte di me, in grado di assicurare il successo di questa missione», dichiarò Joao.

«Tra un paio d’ore sarà in perfetta forma», dis­se Rhin. «Nessuno di noi si trova in condizioni migliori delle sue.»

Joao fissò la luce grigia che filtrava attraverso il soffitto della tenda. Il carburante è scarso, i coman­di sono danneggiati. Hanno intenzione di scendere lungo il fiume, naturalmente. È l’unico mezzo per proteggerci da quelle… cose.

Rhin si alzò. «Deve riposare, per accumulare ener­gie», affermò. «Tra poco le porterò del cibo. Abbia­mo soltanto delle razioni da campo, ma sono molto nutrienti.»

Chissà che fiume sarà, quello, si chiese Joao. L’Itapura, probabilmente. Fece un rapido calcolo, ba­sandosi sulla sua conoscenza della regione e sulle ore di volo impiegate per attraversarla, prima del suo fortunoso atterraggio. Il fiume sarà lungo sette od ot­tocento chilometri. E siamo prossimi alla stagione del­le piogge. Non abbiamo una sola possibilità di ca­varcela.

CAPITOLO SESTO

Le volute disegnate dalla danza degli insetti sul sof­fitto della caverna erano molto gradite al Cervello. Ammirava quei giochi di colori e quei movimenti mentre ne leggeva il messaggio: «Rapporto pervenu­to da ascoltatori appostati nella savana; risponde­re».

Il Cervello lanciò segnali affinché la danza pro­seguisse.

«Tre umani si preparano a fuggire su un picco­lo veicolo», danzarono gli insetti. «Il veicolo non volerà. Cercheranno scampo navigando sul fiume. Che cosa dobbiamo fare?»

Il Cervello indugiò per valutare i dati ricevuti. Gli umani accerchiati erano stati dodici giorni sot­to diretto controllo. Avevano fornito molte informa­zioni sulle loro reazioni provocate dallo stress. Quelle informazioni ampliavano i dati ottenuti dal­lo studio più accurato sugli indigeni. Il sistema per immobilizzare e uccidere gli umani diventava ogni giorno più semplice. Il problema non era tanto come ucciderli ma come comunicare con loro in assenza di timore e di stress da ambo le parti.

Alcuni di loro, come il vecchio dall’aria imponente, avanzavano proposte e suggerimenti e sembravano ragionevoli… ma ci si poteva fidare? Quello era il punto chiave.

Il Cervello sentì un impellente bisogno di dati ef­fettivi sugli umani in modo da controllarli senza che questi si accorgessero di essere osservati. Infatti la scoperta degli appostamenti di ascolto sparsi nella zona Verde aveva sollevato una frenetica attività da parte degli uomini. Avevano usato nuovi tipi di vi­brazioni soniche e nuovi veleni, intensificato i con­trolli alle barriere e rinforzato gli attacchi nelle zone Rosse.

Ma c’era un’altra fonte di preoccupazione: l’ignoto destino di quattro unità penetrate nelle barriere pri­ma della catastrofe di Bahia.

Solo una era ritornata; il suo rapporto era stato: «Siamo diventati dodici. Sei si sono staccati dal gruppo per accerchiare la zona nella quale abbiamo catturato i due capi umani. Di loro non si hanno notizie. Un’unità è stata distrutta. Quattro si sono decomposte per riprodurre altri di noi».

L’eventuale scoperta di quelle quattro unità si ri­velerebbe disastrosa in questo momento, rifletté il Cervello.

Quando sarebbero apparsi i simulacri umani? Di­pendeva dalle condizioni atmosferiche e dalla tem­peratura del luogo, dalla disponibilità di cibo, dai prodotti chimici, dall’umidità. La sola unità che aveva fatto ritorno non era a conoscenza della sorte delle altre quattro.