«Che cosa c’è che non va?» chiese Rhin con stizza.
«Niente, proprio niente.»
Vierho si diresse nuovamente verso l’estremità dell’ala. «Allora d’accordo, capo: appena ci dai il segnale di partenza, formiamo una barriera schiumogena lungo tutto il percorso. Dovrebbe tenerli lontani quel lasso di tempo che ti occorre per raggiungere il fiume. Inoltre servirà a rendere il prato più scivoloso.»
Joao annuì e prese a ripassare mentalmente la routine di volo. Nemmeno uno degli interruttori era al suo posto. Il bottone d’avviamento a sinistra anziché a destra, la manetta del gas sporgeva dal cruscotto anziché dal pavimento fra i due sedili. Regolò le alette di compensazione e gli alettoni.
Sulla savana era calato il silenzio che anticipava la notte. Il prato che si estendeva davanti a loro era simile a un mare verde. Il fiume, in quel punto, era largo solo una cinquantina di metri: una superficie molto limitata, su cui ammarare se la capsula si fosse staccata da terra troppo velocemente. Joao sapeva che a quella latitudine e altitudine l’oscurità non era completa. Avrebbe dovuto scegliere il momento adatto: un minimo di luce per il lancio attraverso la savana e… sufficiente oscurità per proteggerli fino al momento dell’impatto sulle acque del fiume.
In balia di quei maledetti insetti per un raggio di quindici metri, pensò Joao. Dovrò farcela solo su una piccola striscia in mezzo al fiume, se attaccheranno da riva. E Dio solo sa in quanti altri modi possono attaccarci… creature volanti, acquatiche.
«Tenetevi pronti con i fucili a gas non appena siamo in salvo sul fiume», disse. «Nel vederci fuggire usciranno tutti insieme all’attacco.»
«D’accordo», fece Chen-Lhu. «I fucili sono in questo cassone, vero?»
«Esatto.»
Joao abbassò la calotta e la chiuse ermeticamente.
«In questo tipo di capsula, i portelli si chiudono a scatto automatico, per mezzo di morsetti. Si vedono anche là dietro, di fianco ai finestrini posteriori.»
«Sistema molto ingegnoso», osservò Chen-Lhu.
«È un’idea di Vierho. È stata adottata in tutte le altre capsule.» Così dicendo volse lo sguardo verso Vierho e lo salutò con un gesto della mano. Questi si allontanò e ritornò al lanciabombe.
Joao accese le luci di atterraggio della capsula.
A quel segnale, tutti i suoi uomini fecero scattare le bombe schiumogene che andarono a ricadere lungo tutto il percorso che avrebbe compiuto la capsula.
Joao premette il bottone d’avviamento; la spia di sicurezza si accese. Contò tre secondi, la luce si affievolì e si spense. Bene, pensò, e spinse a fondo la manetta del gas.
Un boato assordante si alzò dai motori a razzo e, ancor prima che Joao riuscisse ad azionare i freni, la capsula fu catapultata fuori della fossa perimetrale in direzione del fiume. Con un senso di violenta emozione, si rese conto di essere sospeso per aria. Tuttavia aveva l’impressione di non riuscire a controllare la capsula; tendeva a oscillare in coda… i galleggianti facevano troppa resistenza. Non erano studiati per rimanere fuori durante il volo.
Ma non era il momento di pensarci. Joao virò e puntò in direzione di una striscia d’acqua ai margini della quale la savana si fondeva con la giungla. In quel punto il fiume era più profondo, più largo e scorreva verso le colline che si stagliavano sullo sfondo. Quello era il punto più adatto. I galleggianti toccarono il pelo dell’acqua con un rimbalzo morbido… Su, giù… spruzzando acqua da entrambi i lati… più piano, sempre più piano.
Il muso si abbassò.
Fu solo allora che Joao si ricordò di non poggiare troppo sul galleggiante di destra.
La capsula stava ancora avanzando, ma avvicinandosi sempre più alla costa.
Joao trattenne il respiro nella speranza che la riparazione reggesse; si aspettava che da un momento all’altro la fiancata destra andasse a sbattere contro la superficie dell’acqua.
La capsula rimase in equilibrio.
«Ce l’abbiamo fatta?» chiese Rhin. «Siamo fuori pericolo?»
«Credo di sì», rispose Joao.
Chen-Lhu gli passò i fucili a gas e disse: «Li abbiamo colti di sorpresa. Ah, ah! Guardate là dietro!»
Joao si girò quel tanto che la cintura di sicurezza gli permetteva, e guardò oltre la savana. Nel punto in cui si trovavano le tende fluttuava una nuvola grigia da cui uscivano strane protuberanze che si alzavano e si abbassavano.
Fu pervaso da un brivido agghiacciante, quando si rese conto che quella nuvola era formata da miliardi di insetti che si riversavano sull’accampamento.
Un improvviso risucchio colse di sorpresa la capsula facendola virare fuori del campo visivo della scena. Joao assecondò il movimento per sottrarsi a quella vista che non poteva più sopportare. Per un attimo la superficie dell’acqua davanti a lui brillò di un bagliore arancione, poi il buio della notte assorbì la scena. Il cielo assunse toni argentei riflessi da una sottile fetta di luna.
Vierho, pensò Joao. Thome… Ramon…
Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Oh, mio Dio!» esclamò Rhin.
«Dio, già!» le fece eco Chen-Lhu con rabbia. «Un altro modo per definire i meccanismi del fato!»
Rhin nascose il volto fra le mani. Aveva la sensazione di prender parte alle prove di un dramma cosmico, un dramma senza copione o recitazione, senza parole o musica, e di cui non conosceva la sua parte.
Dio è brasiliano, pensò Joao, ricordando un vecchio detto del suo paese: Di notte, Dio perdona i peccati commessi dai brasiliani durante il giorno.
E Vierho diceva sempre: «Confida nella Vergine Maria e vai».
Non avrei potuto aiutarli, pensò, il rischio era troppo grande.
CAPITOLO SETTIMO
«Avevate detto che il veicolo non avrebbe volato!» disse il Cervello in tono accusatorio.
I suoi organi sensoriali esaminarono a fondo le volute dei messaggeri sospesi sul soffitto della caverna cercando di captare se quel ronzio afferente trasmettesse il senso della frase. Ma la configurazione rivelata dalla luce al fosforo emessa dagli insetti operai rimase fissa, immobile come la macchia di stelle che si stagliava all’imboccatura della caverna dietro i messaggeri.
Il Cervello pulsò una richiesta di sostanze chimiche, causando nei suoi insetti infermieri una frenetica assistenza. Quella era la sensazione più vicina alla costernazione che avesse mai provato. La sua logica definiva quell’esperienza come un’emozione e ne ricercava dei riferimenti paralleli anche mentre controllava la sostanza dell’informazione.
Il veicolo ha volato solo per una breve distanza ed è ammarato sul fiume, e ora è lì inattivo, costretto a non utilizzare la sua spinta.
Ma può volare!
Allora il Cervello cominciò a dubitare seriamente dell’informazione ricevuta. L’esperienza era una forma di alienazione insita nella natura che l’aveva creata.
«L’asserzione che il veicolo non avrebbe volato è stata fatta direttamente dagli umani», danzarono gli insetti. «Ci siamo limitati a riportare la loro valutazione.»
Era un’affermazione prammatica, prodotta più per completare l’informazione che anticipava il tentativo di fuga, che per difendersi dalle accuse del Cervello.
Quell’azione doveva far parte dell’informazione originale, pensò il Cervello. I messaggeri devono imparare a non intervenire, ma a riportare tutti i particolari precedentemente valutati. Ma come si può ottenerlo? Sono creature dai riflessi stabili, legate a un sistema di autolimitazione.
Naturalmente i nuovi messaggeri avrebbero dovuto essere programmati e istruiti.
Con quel pensiero, il Cervello si allontanava sempre più dalla natura dei suoi creatori. Capì allora in che modo «un’azione di mimesi», un semplice riflesso, si potesse produrre, ma il Cervello, la cosa prodotta-per-riflesso, stava avendo un inevitabile effetto retrospettivo, che lo portava a modificare i riflessi originali che lo avevano creato.