La notte oscurò la caverna prima che il Cervello ricevesse altre informazioni sui tre uomini e il loro veicolo galleggiante. Parte delle notizie dei messaggeri rivelavano solo le tensioni e le pressioni cui gli umani erano sottoposti. Si rendevano conto, forse inconsciamente, di trovarsi in trappola. I dati ricevuti potevano essere in buona parte accantonati momentaneamente, ma c’era un problema che necessitava di un’immediata soluzione. Il Cervello aveva il sentore di un’imminente contrarietà che la sua stessa logica non aveva precedentemente valutato.
«Gruppi di azione devono essere immediatamente inviati lungo la rotta del veicolo», ordinò il Cervello, «e rimanere nascosti nella vegetazione adiacente. Devono tenersi pronti a volare sul fiume e a formare una barriera contro eventuali soccorsi aerei.»
Una semiala della capsula andò a sfiorare le piante rampicanti lungo la sponda del fiume. Joao, che si era appena assopito, si svegliò, lanciò un’occhiata alle sue spalle e scorse Chen-Lhu vigile e attento.
«È ora del suo turno», fece Chen-Lhu. «Rhin sta ancora dormendo.»
«Abbiamo urtato la sponda altre volte?» mormorò Joao.
«Soltanto sfiorata.»
«Comunque sarebbe opportuno attaccare l’ancora… quella costruita da Vierho.»
«Non ci eviterebbe, però, di andare a sbattere contro la riva; anzi, potrebbe impigliarsi in qualcosa.»
«Il Padre ha rivestito le marre in modo da evitare tale inconveniente. Adesso abbiamo il vento alle spalle e durerà fino al mattino. Con una draga come questa non possiamo che acquistare velocità.»
«Ma come farà ad attaccarla là fuori?»
«Già…» annuì Joao. «Meglio aspettare fino a domattina.»
«Buona idea, Johnny.»
Rhin si agitava senza tregua.
Joao accese le luci di posizione. Due fasci di luce si infiltrarono nel fitto della giungla e andarono a illuminare un gruppo di palme sago che si elevava su una distesa di caña brava. Miriadi di insetti svolazzavano lungo le fasce luminose.
«I nostri amici non vogliono proprio abbandonarci», mormorò Chen-Lhu.
Joao spense le luci e udì accanto a sé Rhin che respirava affannosamente, come se stesse soffocando. Le afferrò un braccio e chiese a bassa voce: «Si sente male?»
Ancora nel dormiveglia, Rhin avvertì la sua presenza accanto a lei e sentì un estremo bisogno di protezione. Gli si fece più vicina mormorando: «Fa caldo. Mi manca il respiro».
«Sta sognando», bisbigliò Chen-Lhu.
«Ma è vero, fa caldo», disse Joao. Si sentiva in imbarazzo di fronte all’evidente bisogno che Rhin aveva di lui; sapeva che questo divertiva Chen-Lhu.
«Verso l’alba avremo un po’ di refrigerio. Perché non fa un pisolino, Travis?»
«Sì, ha ragione.» Si sdraiò sul cassone domandandosi: Dovrò ucciderli? Sono proprio pazzi, Rhin e Johnny… sono così attratti l’uno dall’altra e nello stesso tempo vogliono soffocare il loro sentimento.
La brezza della notte faceva dondolare la capsula. Rhin, ora più tranquilla, aveva appoggiato il capo sulla spalla di Joao e respirava profondamente.
Joao guardava fuori del finestrino.
La luna era calata dietro le colline lasciando al chiarore stellare il compito di proiettare scure ombre lungo le sponde del fiume. Il flusso continuo di quelle vaghe forme esercitò in Joao un effetto ipnotico. Le palpebre gli si appesantirono sempre più, finché, al limite della tensione, concentrò la mente su come sarebbe riuscito a rimaner sveglio. Scrutò attraverso il buio della notte.
C’era solo il movimento del fiume e un leggero increspamento in superficie.
La notte risvegliava in lui una sensazione di mistero. Quel fiume era popolato dalle anime di coloro che l’avevano percorso… e ora da un’altra presenza. Una presenza che riusciva ad avvertire. Il silenzio della notte ne era saturo. Persino le rane non gracidavano più.
Dalla giungla gli giunse un latrato. Poi improvvisamente gli parve di aver udito il suono sordo di un tamburo. Lontano… molto lontano: una vibrazione che percepiva più col corpo che con l’udito. Svanì prima ancora che ne avesse la conferma.
Tutti gli indiani sono scappati dalla zona Rossa. Chi avrebbe potuto usare i tamburi? Devo essermeli immaginati; forse si è trattato delle mie stesse pulsazioni, ecco cos’è stato.
Rimase intento all’ascolto, ma udì solo il respiro di Chen-Lhu, profondo e uniforme, e un leggero sospiro di Rhin.
In quel punto il fiume si allargava e la corrente diminuiva la sua spinta.
Trascorse un’ora… un’altra. Il tempo sembrava ancorato alla corrente del fiume. Un profondo senso di solitudine si impadronì di Joao. La capsula che li conteneva sembrava così fragile, inadeguata. Si domandò come avesse potuto affidare la sua vita a quella macchina così vulnerabile.
Non ce la faremo mai! pensò.
La voce tonante di Chen-Lhu ruppe il silenzio: «È sicuro che questo fiume sia l’Itacoasa, Johnny?»
«Ne sono certo.»
«Qual è la località più vicina?»
«L’area bandeirante a Santa Maria de Grao Cuyaba.»
«A sette od ottocento chilometri, vero?»
«Circa.»
Joao sentiva che Rhin si muoveva fra le sue braccia e si rendeva conto di non essere insensibile alla sua femminilità. Si sforzò di eludere quelle sensazioni e concentrò lo sguardo sul fiume: un corso sinuoso, con rapide e baratri; sotto la costante minaccia di quella insopportabile presenza che incombeva sopra di loro. E c’era un altro pericolo di cui non aveva parlato a Rhin e Travis: quelle acque abbondavano di pesci cannibali, i piranha.
«Quante rapide ci saranno?» chiese Chen-Lhu.
«Non so di preciso. Otto o nove, forse di più. Dipende dalla stagione e dalla profondità dell’acqua.»
«Dovremo accendere il motore e superare le rapide volando.»
«Quest’aggeggio non ce la farà a decollare e ammarare diverse volte», fece Joao, «per via del galleggiante di destra.»
«Vierho ha fatto un buon lavoro. Terrà.»
«Speriamo.»
«È troppo pessimista, Johnny. Non è il miglior modo per affrontare questo viaggio. Quanto ci metteremo per raggiungere Santa Maria?»
«Sei settimane, se siamo fortunati. Ha sete?»
«Sì, grazie. Quant’acqua abbiamo?»
«Dieci litri… e una piccola riserva nel caso non ci bastasse.»
Joao riprese la borraccia dalle mani di Chen-Lhu e bevve tutto d’un fiato. L’acqua era calda e sgradevole.
In lontananza, un uccello notturno gridò: «Tuta! Tuta!» un verso simile al suono del flauto.
«Che cos’era?» sibilò Chen-Lhu.
«Un uccello… solo un uccello.»
Joao sospirò. Il verso dell’uccello risuonava in lui come un presentimento, un triste presagio non collegato alle sue ataviche superstizioni. Guardò nuovamente nell’oscurità, scorse l’affascinante luccichio delle lucciole che si rincorrevano lungo la sponda destra, respirò l’odore del vento che spirava dalla giungla simile alle esalazioni di un soffio malefico.
Si sentiva oppresso dalla situazione disperata in cui si trovavano. Erano prossimi alla stagione delle piogge, e centinaia di chilometri di cascate e baratri li separavano da qualsiasi fonte di soccorso. E inoltre erano il facile bersaglio di un’intelligenza crudele che usava la giungla come arma.
La capsula veniva spinta dall’impeto del fiume.
Joao capì allora come fossero legati alla corrente del fiume che fluiva lentamente verso il mare simile a un nero cordone.
Trascorse un’altra ora… e un’altra ancora.
A destra, in lontananza, i primi chiarori dell’alba. Le scimmie diedero il benvenuto alla luce del giorno con schiamazzi e grida. Il trambusto stimolò gli uccelli al cinguettio mattutino che riecheggiò da ogni angolo nascosto della foresta: prolungati garriti, modulati squittii, stridii intermittenti.