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Rhin appoggiò il capo contro lo schienale e guardò su nel cielo. Presto qualcuno verrà a cercarci, pen­sò. Deve venire… deve… deve.

Si sforzò di concentrare lo sguardo sul cielo, così azzurro… azzurro… azzurro: un’enorme superficie su cui non si poteva scrivere nulla.

I soccorsi potrebbero giungere da un momento al­l’altro, pensò.

Il suo sguardo vagò e andò a posarsi sulle monta­gne che si stagliavano all’orizzonte. Si alzavano e si abbassavano a seconda dei movimenti della corrente che la trasportava attraverso la scia azzurra del fiume.

Ci sono cose alle quali non dobbiamo pensare, altrimenti possiamo essere sopraffatti dall’emozione, pensò. Quelle cose hanno un peso terribile. Sollevò la mano e strinse quella di Joao. Lui non si volse a guardarla, ma la stretta della sua mano fu più si­gnificativa di uno sguardo.

Chen-Lhu notò il movimento e sorrise.

Joao aveva lo sguardo fisso sulla vegetazione lus­sureggiante del litorale. La capsula, trascinata da una corrente tranquilla, si inoltrava fra cortine spioventi di liane. In una insenatura del fiume, torreggiavano scintillanti tre alberi Fernan Sanches: un rosso vio­lento contro il verde del fogliame. Ma lo sguardo di Joao si spostò sull’acqua, in un punto in cui il fiu­me svolgeva la sua azione: la lenta erosione di un groviglio di radici avvinte alla melma della riva.

La sua mano nella mia, pensò. La sua mano nella mia.

La sentiva amica, possessiva, leggermente umida.

La capsula era chiusa in una morsa di caldo sem­pre crescente. Il sole era diventato una palla di fuo­co che si spostava sopra di loro… e lentamente calava dietro le cime delle montagne, a occidente.

Le nostre mani unite… legate, pensò Joao.

Cominciò a pregare per la notte.

Le prime ombre della sera accarezzavano le spon­de del fiume. La notte avanzava dai flutti increspati per raggiungere lentamente le cime fiammeggianti delle montagne.

Chen-Lhu si mosse e si alzò non appena il sole scom­parve dietro i picchi. Vapori color ametista creati dal tramonto formavano una superficie d’acqua di brillante rubino, simile a sangue fluttuante. Ci fu un momento, nel buio della sera, in cui il fiume parve del tutto silente. Quindi la capsula fu avvolta nella notte ovattata.

Questa è l’ora dei timorosi e dei terribili, pensò Chen-Lhu. La notte è il mio tempo… e io non sono un timoroso.

E sorrise al modo in cui le due ombre di fronte a lui si erano unite in un’unica ombra.

Un animale con due schiene, pensò. L’idea lo di­vertì a tal punto che si portò una mano alla bocca per reprimere una risata. Subito dopo parlò: «Ora dormirei, Johnny. Faccia lei il primo turno. Mi sve­gli a mezzanotte».

I piccoli rumori provenienti dalla cabina cessarono momentaneamente, poi ripresero.

Ah, quella Rhin, pensò Chen-Lhu. Un così buono strumento anche quando non vuole esserlo.

CAPITOLO OTTAVO

Il rapporto, sebbene interessante per le sue varia­zioni, aggiunse ben poco alle informazioni generali che il Cervello aveva assorbito in precedenza. L’ap­parizione dei simulacri lungo la riva del fiume aveva suscitato in loro paura e turbamento. C’era da aspet­tarselo. Il cinese aveva dimostrato senso pratico, non condiviso dagli altri due. Questo fatto, aggiunto agli apparenti tentativi del cinese di far innamorare i due giovani, poteva essere molto significativo. Il tempo avrebbe dato i suoi frutti.

Nel frattempo, il Cervello sperimentò qualcosa di simile a un’altra emozione umana: la preoccupa­zione.

I tre nel veicolo venivano trascinati sempre più lontano dalla caverna sul fiume. Il sistema di rap­porto-calcolo-decisione-azione stava subendo ritardi molto significativi.

Gli organi sensoriali del Cervello riesaminarono le volute dei messaggeri sul soffitto della caverna.

Il veicolo si stava avvicinando a una serie di ra­pide. I suoi occupanti avrebbero potuto trovarvi la morte, oppure rinvigorire le loro forze e superarle in volo. Quello rappresentava un elemento di preoc­cupazione da prendere seriamente in esame.

Il veicolo aveva già volato una volta.

Calcolo-decisione.

«Riferite ai gruppi di azione», ordinò il Cervello, «di catturare il veicolo e i suoi occupanti prima che raggiungano le rapide. Devono catturare gli umani vivi, se possibile. Se devono essere sacrificati, l’or­dine è il seguente: il primo a essere preso sia il ci­nese, poi la regina inerme e per ultimo l’altro ma­schio».

Gli insetti sul soffitto danzarono il campione del messaggio ed emisero ronzii modulati per imprimere i vari elementi che lo componevano, quindi decolla­rono nella luce dell’alba attraverso l’imboccatura della caverna.

Azione.

Chen Lhu teneva lo sguardo fisso davanti a sé, os­servando il corso del fiume illuminato dalla luce lu­nare. Increspato dalle linee circolari dei mulinelli, simili a ragnatele, fluiva come un nastro color ar­gento per lunghi tratti diritti.

Dalla parte frontale della cabina giungevano i re­spiri di un sonno profondo, finalmente appagato.

Ora probabilmente non sarò costretto a uccidere Johnny, quello scriteriato, pensò il cinese.

Guardò la luna, attraverso il finestrino laterale e notò che era bassa e prossima al tramonto. La luce bronzea della terra si rifletteva sulla superficie non illuminata della luna e in questa zona buia si deli­nearono i tratti di un volto: Vierho.

È morto, l’amico di Johnny, pensò Chen-Lhu. Quel­lo era un simulacro apparso sulla sponda del fiume. Nessuno può essere scampato alla distruzione dell’ac­campamento. I nostri amici laggiù saranno andati incontro alla sua stessa sorte.

Si chiese allora: Come avrà affrontato la morte, Vierho… come un’illusione o come un cataclisma?

Una domanda vana.

Nel sonno, Rhin si rigirò accostandosi a Joao. «Mmmmm», mormorò.

I nostri amici insetti non aspetteranno a lungo prima di sferrare l’attacco, pensò Chen-Lhu. Natu­ralmente saranno in agguato aspettando il momento giusto e scegliendo il posto più adatto. Dove avrà luogo: in una gola rocciosa, in una insenatura? Dove?

Quel pensiero trasformava ogni ombra della notte in una fonte di pericolo. E Chen-Lhu si stupì di aver permesso alla sua mente di indugiare in simili paure.

Ciononostante rimase all’erta, coi nervi tesi.

Fuori c’era uno strano silenzio, come di attesa, la sensazione di una presenza misteriosa nella giungla.

È un’assurdità, cercò di convincersi Chen-Lhu.

Si schiarì la gola.

Joao si girò sul sedile e avvertì il calore del corpo di Rhin, rannicchiato contro il suo. Respirava som­messamente.

«Travis», bisbigliò.

«Sì?»

«Che ora è?»

«Riposi un altro po’, Johnny. Ha ancora due ore.»

Joao chiuse gli occhi, si appoggiò allo schienale ma non riuscì a riaddormentarsi. Qualcosa nella cabina… qualcosa. C’era qualcosa che richiedeva una ricogni­zione da parte sua.

Muffa.

Era più forte del solito e si mescolava all’odore acre della ruggine.

Quegli odori lo riempirono di malinconia. Gli di­cevano che tutto nella capsula si stava deteriorando e la capsula era un simbolo di civilizzazione. Quegli odori rappresentavano la fragilità umana e una mi­naccia di morte.

Accarezzò i capelli di Rhin pensando: Perché non approfittare adesso di un attimo di felicità? Domani potrebbe essere troppo tardi.

A poco a poco si riaddormentò.

L’alba fu annunciata da uno stormo di pappagalli ciarlieri, nascosti nel fitto della giungla che fiancheg­giava il fiume. Altri uccelli più piccoli si unirono al coro: si udivano trilli, battiti di ali, cinguettii.