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«Ha ripreso a volare», disse il Cervello in tono di accusa.

I messaggeri, sul soffitto, danzavano e ronzavano i loro rapporti, aprendo la strada a nuovi insetti che, come tanti granelli dorati, volteggiavano nella luce solare proveniente dall’imboccatura della ca­verna.

«Il veicolo è seriamente danneggiato», riferirono i nuovi venuti. «Non è più in grado di galleggiare sul fiume e giace parzialmente sommerso dalle acque. Sembra che gli umani non abbiano subito danni. Gruppi di azione sono già stati condotti sul luogo, ma gli umani hanno opposto resistenza sparando i loro veleni su qualsiasi cosa in movimento. Quali sono le tue istruzioni?»

Il Cervello cercò di acquisire la calma necessaria per calcolare e decidere. Emozioni… emozioni, pen­sò. Le emozioni sono la rovina della logica.

Dati-dati-dati. Era completamente sommerso di da­ti, ma c’era sempre un fattore che gli sfuggiva. Nuo­vi elementi modificavano i dati precedentemente ac­quisiti. Il Cervello era in possesso di molte informa­zioni sugli umani, alcune ottenute mediante osservazione, deduzione e intuizione, altre raccolte dai microfilm disponibili nelle biblioteche allesti­te dagli umani nelle zone Rosse in previsione di un loro ritorno.

I dati rivelavano numerose lacune.

Allora il Cervello fu colto dal desiderio di potersi muovere da solo, per osservare tramite i suoi organi sensoriali tutto ciò che per il momento gli veniva trasmesso dai messaggeri. Quel desiderio provocò un’esplosione di segnali confusi dai centri di control­lo dei muscoli, inattivi e quasi atrofizzati. Numerosi insetti infermieri accorsero sulla superficie del Cer­vello, alimentando le zone in cui si erano formate quelle insolite richieste, contrapponendo additivi ormonali alle frustrazioni che per un momento ave­vano minacciato l’intera struttura.

Ateismo, pensò il Cervello, non appena la serenità chimica si fu ristabilita. Parlano di ateismo e di pa­radiso. Quegli argomenti disorientarono il Cervello. La conversazione, così come gli era stata riportata, era sorta da una discussione che riguardava i model­li di accoppiamento fra gli umani… almeno fra quelli del veicolo.

Gli insetti sul soffitto si innervosirono dovendo ripetere la domanda: quali sono le tue istruzioni?

«Quali sono le mie istruzioni?»

Le mie istruzioni.

Io… me… le mie.

Di nuovo, gli insetti infermieri accorsero.

Il Cervello riacquistò la calma e si meravigliò del fatto che dei pensieri, dei semplici pensieri, potes­sero provocare un simile sconvolgimento. La stessa cosa sembrava accadere anche agli umani.

«Gli umani nel veicolo devono essere catturati vi­vi,» ordinò il Cervello. (E si rese conto che la sua richiesta era puramente egoistica. Aveva parecchie domande da rivolgere al terzetto.) «Radunate tut­ti i gruppi di azione disponibili. Individuate un posto lungo il fiume più adatto di quello precedente e schie­rate una metà dei gruppi di azione. L’altra metà do­vrà attaccare non appena possibile.»

Il Cervello si placò senza congedare i messagge­ri, quindi, come in seguito a un ripensamento, ag­giunse: «Se tutto il resto fallisce, distruggete i cor­pi ma salvate le teste».

Adesso i messaggeri erano liberi e debitamente istruiti. Svolazzarono fuori della caverna nella chiara luce del sole e si librarono sull’acqua rumoreggiante del fiume.

A occidente una nuvola oscurò per un attimo il so­le.

Il Cervello registrò questo fatto, notando che il rumore proveniente dal fiume quel giorno era più forte.

Piogge nell’entroterra, pensò. Questo pensiero su­scitò immagini nella sua memoria: foglie bagnate, rigagnoli nella foresta, aria fredda e umida, piedi che sguazzano nel fango.

Nell’immagine, i piedi apparivano come i suoi e questo il Cervello lo considerò un fatto strano. Ma ormai gli insetti infermieri erano riusciti a ristabi­lire la serenità chimica nel loro assistito e il Cer­vello continuò a considerare ogni dato in suo pos­sesso che riguardava il cardinale Newman. In nes­sun luogo avrebbe potuto raccogliere informazioni dettagliate su questo cardinale Newman.

La riparazione consisteva, all’esterno, di foglie tenute insieme con liane e strisce di tessuto di ten­da e, all’interno, con uno spray coagulante, il con­tenuto di una bombola schiumogena che Joao ave­va fatto esplodere all’interno del galleggiante. Ora la capsula galleggiava sul fiume in senso verticale e Joao, immerso nell’acqua fino alla cintola, ne con­trollava la riparazione.

Sentiva attorno a sé i sibili intermittenti delle sca­riche dei fucili a gas e delle bombole schiumogene. L’aria era pregna dell’odore amarognolo dei veleni. Una schiuma nera e arancione fluiva giù per il fiume, formando delle chiazze che lambivano la riva incu­neandosi fra i resti delle liane utilizzate per issare la capsula. La schiuma trasportava con sé miriadi d’insetti morti.

In un momento di tregua, Rhin si sporse dalla cabina e disse: «Per amore del cielo, quanto ci vor­rà ancora?»

«Sembra che regga», rispose Joao con voce roca.

Si sfregò il collo e le braccia. I fucili e le bombole non avevano neutralizzato tutti gli insetti. La pelle gli bruciava per via delle punture e dei morsi. Quan­do sollevò lo sguardo, notò che anche Rhin aveva la fronte costellata di puntini rossi.

«In tal caso, è meglio squagliarcela», disse Chen-Lhu continuando a osservare il cielo.

Joao, colto da un improvviso capogiro, barcollò e per poco non cadde in acqua. Il corpo gli doleva per la stanchezza. Sollevò a fatica il capo per studiare il cielo. Si stava tingendo di rosso. Forse avevano ancora un’ora di luce a disposizione.

«Per amor del cielo, andiamocene», insistette Rhin.

Joao si rese conto che l’attacco era ricominciato. Si spostò dal galleggiante per portarsi sulla spiaggia e quel movimento fece allontanare la capsula. Rima­se immobile a fissarla notando che il serbatoio era stato riparato; si chiese chi avesse fatto quella ripa­razione.

Ah, sì… Vierho.

La capsula, sospinta dalla corrente, continuava ad allontanarsi da Joao. Era a circa due metri da lui. Allo stremo delle sue forze, egli avanzò di qualche passo, allungò un braccio per afferrare la punta del galleggiante di destra e si lasciò trascinare nell’acqua.

Dal portello uscì una mano che lo afferrò per il colletto. Con l’aiuto di quella mano Joao si issò sul­le ginocchia e scivolò dentro la cabina. Solo allora si accorse che era la mano di Rhin.

Chen-Lhu si dava da fare per ripulire l’abitacolo dagli insetti.

Joao sentì una trafittura alla gamba destra; abbas­sò lo sguardo e vide che Rhin, ai suoi piedi, gli stava applicando un nuovo impacco energetico.

Perché lo sta facendo? si domandò. Improvvisa­mente ricordò: Ah, sì… le punture, i veleni.

«Pensavo che l’ultima applicazione ci avesse resi immuni», disse Joao sorpreso dal suono fievole della sua stessa voce.

«È possibile», annuì lei. «A meno che non ci abbiano iniettato un nuovo tipo di veleno.»

«Credo di essere stato punto un po’ dappertut­to», fece Chen-Lhu. «Rhin, hai chiuso ermeticamen­te il portello?»

«Si.»

«Ho dato una bella spruzzata sotto i sedili e sul cruscotto.» Chen-Lhu mise una mano sotto il braccio di Joao per aiutarlo a sedersi. «Qui, Johnny, al suo posto di comando.»

«Già.» Joao barcollò in avanti e scivolò sul se­dile. Aveva la sensazione che il suo capo poggiasse su della gomma molle. «Siamo trasportati dalla corrente?»

«Sembra di sì», rispose Chen-Lhu.

Joao aveva il fiato grosso. Sentiva l’impacco energetico come una forza lontana che lottava per lui contro la stanchezza. Era tutto sudato, aveva la gola arida e bollente. Il parabrezza, di fronte a lui, era cosparso di macchie rosse e nere dello spray e di residui di schiuma.