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«Dobbiamo tenerci occupati», riprese il cinese. «Anche facendo qualcosa di banale, se necessario. È l’unico sistema per evitare… paura, noia, rabbia. Da’ retta a me… ti descriverò un’orgia alla quale ho assistito tempo fa in Cambogia. Eravamo in otto, senza contare le signore: un principe esautorato, un rappresentante ministeriale…»

«Oh, risparmiaci, non ci interessa affatto la tua maledetta orgia!» lo interruppe Rhin.

La carne, pensò Chen-Lhu. Rifugge da qualunque cosa che possa ricordare la sua stessa carne. È cer­tamente questa la sua debolezza. Mi fa piacere con­statarlo.

«Ah sì? Benissimo. Allora raccontaci della dolce vita di Dublino, mia cara Rhin. Adoro le storie di mariti che barattano le mogli, che passano il loro tempo andando a cavallo, incuranti del passato, del presente e del futuro.»

«Sei un uomo veramente spietato!» esclamò Rhin.

«Magnifico! Forse mi odi, Rhin e te lo concedo. In fondo anche l’odio tiene occupati. Ci si può lasciare trasportare da un sentimento come l’odio e pensare a cose più vantaggiose quali la ricchezza e il piacere. Ci sono circostanze invece in cui l’odio può avere la supremazia sul piacere carnale.»

Nell’udire quelle parole, Joao si volse e notò sul viso del cinese un’espressione dura ma controllata. Usa le parole come arma, pensò. La dialettica è una spada che sfodera per attaccare e difendersi, per manovrare la gente a suo piacere. Non lo capisce Rhin? Ma certo, non può capirlo… perché è in suo potere. Chen-Lhu si sta servendo di lei per qualcosa. Per un attimo, Joao rimase stordito dei suoi stessi pensieri.

«Mi sta osservando, Johnny», disse Chen-Lhu. «Che cosa crede di scoprire in me?»

È una partita a due, pensò Joao, e rispose: «Osservo un uomo nel pieno svolgimento del suo lavoro».

Chen-Lhu lo fissò. Non era il tipo di risposta che si aspettava… troppo sottile e penetrante, aperta a qualsiasi interpretazione. Si accorse che era difficile dominare una persona libera da qualsiasi legame. Si può raggirare e piegare a piacere… un uomo che ha sprecato le sue energie, ma se quest’uomo ha resi­stito, conservandole…

«Crede di capirmi, Johnny?» chiese Chen-Lhu.

«No, non la capisco.»

«Veramente? Eppure non sono affatto complicato; è facile capirmi.»

«Questa è una delle affermazioni più complicate che un uomo abbia mai fatto.»

«Mi sta prendendo in giro?» chiese Chen-Lhu e represse un impeto di collera e di sgomento. Joao stava tirando troppo la corda.

«Come potrei fare dell’ironia se non la capisco?» chiese Joao.

«È subentrato qualcosa in lei», disse Chen-Lhu. «Cos’è? Si sta comportando in modo molto strano.»

«Ora ci capiamo a vicenda», affermò Joao.

Mi istiga, pensò Chen-Lhu. Mi sta punzecchiando. E domandò a se stesso: dovrò uccidere questo pazzo?

«Vede, ha ragione lei, è facile riuscire ad ammaz­zare il tempo e a dimenticare i guai.»

Rhin lanciò un’occhiata a Chen-Lhu e vide che le sorrideva. Parlava principalmente nel mio interesse, pensò Rhin. Ricchezza e piaceri: in ciò consiste la ricompensa. Ma qual è il prezzo? Volse lo sguardo su Joao. Sì, gli consegno un bandeirante su un vas­soio d’argento. Gli cedo Joao da utilizzare come cre­de meglio.

Ora la capsula procedeva lentamente e Rhin fis­sava le colline che facevano capolino da dietro le nuvole basse. Perché mi tormento così? pensò. Non ci rimane una sola via di scampo. Abbiamo soltanto questi momenti da vivere e l’opportunità di trarne qualsiasi piacere possibile.

«Non vi sembra di essere un po’ inclinati verso il lato destro?» chiese Joao.

«Forse sì», rispose Chen-Lhu. «Crede che la ri­parazione stia cedendo?»

«Potrebbe darsi.»

«C’è una pompa fra gli attrezzi?»

«Potremmo utilizzare una di quelle bombole», disse Joao.

Rhin concentrò la mente sull’arma che Joao por­tava con sé e disse: «Joao, fa’ che non mi prendano viva, ti prego».

«Ah, che frase da melodramma», esclamò Chen-Lhu.

«La lasci in pace!» replicò Joao. Accarezzò la mano di Rhin, quindi guardò fuori scrutando tutt’intorno. «Perché non si fanno vivi?»

«Si sono scelti un altro posto e ci stanno aspet­tando al varco», disse Rhin.

«Sempre pessimista», osservò Chen-Lhu. «Che cosa potrebbero farci? Il peggio sarebbe se volessero le nostre teste secondo le usanze degli aborigeni di una volta.»

«È proprio di grande aiuto lei», ironizzò Joao. «Mi passi una bombola.»

«Subito, capo», disse Chen-Lhu, in tono beffardo.

Joao prese l’attrezzatura delle pompe a mano, metà di plastica e metà di metallo, raggiunse il portello in coda e scivolò sul galleggiante. Si fermò un attimo per guardarsi attorno.

Non un segno delle creature che sapeva intente a osservarli.

In lontananza, a circa cinque o sei chilometri, intravide fra gli alberi una scarpata a strapiombo su un’ansa del fiume.

Roccia vulcanica, pensò. E il corso del fiume do­vrà attraversarla in qualche modo.

Si chinò sul galleggiante, sbloccò la piastra di ispe­zione e introdusse la pompa. Un sordo gorgoglio rie­cheggiò all’interno del pontone. Accostò la pompa al foro e azionò l’impugnatura a leva. Un sottile getto d’acqua ricadde ad arco sul fiume, un forte odore di veleno fuoriuscì dalla bombola.

Joao udì il grido di un tucano riecheggiare dal fitto della giungla e la voce confusa di Chen-Lhu pro­veniente dalla cabina.

Sarei curioso di sapere di cosa parla quando non ci sono, pensò.

Sollevò lo sguardo in tempo per constatare che la curva del fiume era più larga di quanto pensasse. La corrente stava ora trasportando la capsula lontano dalla scarpata. Il fatto lasciò Joao del tutto indiffe­rente. In questa stagione, pensò, il fiume può ser­peggiare per un centinaio di chilometri e tornare in­dietro di un chilometro dal punto in cui ci troviamo adesso. Improvvisamente udì la voce concitata di Rhin che urlava: «Sei un figlio di puttana!»

Chen-Lhu rispose: «Da tempo nel mio paese non si dà più importanza all’albero genealogico».

La pompa aspirò aria gorgogliando e il rumore co­prì la risposta di Rhin. Joao rimise il tappo nel foro d’ispezione e fece ritorno nella capsula.

Rhin sedeva con le braccia conserte e voltava le spalle a Chen-Lhu. Aveva le guance rosse dall’ira.

Joao infilò la pompa nella sua custodia accanto al portello e abbassò lo sgardo su Chen-Lhu.

«Ho sentito che c’era acqua nel galleggiante», disse il cinese con voce controllata.

Ci avrei scommesso, pensò Joao. Qual è il tuo gioco, dottor Travis-Huntington Chen-Lhu? È un gioco sornione? Punzecchi la gente per divertimento oppu­re c’è qualcosa sotto? Scivolò sul sedile.

La capsula dondolò sotto l’azione di piccoli flutti creati da un vortice, si girò e si portò nuovamente col muso a valle, illuminata da un improvviso rag­gio di sole che faceva capolino da dietro le nuvole. Lentamente grandi chiazze blu squarciarono il cielo plumbeo.

«È uscito il sole, il caro vecchio sole», disse Rhin. «Ora che non ci serve più.» Fu pervasa da un im­provviso desiderio di protezione e appoggiò il capo sulla spalla di Joao. «Presto farà molto caldo», mormorò.

«Se volete restare soli, posso andarmene sul gal­leggiante», commentò Chen-Lhu ironicamente.

«Ignora quel bastardo, Joao», disse Rhin.

Dovrei ignorarlo? si chiese Joao. È questo che vuo­le… che io lo ignori? Come potrei?

I suoi capelli emanavano un profumo di mughet­to così eccitante che minacciava l’autocontrollo di Joao. Trasse un profondo sospiro e scosse il capo. Che cosa c’è in lei… in questa donna così volubile… e così piena di femminilità?

«Hai avuto un sacco di ragazze, non è vero?» chiese Rhin.

Le sue parole gli riportarono alla memoria una serie di immagini… piccoli occhi scuri, dall’espressio­ne furba e distaccata: occhi, occhi, occhi… tutti si­mili fra loro. E vistose figure racchiuse in corpetti attillati o avvolte in bianchi mantelli… ardenti sot­to le sue mani.