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Per un momento che le era sembrato eterno, ave­va urlato e battuto i pugni sulla porta chiusa a chia­ve. «Non moriranno! Non moriranno!»

Rhin scosse il capo per scacciare quel ricordo. «Non moriranno», bisbigliò.

«Che cosa?» chiese Joao.

«Niente», rispose lei. «Che ora è?»

«Presto sarà buio.»

Rhin teneva lo sguardo fisso sui litorali che scor­revano, alberi di felci e palme, con l’acqua alta che cominciava a riversarsi attorno ai tronchi. Ma il fiume era ampio e la corrente ancora veloce. Nella luce solare che filtrava attraverso i rami, le parve di vedere dei battiti di ali, dei movimenti rapidi e leggeri. Uccelli, si augurò. Ovunque si trovassero, le cose si muovevano così rapidamente che le pa­reva di vederle solo dopo che se ne erano andate.

A oriente, dense nuvole scure si ammassavano all’orizzonte e lampi silenziosi guizzavano nel cielo. Dopo un lungo intervallo, giunse il rombo del tuo­no, un martellare sordo e continuato.

La pesantezza dell’attesa era sospesa sul fiume e sulla giungla. Le correnti strisciavano attorno alla capsula come serpenti, un movimento melmoso, scu­ro e vellutato, che sospingeva i galleggianti: una spinta e una curva… una spinta, una giravolta e una curva.

È l’attesa, pensò Rhin. Gli occhi le si riempirono di lacrime.

«Qualcosa non va, mia cara?» chiese Chen-Lhu.

La sua prima reazione fu di scoppiare a ridere, ma non volle lasciarsi trascinare dall’isterismo. «Sei proprio un figlio di puttana», disse. «Qualcosa che non va!»

«Ahhh, vedo che non hai abbandonato il tuo spirito combattivo», osservò Chen-Lhu.

L’ombra grigia e luminosa di una nuvola passò sopra la capsula smorzando tutti i contrasti di co­lore.

Joao osservava una riga di pioggia emergere dal­l’acqua sollevata dalle raffiche del vento. Lampi con­tinuavano a guizzare a intervalli. Il rombo del tuo­no divenne più forte, più distinto e fece spaventare un gruppetto di scimmie urlatrici che giocavano sul­la sponda sinistra. Le loro grida riecheggiarono at­traverso il fiume.

Sull’acqua stava calando l’oscurità. Per un attimo, le nuvole si aprirono a occidente, rivelando un lem­bo di cielo color turchese scuro che sfumava rapi­damente dal giallo in un viola intenso come quello del mantello di un vescovo. L’acqua del fiume sem­brava olio scuro. Nuvole si abbassavano sul tramon­to e, in lontananza, il cielo era squarciato dai rapidi bagliori delle saette.

La pioggia cominciò a ticchettare senza sosta sulla calotta, avvolgendo le sponde in un velo di nebbia color grigio rosato. Poi le tenebre scesero sulla scena.

«Ho paura!» bisbigliò Rhin. «Oh, Dio, che paura!»

Joao non aveva più parole per confortarla. Il loro mondo, quello che stavano vivendo, non aveva più senso; tutto si era trasformato in un flusso primor­diale, indistinguibile dal fiume stesso.

Il gracidio delle rane interruppe il silenzio della notte. Udirono l’acqua sibilare attraverso i canneti. Neppure il più pallido chiarore lunare penetrava at­traverso l’oscurità nuvolosa del cielo. Poi a poco a poco i versi delle rane e i sibili dell’acqua cessarono. La capsula e i tre passeggeri ritornarono in un mondo in cui l’incessante picchiettare della pioggia era interrotto dal lieve sciabordio dell’acqua che sbatteva contro i galleggianti.

«Che strana sensazione, sentirsi inseguiti», disse Chen-Lhu.

Joao rimase colpito da queste parole, come se fossero giunte da una fonte immateriale. Cercò di ricordarsi l’aspetto del cinese, ma nessuna imma­gine prese forma nella sua mente. Si sforzò di fare un commento, ma tutto ciò che riuscì a dire fu: «Non siamo ancora morti».

Grazie, Johnny, pensò Chen-Lhu. Avevo bisogno che mi dicesse una qualsiasi banalità per prefigurar­mi il dopo. Borbottò sommessamente tra sé, pen­sando: La paura è il tributo pagato dalla consapevo­lezza. Non esiste debolezza nella paura… solo nel dimostrarla. Il bene, il male… è tutto molto sogget­tivo, sia con una religione sia senza.

«Credo che dovremmo ancorarci», disse Rhin. «Che cosa accadrebbe se ci imbattesimo nelle rapi­de durante la notte, prima di potercene accorgere? Chi può udire qualcosa col rumore della pioggia?»

«Ha ragione», approvò Chen-Lhu.

«Va lei a gettare il rampino, Travis?» chiese Joao.

Non c’è debolezza nella paura, solo nel dimostrar­la, pensò Chen-Lhu. Cercò di figurarsi che cosa po­tesse esserci là fuori nel buio… forse una di quelle creature che avevano visto sulla spiaggia. Chen-Lhu si rese conto che anche pochi secondi di incertezza lo avrebbero tradito.

«Penso», disse Joao, «che sia molto più pericoloso aprire il portello di notte che non lasciarsi traspor­tare… e rimanere in ascolto».

«Ci sono sempre le luci delle ali», disse Chen-Lhu. «Cioè, se sentiamo qualche rumore sospetto, pos­siamo individuare da dove proviene.» Mentre par­lava si rendeva conto della vacuità delle sue parole. Sentì un calore fluido increspargli le vene ed esplo­dere in una serie di pulsazioni ritmiche.

Eppure l’ignoto rimaneva là fuori, un luogo pieno di gratificante tranquillità, di una lucentezza sal­damente fissata nella memoria anche in quella oscu­rità.

La paura fa cadere qualsiasi finzione, pensò Chen-Lhu. Sono stato disonesto con me stesso.

Era come se quel pensiero lo scagliasse improv­visamente dietro un angolo, dove verificare la sua immagine morale come riflessa in uno specchio. E lui era contemporaneamente se stesso e la sua imma­gine morale. Quell’improvvisa consapevolezza gli fe­ce balenare nella mente certi ricordi del suo passato che danzavano e ondeggiavano come pezzi di stoffa staccati dal telaio: realtà e illusione nella stessa stoffa.

Poi la sensazione scomparve, lasciandolo spossato e tremante e con un terribile senso di perdita. È una ritardata reazione al veleno degli insetti, pensò.

«Oscar Wilde era un emerito somaro», affermò Rhin. «La vita di qualcuno compensa la morte di qualcun altro. Il coraggio non c’entra.»

Persino Rhin mi difende, pensò Chen-Lhu. Il pen­siero lo riempì d’ira. «Oh, anime semplici, timorate di Dio», disse con ironia. «Tutti voi che pregate: ‘Padre Nostro che sei nei cieli’. Non ci sarebbe un dio senza l’uomo! E dio non saprebbe di esistere se non fosse per l’uomo! Se ci fosse veramente un dio… questo universo sarebbe il suo errore.» Tacque, sor­preso di ritrovarsi ansimante come dopo un enor­me sforzo.

Come in risposta dal cielo, uno scroscio di pioggia batté contro la calotta, poi a poco a poco si spense e riprese l’incessante martellio delle gocce.

«Ecco… ha parlato l’ateo», disse Rhin.

Joao scrutò nell’oscurità, da dove proveniva la voce, sentendosi d’un tratto in collera con Rhin per ciò che aveva detto. Quello sfogo, che aveva fatto ap­parire Chen-Lhu nudo e indifeso, avrebbe dovuto es­sere ignorato anziché sottolineato con un commento. Capì che le sue parole erano servite soltanto a met­terlo ancora più in difficoltà.

Il pensiero gli riportò alla mente un fatto accaduto durante una vacanza con un compagno d’università nell’Oregon orientale. Stavano cacciando una quaglia lungo una staccionata, quando i bracchi pezzati di uno dei suoi ospiti erano balzati su un’altura lan­ciandosi all’inseguimento di uno sparuto coyote. Il coyote, avvistato il cacciatore, aveva svoltato a si­nistra rimanendo intrappolato in un angolo della staccionata.

In quell’angolo, il coyote, simbolo di codardia, aveva aggredito i cani mordendoli e graffiandoli fino a indurii a fuggire con la coda tra le gambe. Joao, impaurito, era rimasto a osservare la scena lascian­dosi scappare l’animale.