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Rhin si sentì di nuovo calma. Il braccio di Joao che la cingeva, il suo silenzio le avevano dato sicu­rezza.

È come un abbraccio paterno, pensò.

Chen-Lhu tossì, Rhin lo guardò.

«Johnny», disse Chen-Lhu. «Mi dia il fucile, mi serve per coprirla mentre va a recuperare altre armi dalla cabina.»

«L’ha detto lei stesso», obiettò Joao. «A che sco­po?»

Rhin si liberò dalle braccia di Joao, improvvisa­mente terrorizzata dallo sguardo di Chen-Lhu.

«Mi dia il fucile», ripeté Chen-Lhu con voce piatta.

Che differenza fa? si domandò Joao. Guardò Chen-Lhu dritto negli occhi e vi colse un lampo di ferocia. Buon Dio! Che cosa gli ha preso? Rimase sconvolto dall’influsso malefico del suo sguardo, reso più tor­vo dal taglio allungato degli occhi.

Chen-Lhu sferrò un calcio nel braccio sinistro di Joao e il fucile fu scagliato per aria.

Joao sentì il braccio semiparalizzato e istintiva­mente arretrò nella posizione di difesa dello judo brasiliano. Quasi accecato dal dolore, fece un balzo da un lato per schivare un altro calcio.

«Rhin, il fucile», urlò Chen-Lhu.

La mente di Rhin si rifiutò per un momento di funzionare. Scosse il capo, guardò il punto in cui era caduto il fucile. Era là, con la canna rivolta ver­so il cielo e il calcio conficcato nel suolo fangoso. Il fucile? si chiese. Ebbene sì, a questo punto me ne servirò per fermare un uomo. Afferrò il fucile, lo sollevò ancora col fango attaccato al calcio e lo pun­tò sui due uomini, saltellando di qua e di là come in una danza magica.

Chen-Lhu balzò all’indietro e si chinò.

Joao si drizzò stringendosi il braccio dolorante.

«D’accordo, Rhin», fece Chen-Lhu. «Fallo fuori.»

Provando orrore di se stessa, Rhin vide la canna del fucile spostarsi bruscamente su Joao.

Quest’ultimo fece per sfilare la pistola di tasca, ma si fermò. Dentro di sé non sentiva altro che vuo­to e disperazione. Se vuole uccidermi, che faccia pure, pensò.

Rhin digrignò i denti e puntò il fucile questa vol­ta su Chen-Lhu.

«Rhin», esclamò il cinese muovendosi verso di lei.

Figlio di puttana! pensò lei e premette il grilletto.

Un potente getto di veleno mescolato al contenuto della capsula di butile, investì Chen-Lhu in pieno viso facendolo barcollare. Si dibatté nel vano ten­tativo di liberarsi dalla massa appiccicosa; cadde a terra rotolando e dibattendosi sempre più, man mano che il butile si condensava. Poi i suoi movimen­ti divennero più lenti: un sussulto, una pausa, un sussulto.

Rhin rimase in piedi col fucile puntato su Chen-Lhu finché ebbe svuotato il caricatore, poi si libe­rò dell’arma.

Chen-Lhu fu scosso dall’ultimo spasmodico sus­sulto, quindi giacque immobile. Nessun tratto del suo viso era visibile, era soltanto una massa appicci­cosa grigio-nero-arancione.

Rhin si ritrovò ansimante e cercò di respirare pro­fondamente senza riuscirvi.

Joao le si avvicinò e lei vide che aveva la pistola in mano. Il braccio sinistro gli penzolava inerte lun­go il fianco.

«Il tuo braccio», disse Rhin.

«Rotto», confermò lui. «Guarda fra gli alberi.»

Si volse nella direzione indicata e vide rapidi mo­vimenti nell’ombra. Un soffio di vento agitava le fo­glie e la sagoma di un indiano apparve di fronte alla giungla, come il prodotto di una stregoneria. Gli oc­chi color ebano luccicavano di quella luce sfaccetta­ta, sotto una frangia tagliata dritta. Il volto era stria­to di rosso. Piume scarlatte di pappagallo spuntava­no da un legaccio che gli stringeva il muscolo del braccio sinistro. Indossava un indumento lacero e una sacca di pelle di scimmia gli pendeva dalla vita.

Alla vista di quel simulacro, Rhin fece un balzo nel passato, ricordando la spirale di formiche alate della sua fanciullezza e la nuvola grigia e fluttuante che aveva inghiottito il campo dell’OIE. Si volse verso Joao supplicando: «Joao… Johnny, ti prego, ti prego, uccidimi. Non lasciare che mi prendano».

Joao desiderava fuggire, ma i muscoli si rifiutavavano di obbedire.

«Se mi ami», supplicava lei. «Ti prego.»

Non poté resistere al tono implorante della sua voce. Il revolver si sollevò come di sua spontanea volontà con la canna rivolta verso di lei.

«Ti amo, Joao», sussurrò Rhin e chiuse gli occhi.

Joao si ritrovò con gli occhi pieni di lacrime. Ve­deva il suo volto attraverso un velo di pianto. Devo, pensò. Che Dio mi aiuti, devo farlo. In preda a una violenta agitazione, premette il grilletto.

Il colpo esplose e la pistola rinculò nelle sue mani.

Rhin balzò all’indietro come spinta da una mano gigantesca. Fece mezzo giro su se stessa e tuffò il volto nella melma.

Joao si volse di scatto incapace di guardare e fis­sò la pistola che aveva in mano. Alcuni movimenti fra gli alberi attirarono il suo sguardo. Si asciugò le lacrime e vide una fila di creature che si trasci­navano fuori della foresta. C’erano i due indiani sertao che l’avevano rapito assieme a suo padre… altri indiani delle foreste… il simulacro di Thome, uno dei suoi uomini… un altro uomo magro e avvolto in un abito scuro, coi capelli di un bianco lucente.

Persino mio padre, pensò. Hanno simulato persino mio padre!

Sollevò la pistola e se la puntò al cuore. Non pro­vava rabbia, soltanto un immenso dolore mentre pre­meva il grilletto.

L’oscurità si abbatté su di lui.

CAPITOLO DECIMO

Sognò di essere trasportato, di piangere, di urlare; fu un sogno di violenti proteste, di sfide, di ripulse.

Joao fu svegliato da una luce giallo arancione, men­tre una figura d’uomo, che non poteva essere suo padre, era china su di lui e gli tendeva una mano, dicendo: «Allora guarda la mia mano, se non mi credi!»

Non può essere mio padre, pensò Joao. Io sono morto… anche lui è morto. L’hanno plagiato… mi­mesi, nient’altro.

Joao si trovava in uno stato di shock che gli of­fuscava la mente.

Come mi trovo qui? Si domandava. Scavò nei ricordi e vide se stesso uccidere Rhin col revolver di Vierho, quindi puntare l’arma su di sé.

Qualcosa si muoveva alle spalle della figura che non poteva essere suo padre. Joao spostò lo sguar­do in quella direzione e vide un volto gigantesco largo quasi due metri. In quella insolita luce, il volto appariva triste, occhi brillanti, abbaglianti… enormi occhi con le pupille dentro le pupille. Il volto si girò e Joao notò che aveva uno spessore di non più di due centimetri. Di nuovo la maschera si volse. Gli strani occhi si concentrarono sui piedi di Joao.

Joao si sforzò di guardare in basso, quindi sollevò il capo di scatto e si lasciò cadere all’indietro in preda a un violento tremore. Al posto dei piedi aveva un bozzolo verde bavoso. Sollevò il braccio sinistro, ricordandosi che era rotto; ora lo artico­lava senza provare dolore e vide che la sua pelle aveva le stesse tonalità di verde di quel bozzolo repellente.

«Osserva la mia mano!» esclamò il vecchio ac­canto a lui. «Te lo ordino!»

«Non è ancora completamente sveglio.»

Era una voce tonante, risonante, che scuoteva l’aria attorno a loro e Joao ebbe l’impressione che giungesse da sotto il volto gigantesco.

Che strano incubo è questo? si chiese Joao. So­no all’inferno?

Con una brusca mossa allungò il braccio per af­ferrare la mano protesa.

Era calda… umana.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Scosse il capo per scacciarlo e ricordò… di avere fatto la stessa cosa un’altra volta… in qualche posto. Ma la sua mente si rifiutava di ricordare, c’erano pro­blemi più incalzanti. Quella mano era vera… le sue lacrime erano vere.

«Com’è possibile?» sussurrò.

«Joao, figlio mio», disse la voce di suo padre.

Joao scrutò il volto paterno. Era lui, non v’era alcun dubbio, nei minimi particolari. «Ma… il tuo cuore», fece Joao.