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«Impossibile», ribatté Chen-Lhu.

Rhin scosse il capo. «È assolutamente improba­bile che una pulce…»

«È uno scherzo dei bandeirantes», affermò Chen-Lhu.

«Come vuole lei, senhor», disse Martinho. «Ha visto la cicatrice sulla guancia di Vierho? Anche quel­lo è il risultato di uno scherzo.» Si volse e si inchinò a Rhin. «Mi perdona, senhorita?»

Rnin si alzò. Una pulce lunga quasi mezzo metro? Adesso le ritornavano alla mente gli strani racconti uditi nella sua fanciullezza. Si sentiva turbata, come in preda a una sensazione di irrealtà. C’erano dei li­miti alla materia. Cose simili non potevano esistere. Oppure sì? Adesso era soprattutto un entomologo. Erano subentrate la logica e l’esperienza. Quella fac­cenda poteva essere provata o smentita nel giro di pochi minuti. A meno di un isolato da qui, aveva detto l’uomo. Nella Plaza. E sicuramente Chen-Lhu non le avrebbe permesso di liberarsi così in fretta di Martinho. «Veniamo con lei, naturalmente», disse.

«Naturalmente», fece eco Chen-Lhu, alzandosi.

Rhin si avvicinò a Martinho e lo prese a braccet­to. «Signor Martinho, per piacere, mi mostri que­sta fantastica pulce.»

Martinho pose una mano su quella di Rhin e provò una elettrizzante sensazione di calore. Che donna conturbante! «Preferirei di no», disse. «Lei è così attraente e se penso a quello che l’acido di…»

«Non ci facciamo influenzare dalle chiacchiere», intervenne Chen-Lhu. «Vuole farci strada, Johnny?»

Martinho sospirò. Le persone incredule sono così ostinate… tuttavia gli si profilava l’opportunità di far giungere alle alte sfere la inconfutabile prova di ciò che la maggior parte dei bandeirantes già co­nosceva. Sì, il direttore di zona Chen-Lhu sarebbe venuto. Doveva venire. Con riluttanza Martinho gli offrì il braccio di Rhin. «La invito a seguirmi, ma per favore, senhor, tenga lontana la nostra affasci­nante Rhin Kelly. A volte le chiacchiere degenerano in una brutta avventura.»

«Useremo le necessarie precauzioni», disse Chen-Lhu. Lo scherno nella sua voce era fin troppo evi­dente.

Gli uomini di Martinho si erano già avviati verso l’uscita. Si girò e li seguì a lunghi passi, ignorando i clienti del locale che in silenzio lo seguivano con lo sguardo.

Rhin, nel dirigersi verso la strada con Chen-Lhu, rimase colpita dall’apparecchiatura che i bandeiran­tes portavano sulle spalle. Non sembravano uomini sottomessi con l’inganno, eppure doveva essere co­sì. Non poteva essere altrimenti.

CAPITOLO TERZO

La strada era qua e là illuminata dalle lanterne blu e bianche appese ai carretti degli schiavi. Una fiu­mana multicolore di persone nei costumi nazionali e regionali, si dirigeva verso la Plaza, dopo aver oltre­passato l’A’Chigua.

Martinho accelerò il passo, guidando i suoi uomini fra la calca. Al loro passaggio la gente si faceva da parte mormorando.

«È Joao Martinho coi suoi Irmandades.»

«…quelli della Piratininga con Benito Alvarez.»

«Joao Martinho…»

Nella Plaza, un autocarro bianco dei bandeirantes Hermosillo aveva i fari puntati sulla fontana. Altri autocarri e numerose auto della polizia sostavano in mezzo al passaggio. Da come si presentava, il ca­mion degli Hermosillo doveva essere appena ritor­nato dal retroterra. I parafanghi estensibili erano ancora sporchi di terra. Nella capsula anteriore si potevano chiaramente distinguere delle incrostazio­ni di terra: una striscia netta che scorreva tutt’intorno al veicolo. Evidentemente l’autocarro era sta­to utilizzato per scavare un campo.

Martinho seguì la traiettoria dei fari e, accompa­gnato dai suoi uomini, si diresse verso la fila di po­liziotti e bandeirantes che trattenevano la folla. «Dov’è Ramon?» chiese.

Vierho gli si fece più vicino. «Ramon è andato a prendere l’autocarro con Thome e Lon. Capo, non vedo la pulce.»

«Guarda là», fece Martinho indicando la fontana.

La folla era stata fatta indietreggiare ed era dispo­sta in cerchio a una cinquantina di metri dalla fon­tana centrale che si ergeva maestosa con un gioco di getti d’acqua luminosi. Di fronte alla folla scorreva un muretto circolare, le cui mattonelle formavano un mosaico raffigurante varie specie di uccelli bra­siliani. All’interno di questo anello, si elevava un’aiuola verde di circa venti metri di diametro, al centro della quale era situata la vasca della fonta­na. Tra la decorazione a mosaico e la fontana l’aiuola presentava qua e là chiazze gialle di erba brucia­ta. Martinho indicò le macchie una per una.

«Acido», mormorò Vierho.

I fari si spostarono bruscamente per illuminare un movimento dietro il getto d’acqua nel bordo del­la fontana. Un sibilo attraversò la folla come un’im­provvisa folata di vento.

«Eccola», fece Martinho. «Adesso lo scettico fun­zionario dell’OIE dovrà crederci.»

Aveva appena finito di parlare quando uno spruz­zo luccicante proveniente dalla creatura si inarcò sull’aiuola.

«Ihhh, uhhh», urlò la folla.

Martinho percepì un debole lamento alla sua sini­stra. Si girò e vide che un medico veniva diretto ver­so il carro degli Hermosillo. Nel farsi strada tra la calca, teneva la borsa sollevata sul capo.

«Chi è stato colpito?» chiese Martinho.

Un poliziotto alle sue spalle rispose: «Si tratta di Alvarez. Ha cercato di catturare quella… cosa, ma aveva con sé soltanto uno scudo protettivo e un fu­cile a gas. Lo scudo non era sufficientemente gran­de per ripararlo dalla rapidità degli spruzzi. La pul­ce lo ha colpito a un braccio».

Vierho diede uno strattone alla manica di Martinho e indicò in direzione della folla alle spalle del poli­ziotto. Rhin Kelly e Chen-Lhu stavano avanzando tra i curiosi che, riconosciuto il distintivo dell’OIE, si facevano da parte.

Rhin, agitando la mano, urlò: «Senhor Martinho… quella cosa, è incredibile. Come minimo è lunga set­tantacinque centimetri. Deve pesare tre o quattro chili».

«Non credono ai propri occhi», osservò Vierho.

«Ci faccia passare, per favore», chiese Chen-Lhu al poliziotto che poco prima aveva parlato di Alvarez.

«Come? Oh… Sì, signore.» La fila di poliziotti si separò.

Chen-Lhu si fermò accanto al capo bandeirante, lanciò un’occhiata a Rhin, quindi si volse nuovamen­te a Martinho. «Eppure, continuo a non crederci. Non so che cosa darei per toccare con mano quella… cosa.»

«Che cosa non crede?» chiese Martinho.

«Penso che si tratti di una specie di automa. Non ti pare, Rhin?»

«Deve essere così», rispose lei.

«Quanto vuole scommettere?» incalzò Martinho.

«Diecimila cruzados.»

«Per favore, tenga lontano l’affascinante dottor Kelly.» Poi si rivolse a Vierho: «Come mai non si vede ancora Ramon con l’autocarro? Vallo a cercare. Voglio il nostro schermo di vetro e il fucile a gas».

«Capo!»

«Muoviti. E procurati anche una provetta di gros­se dimensioni.»

Vierho sospirò e si allontanò per eseguire l’ordine.

«Secondo lei cos’è quella cosa?» chiese Chen-Lhu.

«Non sta a me dirlo.»

«Vuole insinuare che si tratti di una di quelle cose che soltanto i bandeirantes hanno veduto?»

«Non smentisco ciò che i miei stessi occhi hanno veduto.»

«Quello che non mi spiego è come mai a noi non sia mai capitato di imbatterci in simili esemplari», meditò Chen-Lhu a voce alta.

Martinho soffocò a fatica uno scatto d’ira. Questo buffone, qui al sicuro nella zona Verde, osa mettere in dubbio quello che i bandeirantes hanno effettiva­mente veduto.

«Non trova che la mia osservazione sia giusta?»

«Dobbiamo ritenerci fortunati solo per il fatto di aver salva la vita», borbottò Martinho.