«Qualsiasi entomologo le direbbe che quella cosa è un’impossibilità materiale», fece Rhin.
«La materia non può sostenere una simile struttura con quel genere di attività», affermò Chen-Lhu.
«Condivido l’opinione di voi entomologi», disse Martinho.
Rhin lo fissò stupita. Rimase sorpresa del suo rabbioso cinismo. Attaccava, ma nello stesso tempo non rimaneva sulle difensive. Agiva come se fosse veramente convinto che quell’essere straordinario, là nella fontana, fosse in effetti un insetto gigantesco. Ma poco prima, al cabaret, aveva ragionato diversamente.
«Ha visto cose simili nella giungla?» domandò Chen-Lhu.
«Non ha notato la cicatrice sul viso di Vierho?»
«Che cosa può dimostrare una cicatrice?»
«Abbiamo visto… quello che abbiamo visto.»
«Ma un insetto non può raggiungere simili proporzioni!» protestò Rhin. Concentrò lo sguardo su quell’oscura creatura che si agitava lungo il bordo della fontana, al di là della cortina d’acqua.
«Così sembra», ribatté Martinho. Quindi ripensò alle voci che gli erano giunte dalla Serra Dos Parecis. Una mantide lunga tre metri. Sapeva come controbattere simili affermazioni. Rhin… la scienza avevano ragione. Gli insetti non potevano assumere una simile struttura fisica. Era possibile che quelle cose fossero degli automi? Chi avrebbe potuto costruirle? E per quale motivo?
«Devono essere creature meccaniche», asserì Rhin.
«Tuttavia l’acido è autentico», osservò Chen-Lhu. «Guarda quelle chiazze gialle sull’aiuola.»
Martinho dovette ammettere che la sua basilare esperienza lo costringeva a convenire con Rhin e Chen-Lhu. Si era persino rifiutato di credere all’esistenza della mantide gigantesca. Sapeva che le chiacchiere spesso degeneravano. Quel giorno nella zona Rossa c’erano praticamente solo i bandeirantes. E non si poteva certo negare che molti di loro fossero ignoranti, superstiziosi, attratti dal denaro e facilmente suggestionabili. Scosse il capo. Eppure lui stesso era presente quel giorno in cui Vierho era stato investito dall’acido. Aveva visto… quello che aveva visto. E adesso, quella creatura là nella fontana.
Il cigolio delle ruote degli autocarri lo riportò alla realtà. Il rumore si faceva sempre più stridulo. La folla indietreggiò per permettere all’autocarro di Ramon di fare marcia indietro e di accostarsi a quello degli Hermosillo. Lo sportello posteriore si aprì e Vierho saltò giù non appena il motore si spense.
«Capo», chiamò. «Perché non utilizziamo l’autocarro? Ramon potrebbe avvicinarlo il più possibile alla…»
Martinho gli fece cenno di tacere, quindi si rivolse a Chen-Lhu. «Il camion non ha sufficiente manovrabilità. Ha visto come sono veloci i movimenti di quella cosa.»
«Non mi ha ancora detto che cosa ne pensa», fece Chen-Lhu.
«Glielo dirò quando avrò visto quella cosa dentro una provetta», rispose Martinho.
Vierho gli si accostò e disse: «Ma con il carro potremmo…»
«No! Il dottor Chen-Lhu vuole un esemplare in buono stato. Procurati delle bombe schiumogene. Ci andiamo a piedi.»
Vierho sospirò, quindi, alzando le spalle, si avviò verso la parte posteriore del carro e scambiò qualche parola con un compagno. Questi cominciò a passargli il materiale.
Martinho si rivolse al poliziotto che aiutava a trattenere la folla. «Può far avere un messaggio a quelle auto là in sosta?» disse.
«Certamente, signore.»
«Voglio che spengano i fari. Non vorrei rimanere abbagliato mentre sto lavorando. Mi capisce?»
«Comunico subito il messaggio, signore.» Si girò di scatto e andò a dare ordini a un funzionario in fondo alla fila.
Martinho si precipitò verso il camion, prese un fucile a gas ed esaminò il caricatore. Quindi lo estrasse e ne prese uno dalla rastrelliera fissata alla portiera del camion. Inserì il nuovo caricatore e lo esaminò. «Lascia qui la provetta finché non avremo immobilizzato quella… cosa», disse. «Verremo a prenderla in seguito.»
Vierho fece scivolare all’esterno lo schermo protettivo: uno scudo di vetro temperato di due centimetri di spessore, resistente agli acidi, montato su un carrello a due ruote e manovrabile a mano. In una fessura laterale era stato infilato il fucile.
Dal camion un bandeirante porse due tute protettive: due strati di una fibra di vetro grigio-argentea rivestita di un tessuto sintetico resistente agli acidi.
Martinho ne infilò una e controllò le chiusure ermetiche. Vierho indossò l’altra.
«Thome potrebbe aiutarmi con lo scudo», fece Martinho.
«Non ha molta esperienza, capo.»
Martinho annuì e prese a controllare le bombe schiumogene e l’equipaggiamento supplementare, quindi appese degli altri caricatori nella rastrelliera dello scudo.
Tutto fu eseguito in silenzio e con la massima rapidità, con quell’abilità conseguita dopo una lunga esperienza. La folla dietro l’autocarro aspettava in silenzio, un’attesa carica di tensione. Solo un leggero brusio circondava il camion.
«È ancora là nella fontana, capo», fece Vierho. Impugnò il manico dello schermo protettivo e lo diresse verso le piastrelle che decoravano il pavimento. La ruota destra si fermò sulla figura di un condor dipinta in una gradazione di blu.
Martinho ripose il fucile nella fessura e disse: «Sarebbe più semplice se dovessimo limitarci a sopprimerla».
«Quelle cose sono veloci come una saetta», osservò Vierho «È una faccenda che non mi piace, capo. Se lo scudo non dovesse ripararci…» Si toccò la manica della tuta. «Questa qui diventerebbe come una carta assorbente.»
«Dobbiamo manovrare lo scudo con molta attenzione.»
«Farò del mio meglio, capo.»
Martinho studiò la creatura, immobile sul bordo della fontana, dietro la cortina d’acqua e disse: «Va’ a prendere una torcia elettrica. Forse riusciamo ad abbagliarla».
Vierho bloccò lo scudo e si precipitò verso il camion. Riapparve dopo pochi minuti con una torcia appesa alla cintura della tuta.
«Andiamo», ordinò Martinho.
Vierho allentò il freno dello scudo e avviò il motore che emise un debole ronzio. Spostò di due tacche la leva di comando e lo scudo avanzò lentamente, sollevandosi per superare il cerchio di mattonelle in rilievo, quindi si fermò nell’aiuola.
Uno spruzzo di acido scaturì dalla creatura e schizzò sull’erba a dieci metri da loro. Un fumo biancastro si levò dall’aiuola e, sospinto da una leggera brezza, si dissolse alla loro sinistra.
Martinho notò la direzione della brezza e ordinò a Vierho di girare lo scudo controvento.
Un altro getto di acido ricadde vicino a loro, quasi alla stessa distanza.
«Sta cercando di dirci qualcosa, capo», scherzò Vierho.
Lentamente le si avvicinarono, attraversando una chiazza di erba ingiallita.
Un ulteriore spruzzo d’acido si levò dal bordo della fontana.
Vierho spostò il carrello all’indietro. L’acido schizzò il vetro e scivolò sulla parte anteriore del carrello. Un odore acre li investì.
Un mormorio concitato si levò dalla folla radunata attorno alla Plaza.
«Sono pazzi a rimanere così vicini», fece Vierho. «Se quella cosa dovesse attaccare…»
«Qualcuo le sparerebbe addosso», ribatté Martinho. «E sarebbe la fine della pulce.»
«La fine di un esemplare per le ricerche del dottor Chen-Lhu», proseguì Vierho, «e addio ai diecimila cruzados».
«Sì», proseguì Martinho, «non dobbiamo dimenticare la ragione per cui corriamo un simile rischio».
«Non penserai che lo faccia per divertimento», disse Vierho e spostò in avanti lo scudo di un altro metro.
Una nuvola di vapore si addensò nel punto in cui l’acido era ricaduto.
«Ha intaccato il vetro!» esclamò Vierho in tono sbalordito.