Pochi minuti dopo, quando le pale enormi ruotavano ancora, Emmett, Janas e gli altri spinsero i due Franken fuori dell’apparecchio. Maura, pallida e silenziosa, li seguì.
«Jarl» chiamò una voce femminile.
Janas si voltò e vide Syble Dian, vestita con la tuta degli operai delle Operazioni, con un fucile a energia sotto il braccio.
«Syble!» disse Emmett. «Che cosa diavolo fate qui?»
«Buongiorno, comandante» disse a Janas, venendo incontro al gruppo. Poi si rivolse a Emmett, scrollando le spalle: «Be’, non credo che in questo momento il settore legale sia di grande utilità, e perciò mi sono aggregata alla sezione “illegale”. Sono un’ottima tiratrice, sapete.»
«Lo credo» disse Emmett. «Però, per l’amor del cielo, siate prudente. Potreste lasciarci la pelle.»
«Gli altri corrono lo stesso rischio» disse lei, molto seria, indicando gli uomini tutt’attorno alla terrazza, pronti a ricevere gli elicotteri delle Guardie. «Comunque, è stato Hal a spedirmi quassù.»
«Hal?» disse Emmett. «Ma se gli ho ordinato di venire qui!»
«Ha detto che aveva altro da fare» disse Syble. «Anzi, si mostrava piuttosto ansioso di andare.»
«Va bene» disse Emmett. «Comunque, siate prudente.»
«State tranquillo» disse Syble. «E voi, cittadino Franken» disse, rivolgendosi a Altho «state attento: badate di non fare sciocchezze. Per esempio, non rifiutatevi di firmare quelle carte.»
Franken la fissò irosamente.
«È meglio scendere» disse Emmett, indicando le porte aperte del grav-ascensore.
Pochi secondi dopo, Emmett, Janas, Maura e i due Franken entravano nella cabina, dove c’era posto solo per cinque persone. Appena le porte si chiusero, Emmett guardò l’orologio.
«Quanto ci vuole per scendere?» chiese Janas.
«Quindici, venti minuti al massimo» disse Emmett. «Tutto è pronto, laggiù. Non devono far altro che firmare e lasciare le impronte del pollice e della retina. Dopo di che, affideremo l’ordine al computer. I nastri da infilare nelle capsule sono già preparati e li spediremo appena il calcolatore avrà accettato i cambiamenti politici. La Luna è già avvertita di tenersi pronta a ricevere tra breve disposizioni nuove.»
«La Luna accetterà i tuoi ordini?» chiese Janas.
«Lo spero» disse Emmett. «Non credo che sappiano che io non sono più al Settore Operazioni. Ad ogni modo, lo sapremo presto.»
«Non vi aspetterete mica che firmi quegli ordini?» disse Altho, con amarezza.
«Li firmerete, se volete salvare la pelle» disse Emmett. «Non posso decidere io per voi. Comunque, ascoltatemi bene: se non vi faccio fuori io, ci penseranno le bombe della Confederazione. Scegliete voi.»
Secondi preziosi fuggivano mentre l’ascensore scendeva prima al pianterreno e poi nel sottosuolo dell’enorme palazzo, dove era installato il calcolatore che organizzava e controllava tutte le operazioni delle grandi flotte spaziali della Compagnia di Navigazione Solare.
Janas si era voltato per commentare le parole di Emmett, quando la cabina piombò nel buio.
«Cosa succede?» gridò Emmett.
Janas si rese conto immediatamente che la cabina stava scendendo in caduta libera. Nel palazzo o per lo meno nella colonna degli ascensori era mancata l’energia, e la Contr-grav che regolava la marcia della piccola cabina era sospesa. In quel momento l’ascensore precipitava verso il fondo del pozzo alla velocità di 980 centimetri al secondo.
«I freni» disse Emmett. «Perché non bloccano la corsa?»
Ma i freni che avrebbero dovuto entrare in azione all’istante, arrestando la cabina nella sua corsa folle verso il basso, nelle viscere della Terra, nello strato roccioso sotto il Palazzo Operazioni, non funzionavano.
«È la fine» disse Janas. «Vogliono farci fuori.»
Furono le ultime parole che riuscì a pronunciare, prima che la cabina si schiantasse sul fondo. Nel buio ci fu all’improvviso un lampo accecante, poi tutto fu di nuovo nero.
22
Da “Eddie’s” era appena cominciato il primo spettacolo del pomeriggio. La sala era abbastanza affollata, quando il sipario si alzò sulla finta scena dei crateri di Odino e sulle dodici ballerine che presentavano la prima parte dello spettacolo.
Le ragazze avevano quasi finito il loro numero e l’orchestra si preparava a attaccare il motivo introduttivo di Rinni e Gray, i due ballerini Paraseleni, quando i soldati della Confederazione, con l’uniforme verde da guerra, fecero irruzione in sala.
Nessuno se ne accorse, né l’orchestra nascosta al pubblico, né le ragazze sul palcoscenico, e neppure i due ballerini, pronti per entrare in scena. Li notarono solo pochi clienti, i quali, però, essendo ormai abituati a vedere soldati armati in giro per la città, non ci fecero caso e tornarono a occuparsi dello spettacolo.
I soldati si tennero nell’ombra, vicino all’ingresso del locale, come se aspettassero un segnale per entrare in azione. Il tenente che li guidava, molto giovane, con una faccia imberbe da ragazzo, si guardava intorno innervosito, tormentando continuamente la pistola ad ago d’ordinanza che aveva alla cintura. Dopo qualche minuto, tirò fuori una sigaretta dalla tasca della divisa, se l’infilò in bocca e la accese con le dita che gli tremavano. Il soldato semplice che gli era vicino guardò con un certo disprezzo il suo superiore, e subito dopo tornò a occuparsi delle dodici bellezze che si dimenavano sulla scena. Dopo di che, non badò più al tenente.
Anche il tenente tentò di concentrarsi sulle ragazze, ma quei due fogli di carta che aveva in tasca, vicino alla scatola di sigarette, lo preoccupavano troppo, perché potesse pensare ad altro.
I tamburi dell’orchestra rullarono, le trombe squillarono e le ragazze del corso si ritirarono verso il fondo. In un silenzio profondo, una chitarra accennò al motivo principale dei Paraseleni.
Le luci passarono dal bianco all’azzurro. Rinni, correndo e danzando insieme, lasciandosi alle spalle una nuvola di nebbia bianca, arrivò in scena, vestita unicamente di quella nuvola evanescente e della fascia azzurra. Un sospiro involontario si levò dal pubblico, o, per lo meno, dagli uomini presenti in sala.
La inseguiva, un po’ sul serio un po’ per finta, il suo innamorato.
Il tenente dalle guance imberbi e pallide buttò a terra il mozzicone di sigaretta, lo schiacciò e, con gesto tutt’altro che sicuro, estrasse la pistola dalla fondina.
«Andiamo» disse con voce malferma ai suoi uomini, troppo giovani e incerti come lui.
Con passo che voleva essere baldanzoso, il tenente attraversò la sala, senza curarsi delle proteste dei clienti, e si fermò con i suoi uomini a pochi metri dal palcoscenico. A questo punto, tirò fuori dalla tasca della giacca i due mandati, li passò nella sinistra, e posò la destra sul calcio della pistola ad ago.
«Cittadina Rinni Kalendar e cittadino Grayson Manse» disse con voce stridula «per ordine del presidente della Confederazione Terrestre, secondo le norme di legge approvate testé dal Parlamento della Confederazione Terrestre, siete accusati di tradimento e sottoposti a arresto immediato, in attesa del processo che avrà luogo davanti a una Corte Marziale.» Era stato un discorso lungo e il tenente si stupì di essere arrivato con tanta facilità alla fine. Alzò gli occhi al palcoscenico.
I due ballerini si erano fermati di scatto a guardare di dove venisse la voce, e apparivano spaventati e stupiti. Le loro parole furono soffocate dalle grida del pubblico.
«Venite...» Le parole del tenente furono interrotte da Gray, che, con un balzo, si lanciò giù dal palcoscenico, gridando a Rinni:
«Scappa!»
Rinni, per un secondo, lo fissò con gli occhi sbarrati: i suoi lineamenti delicati erano sconvolti dalla angoscia e dalla paura. Poi si voltò.