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Dietro gli incrociatori da battaglia, avanzavano i caccia e il naviglio leggero, tutte unità meno imponenti, ma ugual­mente micidiali. I caccia pro­cedevano nell’Anti-spazio in formazione di cono rovesciato, e avevano alla testa il famoso “North Carolina”.

Venivano poi, dopo gli in­crociatori e i caccia, i mostri dello spazio, le grosse portae­rei, enormi scafi sferici stipati di apparecchi minuscoli, velocissimi e micidiali. Si chiama­vano “Repubblica di Genova”, “Regno di Francia”, “Sud-A­sia”, “Stati Uniti d’America”, e altre due dozzine di nomi famosi che celebravano gli an­tichi stati terrestri. Finalmen­te alle spalle dell’Armada, pro­cedevano le navi-appoggio, le navi ospedale, i rimorchiatori, e tutta la flottiglia varia che fa sempre da seguito a una flotta di navi da guerra.

Così, L’Armada procedeva incontro al nemico, verso uno scontro che avrebbe deciso le sorti dell’umanità.

5

Janas non consegnò la borsa alla ragazza che gli veniva in­contro e disse al cameriere che il cittadino Jarl Emmett lo stava aspettando. L’uomo sor­rise, s’inchinò, disse: «Certo, comandante Janas, il cittadino Emmett vi aspetta.» E lo guidò attraverso la sala affolla­ta verso un angolo semibuio dove sedeva Jarl Emmett, in compagnia di altri tre uomini.

A una certa distanza dal loro posto, una cantante si muoveva in mezzo ai tavoli, accompagnata da un cono di luce, che sembrava quasi ema­nare da lei. Era avvolta come da una nebbia leggera, che pareva costellata di brillanti, e lasciava indovinare le ricche forme del suo corpo. I capelli bianco-verdi, lunghissimi, si in­nalzavano in un cono altissimo sulla sua testa e le ricadevano sulle spalle, confondendosi con la spuma leggera che la vestiva appena. Teneva in ma­no un piccolo strumento simi­le a un’arpa, e, avanzando tra i tavoli, ne pizzicava le corde. Quella canzone, Janas l’aveva sentita tanto tempo fa, e mol­to lontano di li:

Noi siamo tra le stelle lucenti e la Terra è lontana, lontana: varchiamo l’intero Universo senza mai un conforto, un affetto. Siamo mercanti e pionieri dello spazio, gridiamo la nostra pena e gli affanni. A voi abbiamo dato un domani: per noi, abbiamo detto addio a noi stessi.

Janas credeva di riconoscere due dei tre uomini Che erano con Emmett, ma in quel mo­mento gli sfuggivano i nomi. I tre lo accolsero sorridendo, e Emmett prese subito la parola.

«Sono contento di rive­derti, Bob» disse, alzandosi e tendendogli la mano. «O al­meno di rivederti in carne e ossa.»

Janas per poco non scoppiò in una risata. Quei quattro personaggi tenebrosi, vestiti di scuro, seduti attorno al tavolo ovale avevano un’aria buffa. Ognuno aveva davanti a sé un bicchiere vuoto a metà, e tre stavano fumando. Nel centro del tavolo era infilata, in una vecchia bottiglia di vino incro­stata di cera, una candela acce­sa, l’unica fonte di luce in quell’angolo buio. A Janas quei quattro facevano venire in mente i rivoluzionari barbu­ti del secolo XX, che aveva visto in 3D alla televisione; però qualcosa lo trattenne dal riderne. Forse i due momenti erano troppo simili, perché si potesse riderne.

Mentre si accomodava nel­l’unica seggiola libera, notò, con la coda dell’occhio, l’uo­mo che lo aveva seguito per strada; si sedette in modo da tener d’occhio lo sconosciuto.

«Ti ricordi di Hal Danser?» chiese Emmett, vestito in modo meno stravagante del­l’attuale moda terrestre.

«Molto lieto, Hal» disse Janas, stringendo la mano che gli veniva tesa attraverso il tavolo. «Siete anche voi nel settore operativo?»

«Sono l’assistente di Jarl» disse Danser. «È un piace­re rivedervi.» Danser, che era piuttosto grosso indossava un abito giallo e arancione, che ricordò a Janas un grosso pal­lone da spiaggia, mezzo sgon­fio.

Janas si voltò verso l’uomo piccolo e magro, a destra.

«Juan Kai» disse l’altro. «Ingegnere Capo Operazioni.»

«Ho sentito parlare molto di voi, cittadino Kai» disse Janas.

Kai sorrise: «Spero che non sia stato tutto negativo, ciò che avete sentito, coman­dante.»

«Tutt’altro» rispose Ja­nas; poi si voltò a salutare l’uomo vestito con estrema so­brietà, alla sua sinistra. «Il signor Paul D’Lugan, vero?» Per quanto indossasse abiti ci­vili, c’era in quell’uomo un piglio duro, soldatesco.

Un’ombra passò sul volto del giovanotto tarchiato, che annuì.

«Eravate primo ufficiale della CT “Città di Firenze”» disse Janas. «Riportaste due scialuppe su Iside, dopo la battaglia del ’77. Siete diventa­to celebre, allora.»

D’Lugan annui ancora. «Non è stata un’impresa molto eroica, comandante. Le navi della Confederazione ci aveva­no scambiati per ribelli e ci hanno annientati prima ancora che avessimo la possibilità di farci riconoscere. Ventotto morti.»

«Lo so» dissi Janas. «Un incidente spaventoso.»

D’Lugan sorrise freddamen­te, come per mettere in dub­bio che si trattasse veramente di un incidente; però non disse nulla.

La cantante, nel frattempo, era sparita, e l’estremità della sala si andava gradatamente illuminando, inquadrando un piccolo palcoscenico chiuso da un sipario dorato. Quando tut­ta la scena fu avvolta da una luce bianca e morbida, senza ombre, una orchestra invisibile attaccò un pezzo che Janas non aveva mai sentito. Un ometto basso, con un costume da Arlecchino, rosso e oro, scostò il sipario e si presentò sul palcoscenico.

«Signore e signori» disse, mentre tra la folla correva un mormorio. «Eddie’s è lieto di presentarvi stasera alcuni tra i più interessanti danzatori della Galassia.» Seguì una pausa carica di drammaticità. «Ec­covi Rinni e Gray, i danzatori Paraseleni, di Odino.»

Dopo i soliti applausi, il sipario dorato si aprì, lascian­do apparire un’imitazione mol­to approssimativa, almeno così la giudicava Janas, dell’aspro, splendido paesaggio vulcanico di Odino. Le miriadi di stelle lucenti riprodotte sulla scena non erano che una pallida re­plica del cielo notturno di Odino. L’orchestra invisibile suonava, sempre più forte, una versione edulcorata dei canti tradizionali dei Paraseleni ri­belli e non conformisti di Odi­no.

Pochi secondi dopo, una dozzina di ragazze seminude, con indosso il minimo indi­spensabile per dare l’impressio­ne dei bizzarri costumi dei Paraseleni, si lanciò in una danza complicata, che aveva ben poco a che vedere con il pianeta Odino.

Janas si voltò per osservare gli uomini intorno al tavolo. Erano tutti e tre “cospiratori”, e proprio per questo Janas provava per loro una certa diffidenza, come del resto dif­fidava inconsciamente e invo­lontariamente di quasi tutti quelli che Emmett aveva reclu­tato nella sua campagna per mantenere la neutralità della CNS, anche se, personalmente, non ne conosceva quasi nessu­no. “Va bene” pensava Janas “sono anch’io uno di loro; ep­pure non riesco a fidarmi di questi individui, almeno finché non conosco le loro intenzio­ni. C’è troppa gente disposta a entrare in qualunque movi­mento rivoluzionario, con la certezza che il vecchio sistema debba essere rovesciato a tutti i costi e sostituito con qualco­sa di nuovo, ed è così raro che abbiano ragione! Jarl, comun­que, è un buon giudice di uomini, e ci sono molte proba­bilità che quei tre non siano rivoluzionari per vocazione, ma uomini che si rendono conto freddamente e razional­mente che, se vogliamo soprav­vivere, non c’è altra strada che questa.”

Janas si voltò per osservare l’individuo seduto a pochi ta­voli da loro, che li guardava con aria indifferente. Chi, che cosa rappresentava quell’indi­viduo?

Come se avesse captato il disagio di Janas, Emmett apri la giacca e gli mostrò un picco­lo aggeggio rettangolare appe­so a una cinghia di cuoio sotto l’ascella. Janas riconobbe im­mediatamente un “noiser” e cioè un apparecchio elettro­nico che serviva a disturbare l’ascolto di un eventuale appa­rato ricevente. Janas accennò di aver capito.