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Dopo un brevissimo segnale di “messaggio ricevuto” da parte delle altre ventitré unità, la radio tacque.

Branchi si voltò a guardare il giovane che sedeva dietro di lui.

«Come andiamo, Jack?» chiese.

«Silenzio perfetto, mag­giore» rispose Jack. «Non c’è la minima dispersione. L’u­nica emissione radio in uscita dalla “Wanda” è il raggio diret­to che ci collega con la “Shilo”.»

Branchi annui e riprese a controllare gli strumenti di bordo.

La “Wanda Love” scivolava nell’Anti-spazio, simile in tut­to a un relitto abbandonato. Era quasi impossibile scoprirne la presenza, perché a bordo i razzi erano spenti, il controllo grav disinnestato, gli strumenti di controllo-rotta ridotti a un minimo di passività. I due uo­mini d’equipaggio erano isolati dentro alle tute spaziali. L’uni­ca energia elettromagnetica che si sprigionava dalla “Wan­da Love” era una radio-onda impercettibile, che la collegava direttamente con l’ammiraglia dell’Armada. E solo se fosse passato attraverso quel minu­scolo raggio, il nemico avrebbe potuto individuarla.

La “Wanda Love” doveva sfrecciare il più vicino possibi­le alla flotta nemica, per racco­gliere tutte le informazioni captabili col sistema di ascolto passivo, e infine invertire la rotta e ricongiungersi alla flot­ta. La “Wanda Love” perciò si tuffò in direzione del nemico, seguita da tutti i ventiquattro caccia della squadra.

Il cronometro continuò a scandire i secondi, via via che la “Wanda Love” si allontana­va dalla grande flotta terrestre. Evan Branchi avverti allo sto­maco una strana sensazione. Aveva sempre provato quel malessere, fin dalla sua prima missione, e aveva sperato inva­no che, col tempo, gli passasse. Invece quella bizzarra sensa­zione non lo abbandonava neanche quando volava al sicu­ro dietro le proprie linee, per­ché Evan Branchi sapeva che, prima o poi, una missione sa­rebbe finita male e che, quel giorno, lui non avrebbe più rivisto le verdi colline della Terra, né l’azzurro del suo cielo.

“E se fosse proprio que­sta?” pensava tra sé, come aveva pensato tante altre volte prima, decine di volte, nel corso di altrettante missioni quasi suicide.

L’apparato di ricezione pas­sivo segnalò qualcosa di insoli­to che si muoveva nel grigiore dell’Anti-spazio: i caccia nemi­ci!

«Ci hanno visti?» chiese il secondo pilota, con un legge­ro tremito nella voce.

«E come vuoi che non vedano?» rispose Branchi. Il malessere interno, intanto, si era trasformato in una fredda determinazione, che passava per coraggio, e che faceva di lui uno dei migliori piloti di caccia. «Hanno i nostri stessi strumenti.» La voce era cal­ma e decisa.

«Che cosa facciamo?»

«Li annientiamo» sibilò Branchi tra i denti, allungando la mano ai comandi che aveva di fronte. L’intercettazione si attivò all’istante, e sugli scher­mi si delineò la forza nemica: sedici caccia ribelli che filava­no dritto in direzione di Bran­chi. I plasma-jet si accesero, la radio entrò in funzione.

«Il comandante ai piloti» disse. «Intercettati caccia ri­belli.» Lesse una serie di coordinate destinate all’Armada che lo seguiva. «Ordine di attaccare e distruggere.»

Il “Wanda Love” che, ormai, era una creatura viva nelle mani del suo comandante, de­scrisse un ampio cerchio nel grigio Anti-spazio e si preparò a attaccare il nemico sul fian­co.

Le due squadre si trovavano ancora a centinaia di chilome­tri di distanza, quando da en­trambe le parti fu aperto il fuoco. I cannoni a energia entrarono in azione e sprazzi di energia elettrica avvolsero gli scafi metallici. Il grigio An­ti-spazio, dove non c’era mai stata luce, all’improvviso av­vampò tutto.

Branchi, per un secondo, rimpianse di non trovarsi su un’unità molto più grossa di quella, armata di generatori di energia...

Il “Wanda Love” era alla testa dei caccia della Confede­razione nella corsa verso la morte e fu il primo a sopporta­re l’urto del nemico. Vampate di energia elettrica avvolsero lo scafo sottile, fondendo ogni cosa. Il “Wanda Love”, investi­to da una seconda raffica, sal­tò in aria e il. maggiore Evan Branchi, pilota della CT, mori nell’istante in cui la sua tuta si squarciava nel vuoto dell’Anti-spazio.

7

La mattinata era insolitamente fredda, pensava Janas, osser­vando dalla sua finestra il giar­dino. A pochi metri dai vetri, il vento scompigliava le foglie rossastre di un cespuglio, e gli faceva correre un brivido lun­go la schiena. L’inverno era vicino e Janas non poté tratte­nersi dal pensare che quel tem­po ingrato sembrava presagire la catastrofe imminente.

Qualcuno bussò alla porta.

«Avanti» disse lui.

«Siete sveglio?» chiese da fuori Miriam Lysek, la mo­glie di Jarl Emmett.

«Certo» rispose Janas. «Un momento» aggiunse, men­tre si infilava la vestaglia. Poi andò alla porta e apri.

«Avete dormito bene?» chiese Miriam, una donna pic­cola e graziosa, più giovane del marito di venti o trent’anni.

«Sì, ma non abbastanza» rispose Janas.

«Restate a letto finché vo­lete» disse lei. «Jarl e io adesso andiamo a lavorare. Vi ho messo la colazione al caldo, per quando la vorrete.»

«Grazie, ma preferisco far­la subito.»

«Jarl vi prega di chiamarlo più tardi.»

«Benissimo.»

«Allora, ci vediamo dopo.» Miriam uscì, lasciandolo so­lo nella stanza degli ospiti di Emmett, dove aveva passato quella notte troppo breve.

Janas andò in bagno per radersi e fare un bagno, e intanto ripensava alla sera pri­ma. Jarl li aveva accompagnati, lui, Hal Danser, Juan Kai e Paul D’Lugan alla sede centra­le della CNS, a bordo di un elicottero da noleggio. Duran­te il volo, si erano posti la solita domanda: «Che cosa dobbiamo fare?» Franken non aveva mantenuto la pro­messa e aveva agito senza tene­re conto di quei dati che Janas ora aveva con sé nella borsa. Com’era possibile, ormai, riti­rare l’appoggio che Franken aveva promesso alla CT?

Secondo Paul D’Lugan, bi­sognava usare la violenza, e cioè riunire nell’ufficio di Franken un numero di uomini sufficiente, e costringerlo ad annullare l’impegno preso con la Confederazione e a richia­mare le navi della CNS che stavano per unirsi alle forze della Confederazione. Janas aveva detto”. «No!...»

Franken era suo amico e, probabilmente, se aveva agito così, lo aveva fatto a ragion veduta. Janas era deciso ad andare da lui, a esporgli i fatti e chiedergli di agire in base a questi. D’Lugan aveva riso amaramente e aveva sostenuto che Franken non sarebbe mai ritornato, di sua volontà, sulle sue decisioni. Sostenuto da Jarl Emmett e Juan Kai, Janas replicò che la violenza era troppo rischiosa, e che biso­gnava ricorrervi solo in casi estremi. D’Lugan si spazientì, dichiarò che avrebbe aspettato finché Janas stesso si fosse convinto, e che allora loro due avrebbero fatto irruzione nel­l’ufficio di Franken, costrin­gendolo a salvare la CNS.

Janas s’immerse nell’acqua calda del bagno, che l’avvolse con una carezza calda e genti­le, e per un momento non pensò a nulla, tranne a rilassar­si e a distendersi.

Pochi minuti più tardi, do­po essersi infilato un’uniforme nuova, Janas passò in cucina dove era pronta la colazione. Mentre si sedeva per mangia­re, scorse un foglietto sul tavo­lo.

“Bob, queste sono le chiavi della Holt gialla che è in gara­ge. Usala quanto ti pare. Jarl.”

Janas sorrise, s’infilò in tasca le chiavi dell’overcar, e poi cominciò a mangiare.

“Non è cambiato niente” pensava Janas, pilotando l’overcar lungo i settori di Central.

Poco, in effetti, era cambia­to negli edifici e nelle strade della cittadina che costituiva la sede degli uffici della Compa­gnia di Navigazione Solare. Central si era formata lenta­mente, nello spazio di oltre milleduecento anni, nella zona in cui un tempo c’era la città di Prescott; gli ultimi dieci anni non ne avevano alterato molto la fisionomia.