Così, nelle terre intorno al Mare Circolare, l’anno inizia la Notte della Posta del Cinghiale, continua con Spring Prime fino al primo solstizio d’estate (Small Gods’ Eve), che è seguito da Autumn Prime e, passato Crueltide a metà anno, da Inverno Secondo (conosciuto anche come Inverno del Fuso, dato che in questa epoca il sole sorge nella direzione della rotazione). Quindi viene Primavera Seconda con Estate Ripetuta; i tre quarti dell’anno sono contrassegnati dalla notte, l’unica notte dell’anno, secondo la leggenda, in cui streghe e stregoni rimangono a letto. Poi le foglie svolazzanti e le gelide notti scorrono lente fino a Retroinverno del Fuso e un’altra Notte della Posta del Cinghiale, che si annida nel suo centro come un gioiello di ghiaccio.
Poiché il Centro non è mai riscaldato dal pallido sole, le sue terre sono perennemente strette nella morsa del ghiaccio. Al contrario l’Orlo è una regione di isole solatie e di dolci giornate.
Naturalmente la settimana del disco conta otto giorni e il suo spettro otto colori. Sul disco, otto è un numero dal significato occulto che non deve mai essere pronunciato da un mago.
La ragione per cui ciò dovrebbe essere così non è chiara, ma serve a spiegare in parte perché, sul disco, gli dei sono biasimati piuttosto che venerati.
Bravd si rese conto che la sua mossa era fallita.
— Vattene — gli intimò il cavaliere. — Non ho tempo da perdere con te, capito? — si guardò intorno e aggiunse: — Questo vale anche per il tuo compare che ama restare nell’ombra, dovunque si nasconda.
Donnola si avvicinò al cavallo e scrutò la figura lacera.
— Ma come, è Scuotivento il mago, non è vero? — esclamò con voce lieta e intanto s’imprimeva in mente le parole pronunciate dal mago nei suoi confronti e sì riprometteva di vendicarsene a tempo debito. — Mi pareva di riconoscere la voce.
Bravd sputò in terra e rinfoderò la spada. Raramente valeva la pena d’impelagarsi con i maghi, che di solito non possiedono tesori di valore.
— Parla con arroganza per essere un mago da strapazzo — borbottò.
— Tu non capisci niente — ribatté stancamente il mago. — Mi avete messo tanta paura che le gambe non mi reggono e in questo momento sono sopraffatto dal terrore. Voglio dire che quando l’avrò superato, avrò tempo di essere spaventato come si deve da voi due.
Donnola additò la città che bruciava. — Ti ci sei trovato in mezzo? — chiese.
Il mago si passò sugli occhi una mano dalla pelle ustionata. — Ero lì quando è cominciaro. Vedi quello? Là dietro? — Additò alle sue spalle la strada lungo la quale il suo compagno di viaggio stava ancora avanzando. Infatti, per cavalcare aveva adottato un metodo che consisteva nel cadere dalla sella a intervalli di pochi secondi.
— Allora? — domando Donnola.
— È lui che l’ha appiccato — rispose Scuotivento.
Bravd e Donnola guardarono l’uomo che saltellava per la strada con un piede preso nella staffa.
— È un incendiario? — disse alla fine Bravd.
— No. non esattamente. Diciamo soltanto che se si scatenasse il caos, lui sarebbe tipo da starsene in cima a una collina sotto l’uragano nella sua fradicia armatura di rame a urlare: "Tutti gli dei sono dei disgraziati". Avete da mangiare?
— C’è del pollo — disse Donnola. — In cambio di una storia.
— Lui come si chiama? — domandò Bravd che nella conversazione tendeva a restare indietro.
— Duefiori.
— Duefiori? Che nome buffo.
Scuotivento smontò da cavallo. — Non conosci nemmeno la metà della storia. Del pollo, hai detto?
— Stantio — asserì Donnola. Il mago emise un gemito.
— Questo mi ricorda — disse l’altro schioccando le dita — che c’è stata una grossa esplosione circa, oh, mezz’ora fa.
— È saltato in aria il deposito di petrolio — spiegò Scuotivento con un fremito al ricordo della pioggia di fuoco.
Donnola si girò con un sogghigno di aspettativa verso il suo compagno. Questi estrasse una moneta dal borsellino e gliela tese con un grugnito. In quel momento dalla strada venne un grido strozzato: Scuotivento non alzò gli occhi dal suo pollo.
— Una cosa che non è capace di fare: cavalcare — spiegò. Poi s’irrigidì come colpito da un pensiero improvviso, se ne uscì in un’esclamazione di terrore e si slanciò nell’oscurità. Quando tornò, l’essere chiamato Duefiori gli ciondolava sulla spalla. Era piccolo e spaurito, abbigliato in modo strano con un paio di brache fino al ginocchio e una camicia dai colori talmente stridenti da offendere perfino nella penombra l’occhio sensibile di Donnola.
— Pare che non abbia ossa rotte — annunciò Scuotivento, col respiro affannoso.
Bravd strizzò l’occhio a Donnola e andò a ispezionare quello che supponevano fosse una bestia da soma.
— Fareste meglio a scordarvelo — disse il mago senza smettere di esaminare Duefiori tuttora svenuto. — Credetemi. È protetto da un potere.
— Un incantesimo? — disse Donnola accovacciandosi.
— Nooo. Ma una magia, credo. Non del solito tipo. Voglio dire, una magia capace di trasformare in rame l’oro che però resta sempre oro; che arricchisce gli uomini distruggendo i loro beni: permette ai deboli di camminare senza paura in mezzo ai ladri: attraversa le porte più robuste per farne trapelare i tesori più protetti. Anche ora mi tiene prigioniero… così che devo seguire questo pazzo per amore o per forza e lo devo proteggere da ogni male. È una magia più forte di te, Bravd. E, credo, più astuta perfino di te. Donnola.
— Come si chiama dunque tale potente magia?
Scuotivento alzò le spalle. — Nella nostra lingua è chiamata suono-riflesso-di-spiriti-sotterranei. C’è del vino?
— Devi sapere che in fatto di magia io non ne sono sprovvisto — dichiarò Donnola. — Soltanto l’anno scorso, assistito dal mio amico qui, ho privato il famoso e potente Arcimago di Ymituri della sua bacchetta, della sua cintura di pietre lunari e della sua vita, pressappoco in quest’ordine. Non temo questo suono-riflesso-di-spiriti-sotterranei, di cui parli. Tuttavia — continuò — tu hai risvegliato il mio interesse. Forse non ti spiacerebbe dirmene di più.
Bravd guardò la sagoma per strada. Era più vicina ora e più chiara nella luce che precede l’alba. Sembrava esattamente una…
— Una cassa con le gambe? — chiese.
— Te ne parlerò — promise Scuotivento. — Ossia, se c’è del vino.
Giù nella vallata ci fu un rombo seguito da un sibilo. Qualcuno più previdente degli altri aveva ordinato di serrare le grandi chiuse del fiume nel punto in cui l’Ankh si lasciava dietro la città gemella. Impedito il suo sbocco naturale, il fiume aveva superato gli argini e si rovesciava per le strade devastate dall’incendio. Ben presto il continente di fiamme si tramutò in una serie di isole, che si fecero sempre più piccole via via che l’ondata cupa si gonfiava. Dalla città fumosa s’innalzò una nuvola ribollente di vapore a coprire le stelle. Donnola la paragonò in cuor suo a un fungo scuro.
La città gemella dell’orgogliosa Ankh e della pestilenziale Morpork, della quale tutte le altre città del tempo e dello spazio non sono che semplice riflesso, ha subito molti assalti nella sua lunga e intensa storia e sempre è risorta a nuova prosperità. Così l’incendio e l’inondazione che ne seguì e distrusse tutto ciò che era rimasto di non infiammabile aggravando i problemi dei sopravvissuti, non segnarono la sua fine. Si trattò piuttosto di un terribile segno d’interpunzione, una virgola di carbone o un punto e virgola d’amianto, in una storia ininterrotta.
Diversi giorni prima di questi avvenimenti, una nave risaliva l’Ankh con la marea mattutina e gettava l’ancora, tra molte altre, nel dedalo di moli e banchine sulla riva di Morpork. Trasportava un carico di perle rosa, noci di cocco, pomice, missive ufficiali per il Patrizio di Ankh, e poi c’era anche un uomo.