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Scuotivento scosse la testa. Tutto il terrore era stato ormai consumato. Forse lui aveva oltrepassato la barriera del terrore e si trovava nella disposizione d’animo di calma assoluta esistente dall’altra parte. E comunque, aveva cessato di farfugliare parole insensate.

— Siamo condannati — dichiarò. — Abbiamo camminato in tondo tutta la notte. Parola mia, questo posto è una vera tela di ragno. Non importa da che parte ci dirigiamo, finiamo sempre nel centro.

— In ogni modo, è stato gentile da parte vostra venire a cercarmi — disse Duefiori. — Come avete fatto di preciso? Sono rimasto molto impressionato.

— Oh, be’ — cominciò il mago imbarazzato — ho semplicemente pensato "non posso lasciare là il vecchio Duefiori" e…

— Così non ci resta che trovare questo Bel-Shamharoth, spiegargli la situazione e forse ci lascerà uscire — suggerì Duefiori.

Scuotivento si grattò un orecchio. — Ci devono essere degli echi strani in questo posto. Mi è sembrato udirvi usare parole come trovare e spiegare.

— Infatti.

Il mago gli lanciò un’occhiataccia. — Trovare Ben-Shamharoth?

— Sì. Non dobbiamo lasciarci coinvolgere.

— Trovare il Mangiatore d’Anime e non essere coinvolti? Salutarlo semplicemente con un cenno della testa, suppongo, e chiedergli la via per uscire? Spiegare la situazione al Signore dell’Ott…

Scuotivento troncò la parola appena in tempo e concluse: — Siete matto! Ehi! Tornate indietro!

Si gettò all’inseguimento di Duefiori e dopo pochi secondi si fermò con un gemito.

La luce violetta lì era più intensa e conferiva a tutto colori nuovi e sgradevoli. Non si trovava in un corridoio ma in una vasta sala, con pareti di cui non osava contemplare il numero, dalla quale partivano ot… 7a corridoi.

Poco più in là, Scuotivento vide un altare basso con lo stesso numero di lati di quattro volte due. Però non era l’altare il centro della sala, ma un’enorme lastra di pietra con due volte i lati di un quadrato. In quella luce strana, la pietra massiccia appariva leggermente inclinata, poggiata di taglio sulle lastre che la circondavano.

Su di essa stava in piedi Duefiori.

— Ehi, Scuotivento! Guardate cosa c’è qui!

Il Bagaglio veniva avanti a passo incerto da uno dei corridoi che si irradiavano dalla sala.

— Magnifico — esclamò Scuotivento. — Bene. Ci può condurre fuori di qui. Ora.

Duefiori stava già frugando nella cassa. — Sì. Dopo che avrò scattato alcune immagini. Il tempo di trovare gli accessori…

— Ho detto adesso…

Scuotivento s’interruppe. In piedi all’estremità del corridoio proprio di fronte a lui, Hrun il Barbaro reggeva nella mano grossa come un prosciutto una grande spada nera.

— Tu? — disse incerto.

— Ahaha. Sì — rispose Scuotivento. — Hrun, non è vero? È un pezzo che non ti vedo. Cosa ti porta qui?

Hrun indicò il Bagaglio. — Quello. — Lo sforzo della.conversazione sembrò esaurirlo. Poi aggiunse, in un tono misto tra affermazione, pretesa, minaccia e ultimatum: — Mio.

— Appartiene a Duefiori qui — ribatté il mago. — Ecco una mancia. Non toccarlo.

Troppo tardi si accorse che quella era precisamente la cosa sbagliata da dire, ma Hrun aveva già scansato Duefiori e allungava la mano verso il Bagaglio…

…che, tirate fuori le gambe, indietreggiò e alzò minaccioso il coperchio. Nella luce incerta a Scuotivento parve di vedere le file di enormi zanne, bianche come rami di faggio secchi.

— Hrun — si affrettò a dire — c’è qualcosa che dovresti sapere.

Hrun si voltò verso di lui con aria irresoluta. — Cosa?

— Si tratta di numeri. Senti, sai che se sommi sette più uno, o tre più cinque, o sottrai due da dieci, ottieni un numero. Finché stai qui, non pronunciarlo e tutti noi potremmo avere la possibilità di uscire vivi da qui. Oppure di uscirne morti.

— Lui chi è? — chiese Duefiori. Reggeva in mano una gabbia, pescata dalle profondità del Bagaglio. Pareva piena di pigre lucertole rosa.

— Sono Hrun — rispose fiero Hrun. Poi guardò Scuotivento. — Cosa? — ripete.

— Semplicemente non dirlo. Sta bene? — gli raccomandò il mago. Guardò la spada in mano al barbaro. Era nera, del nero che non è tanto un colore quanto un cimitero di colori, e sulla lama aveva un’iscrizione in caratteri runici. Ancora più rimarchevole era il lieve alone di ottarino che la circondava. Anche la spada doveva essersi accorta di lui, perché d’un tratto si mise a parlare con una voce simile a un artiglio sfregato sul vetro.

— Strano — disse la voce. — Perché non può pronunciare otto?

Subito l’eco s’impadronì della parola. Dalle profondità della terra venne uno stridio appena percettibile.

E l’eco, sebbene più attenuata, rifiutò di spegnersi. Rimbalzò da parete a parete, incrociandosi e rincrociandosi, e la luce violetta oscillò a tempo con il suono.

— L’hai fatto! — urlò Scuotivento. — Ti avevo raccomandato di non dire otto!

Si fermò, sgomento. Ma ormai la parola era venuta fuori e si unì alle simili nel sussurro generale.

Scuotivento si voltò per scappare ma l’aria d’improvviso s’era fatta più densa della melassa. Si stava accumulando la carica magica più forte che lui avesse mai visto.

Quando si avviò, con lente faticose movenze, le sue membra si lasciarono dietro scintille dorate che tracciarono una scia nell’aria.

Alle sue spalle, ci fu un boato: la grossa lastra ottagonale si sollevò in aria, rimase per un attimo sospesa per uno spigolo e precipitò ai suolo.

Una cosa nera e sottile serpeggiò fuori dal cratere e gli si avvolse intorno alla caviglia. Lui si abbatté con un urlo sui lastroni. Il tentacolo prese a trascinarlo sul pavimento.

D’un tratto gli si parò davanti Duefiori. che cercava di afferrarlo per le mani. Scuotivento si aggrappò disperatamente alle braccia dell’ometto e i due si fissarono. Ma anche così, continuava a scivolare.

— Cosa vi trattiene? — chiese ansimante il mago.

— N-niente — disse Duefiori. — Che sta succedendo?

— Vengo trascinato in quella fossa, che credete?

— Oh Scuotivento, mi dispiace…

— Vi dispiace…

Si udì un rumore come di sega circolare e repentinamente cessò la pressione sulle gambe di Scuotivento. Girò la testa e vide Hrun accovacciato vicino al cratere, con la spada balenante che si abbatteva sui tentacoli che lo aggredivano.

Duefiori aiutò il mago ad alzarsi e i due si acquattarono dietro all’altare a guardare l’uomo che si accaniva contro le braccia che volevano afferrarlo.

— Non funzionerà — affermò Scuotivento. — Il Signore può far materializzare tutti i tentacoli che vuole. Che state facendo?

Duefiori stava febbrilmente attaccando la gabbia di lucertole alla scatola a immagini, che aveva montato su un treppiede. — Devo assolutamente fissare un’immagine di questo — borbottò. — È stupendo! Mi ascolti, diavoletto?

L’esserino aprì la sua porticina, diede una rapida occhiata alla scena vicino alla fossa e scomparì nella scatola. Scuotivento dette un balzo quando si sentì toccare la gamba e calpestò sotto il tallone il tentacolo che si era allungato fino a lui.

— Venite — disse. — È tempo di svignarcela. — Afferrò Duefiori per un braccio, ma quello resistette.

— Scappare e lasciare Hrun con quella cosa? — esclamò.

Il viso del mago era impassibile. — Perché no? È il suo mestiere.

— Ma lo ucciderà!

— Potrebbe andare peggio.

— Cosa?

— Potremmo essere noi - osservò ragionevolmente Scuotivento. — Venite!

— Ehi! — obiettò Duefiori con un dito puntato. — Ha preso il mio Bagaglio!

Prima che Scuotivento potesse trattenerlo, fece di corsa il giro del cratere per avvicinarsi alla cassa, che veniva trascinata via mentre cercava di azzannare il tentacolo che la teneva. L’ometto, infuriato, si mise a tempestarlo di calci.