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Hrun guardò le fessure che si andavano allargando e sospirò. Poi si mise due dita in bocca e fischiò.

Stranamente il suono reale risuonò con forza sullo pseudosuono del vortice astrale che si formava al centro della grande lastra ottagonale. Fu seguito da un’eco smorzata curiosamente simile al rimbalzare di strane ossa. E quindi da un suono che non aveva nulla di strano. Era il rumore sordo di zoccoli.

Il cavallo da battaglia di Hrun trotterellò sotto un arco scricchiolante e si fermò vicino al padrone, la criniera ondeggiante al vento. Il barbaro si rizzò in piedi, ripose le sue borse con il tesoro in un sacco appeso alla sella e poi si issò in groppa all’animale. Si chinò ad afferrare Duefiori per la collottola e se lo mise di traverso sulla sella.

Mentre il cavallo si girava Scuotivento, con un salto disperato, si assestò dietro a Hrun, che non fece obiezioni.

Il cavallo percorreva i tunnel con andatura sicura, saltava i mucchi di macerie ed evitava con destrezza le grosse pietre che precipitavano dal tetto. Tenendosi stretto con tutte le sue forze, Scuotivento si guardò indietro.

Non c’era da meravigliarsi se il cavallo avanzava così speditamente. Erano seguiti a ruota, nella ammiccante luce violetta, da una grossa cassa dall’aria minacciosa e da una scatola a immagini che avanzava saltellando pericolosamente sulle sue tre gambe. Così grande era l’abilità del legno del pero sapiente di seguire ovunque il suo padrone, che le bare degli imperatori morti erano tradizionalmente fatte proprio di quel legno…

I fuggiaschi si ritrovarono all’aperto giusto un attimo prima che l’arco ottagonale finalmente si spezzasse e si riducesse in frammenti.

Il sole stava sorgendo. Una colonna di polvere s’innalzò alle loro spalle quando il tempio rovinò al suolo, ma loro non si guardarono alle spalle. Fu un peccato, perché Duefiori avrebbe potuto ritrarre delle immagini insolite perfino per gli standard del mondoDisco.

Nelle rovine fumanti si produsse un movimento. Sembrava che da loro spuntasse un verde tappeto. Poi proruppe una quercia che si ramificò con la velocità di un razzo verde che esplodesse fino a formare un boschetto venerando anche prima che le cime dei suoi vecchi rami avessero smesso di fremere… Un faggio spuntò come un fungo, maturò, marcì e cadde in una nuvola di polvere di legno in mezzo ai giovani germogli che lottavano per venire fuori. Già il tempio era un cumulo mezzo sepolto di pietre muschiate.

Ma il Tempo si accingeva ora a completare il lavoro iniziato. L’interfaccia ribollente tra la magia declinante e l’entropia ascendente si precipitò rombando giù per la collina e raggiunse il cavallo galoppante. I cavalieri, creature del Tempo, non se ne accorsero. Ma esso sferzava la foresta incantata con la frusta dei secoli.

— Impressionante, vero? — osservò una voce vicino al ginocchio di Scuotivento mentre il cavallo caracollava attraverso un sipario di legname marcito e di foglie cadenti.

Nella voce vibrava una strana nota metallica. Scuotivento abbassò lo sguardo su Kring la spada… Nel pomo erano incastonati due rubini. Gli parve che lo fissassero.

Dalla brughiera ai margini del bosco contemplarono la battaglia tra gli alberi e il Tempo: la fine non poteva essere che una sola. La sosta fu quasi per intero spesa nel consumare buona parte dell’orso incautamente venuto a tiro dell’arco di Hrun.

Scuotivento lo osservava al di sopra del suo pezzo di carne unta di grasso. Come eroe. Hrun era ben diverso dal Hrun tutto preso dal bere e gozzovigliare che ogni tanto capitava a Ankh-Morpork. Era cauto come un gatto, agile come una pantera e completamente a suo agio.

"E sono sopravvissuto a Bel-Shamharoth" si disse Scuotivento. "Fantastico."

Duefiori aiutava l’eroe a ispezionare il tesoro rubato dal tempio. Erano per la maggior parte pezzi d’argento ornati di brutte pietre color porpora e raffiguravano ragni, piovre e octarsieri che vivono sugli alberi nelle distese desertiche delle zone centrali.

Scuotivento cercò di non ascoltare la voce rasposa. Ma inutilmente.

— …e poi sono appartenuta al Pascià di Re’durat e ho avuto una parte molto importante nella battaglia del Grande Nef dove ho ricevuto la leggera intaccatura che forse avrai notato a circa due terzi della mia lama — diceva Kring, temporaneamente albergata in un ciuffo d’erba. — Un infedele portava un collare di ottirone, cosa assai poco sportiva da parte sua, e naturalmente a quel tempo ero molto più affilata e il mio padrone mi usava per tagliare fazzoletti di seta a mezz’aria e… ti sto annoiando?

— Eh? Oh no, no, niente affatto. È tutto molto interessante — rispose Scuotivento senza smettere di fissare Hrun. Fino a che punto ci si poteva fidare di lui? Loro si trovavano lì, in quella solitudine, in giro c’erano i troll.

— Ho visto subito che eri una persona colta — continuò Kring. — Mi capita così di rado d’incontrare persone veramente interessanti, almeno per un po’ di tempo. Ciò che mi piacerebbe davvero sarebbe una bella mensola di caminetto sopra la quale stare appesa, in un posticino grazioso e tranquillo. Una volta ho trascorso duecento anni in fondo a un lago.

— Deve essere stato divertente — disse il mago a casaccio.

— Non proprio.

— No, suppongo di no.

— Ciò che davvero mi piacerebbe sarebbe di essere un aratro. Non so che cos’è, ma mi sembra un’esistenza che valga la pena di essere vissuta.

Duefiori si accostò di fretta al mago. — Ho avuto una grande idea — sbottò.

— Già — disse stancamente Scuotivento. — Perché non persuadiamo Hrun ad accompagnarci a Chirm?

— Come lo sapevate? — chiese stupefatto l’ometto.

— L’ho semplicemente immaginato.

Hrun smise d’inzeppare le sue sacche da sella con gli oggetti d’argento e rivolse ai due un sogghigno d’incoraggiamento. Poi riportò lo sguardo sul Bagaglio.

— Se l’avessimo con noi, chi ci attaccherebbe? — disse Duefiori.

Scuotivento si grattò il mento. — Hrun? — suggerì.

— Ma gli abbiamo salvato la vita nel Tempio!

— Be’, se dicendo attaccare intendete uccidere — ribatté Scuotivento — non credo che lo farebbe. Non è il tipo. Lui si limiterebbe a derubarci, a legarci e ad abbandonarci ai lupi, temo.

— Oh, via!

— Sentite, questa è la vera vita — scattò Scuotivento. — Voglio dire, eccovi lì a portare in giro una cassa piena d’oro; non credete che chiunque sia sano di mente non salterebbe sull’occasione di prenderselo? — "Io lo farei", aggiunse mentalmente "se non avessi visto cosa fa il Bagaglio alle dita indiscrete."

Poi gli venne in mente la risposta. Spostò lo sguardo da Hrun alla scatola a immagini. Il diavoletto faceva il bucato in una minuscola bacinella, mentre le salamandre sonnecchiavano nella gabbia.

— Ho un’idea — esclamò. — Voglio dire, cos’è che realmente vogliono gli eroi?

— Oro? — suggerì Duefiori.

— No. Intendo vogliono veramente.

Duefiori aggrottò la fronte e disse: — Non capisco bene.

Scuotivento prese in mano la scatola a immagini e chiamò: — Hrun, vieni qui, vuoi?

I giorni passavano tranquilli. Vero, una volta una piccola banda di troll provò a tendere loro un agguato e una notte un gruppo di briganti quasi li colse di sorpresa (ma, incauti, prima di ammazzare i dormienti cercarono di frugare nel Bagaglio). Hrun richiese, e ottenne, doppia paga in entrambe le occasioni.

— Se ci succede qualcosa — disse Scuotivento — allora non ci sarà nessuno per fare funzionare la scatola magica. Niente più ritratti di Hrun, capisci?

Hrun annuì, gli occhi fissi sull’ultima immagine che lo ritraeva in posa eroica, un piede su un mucchio di troll trucidati.

— Io, te e il nostro piccolo amico Duefiori, ce la intendiamo bene — dichiarò. — Così, domani, possiamo farne una di profilo, va bene?

Avvolse con cura il ritratto nella pelle di troll e lo ripose, insieme agli altri, nella sacca da sella; quindi cavalcò avanti a ispezionare la strada.