Il secchio ridacchiò, un suono che sembrò turbare il silenzio della buia cripta polverosa. — Legno del pero sapiente — disse. — Interessante. Sì, credo che ce lo prenderemo. Pensaci tu, mia cara, prima forse che oltrepassino la sfera del tuo potere.
— Silenzio! O…
— O che cosa. Liessa? — chiese il vecchio (nella luce fioca, c’era qualcosa di strano nel modo in cui era accasciato sulla sedia). — Mi hai già ucciso una volta, ricordi?
Lei sbuffò e si alzò in piedi, gettando indietro i capelli con gesto sprezzante. Erano rossi, spruzzati d"oro. Eretta, Liessa Wyrmbidder era una visione magnifica. Era anche praticamente nuda, salvo due ridottissimi lembi di sottile maglia di ferro e gli stivali da cavallo di pelle iridescente di drago. In uno era infilato un frustino, di foggia insolita perché lungo quanto una lancia e ornato sulla punta da minuscoli pungiglioni d’acciaio.
— Il mio potere sarà ampiamente sufficiente — rispose in tono freddo.
La figura indistinta annuì o almeno dondolò la testa. — Come continui ad assicurarmi — disse.
Liessa sbuffò di nuovo e lasciò la sala con passo deciso.
Suo padre non si curò di guardarla andar via. Primo perché, naturalmente, essendo morto da tre mesi i suoi occhi non erano nella migliore delle condizioni. Secondo perché essendo lui un mago, anche se un mago defunto del quindicesimo grado, i suoi nervi ottici da un pezzo erano avvezzi a guardare in livelli e dimensioni molto lontani dalla comune realtà e pertanto erano piuttosto inadatti a osservare le cose puramente terrene. (Quando era in vita, agli altri i suoi occhi erano sembrati dotati di otto sfaccettature e stranamente simili a quelli degli insetti.) Inoltre, dato che adesso egli era sospeso nel ristretto spazio tra il mondo dei viventi e il buio mondo umbratile della Morte, era in grado di contemplare l’intera sfera della Causalità. Ecco perché a parte una vaga speranza che questa volta la sua disgraziata figlia si facesse ammazzare, non concentrava i suoi notevoli poteri a saperne di più sui tre viaggiatori che stavano disperatamente galoppando per uscire dal suo regno.
A parecchie centinaia di chilometri di distanza, Liessa era di umore strano mentre scendeva i gradini consunti che portavano al centro del Wyrmberg, seguita da mezza dozzina di Cavalieri. Sarebbe stata quella l’occasione che aspettava? Forse era quella la chiave per superare il punto morto, la chiave al trono del Wyrmberg. Certo esso era suo di diritto, ma la tradizione diceva che soltanto un uomo poteva governarlo. Questo la irritava sommamente e quando Liessa era in collera, il Potere fluiva più forte e i dragoni erano particolarmente grossi e crudeli.
Se avesse avuto un uomo, le cose sarebbero andate diversamente. Qualcuno grande e grosso ma corto di cervello. Qualcuno che facesse ciò che gli si diceva.
Il più grosso dei tre che stavano fuggendo dalla terra dei dragoni poteva fare al caso suo. E, qualora si rivelasse diverso da come se lo aspettava, i dragoni erano sempre affamati e avevano bisogno di essere nutriti regolarmente. Farli diventare crudeli sarebbe stato affar suo.
E comunque, più crudeli del solito.
La scalinata passava sotto un arco di pietra e terminava in una stretta piattaforma vicina al tetto della grande caverna dove stavano appollaiati i Wyrm.
I raggi del sole che penetravano dalle miriadi di aperture nei muri della caverna intersecavano l’oscurità polverosa come bacchette d’ambra contenenti un milione d’insetti dorati. Sotto, non rivelavano altro che una tenue caligine. Sopra…
Gli anelli che servivano per spostarsi cominciavano così vicino alla testa di Liessa che lei, allungando una mano, poteva toccarne uno. Si stendevano a migliaia da una parte all’altra del tetto della caverna. Per fissare alle pareti le caviglie di supporto ci erano voluti una ventina di muratori che avevano lavorato per una ventina di anni, appesi alla loro opera via via che avanzavano. Eppure non erano nulla paragonati agli ottantotto grossi anelli raccolti intorno all’apice della cupola. Altri cinquanta erano andati persi nei vecchi tempi, mentre erano messi in opera da squadre di schiavi (e nei primi giorni del Potere, c’erano stati schiavi in quantità); i grandi anelli erano sprofondati, trascinando con loro gii sfortunati operai.
Ma ottantotto erano stati installati, maestosi come arcobaleni, rosseggiami come sangue. Da essi…
I draghi sentono la presenza di Liessa. L’aria fischia nella caverna mentre ottantotto paia di ali si dispiegano come un puzzle complicato. Le grandi teste con i loro occhi verdi sfaccettati si chinano a guardarla.
Le bestie sono tuttora vagamente trasparenti. Intanto gli uomini intorno a lei prendono dalla rastrelliera i loro stivali muniti di ganci. Liessa è intenta a scrutare la scena: sopra di lei, nell’aria stantia, i draghi sono adesso chiaramente visibili, con le loro squame bronzee che riflettono i raggi del sole. La mente di lei vibra, ma ora che sente fluire pienamente il Potere, può pensare ad altre cose con appena un minimo di concentrazione.
Ora anche lei si allaccia gli stivali speciali, compie una rotazione aggraziata e, con un leggero suono metallico, aggancia gli uncini a un paio di anelli che pendono dal soffitto.
Solo che adesso questo è diventato il pavimento. Il mondo è cambiato. Lei si tiene ritta in piedi sull’orlo di una profonda cavità o cratere, pavimentato di piccoli anelli sui quali i cavalieri già si spostano con un’andatura oscillante. Nel centro della cavità, in mezzo al branco, li attendono le loro grosse cavalcature. In alto si intravedono le rocce che formano il pavimento della caverna, scolorato da secoli di escrementi di drago.
Muovendosi con passo scivolato, che per lei è una seconda natura, Liessa si dirige verso il suo drago, Laolith, che gira verso di lei la sua grossa testa cavallina. Ha le mascelle unte di grasso di porco.
— Era eccellente — le comunica mentalmente.
— Mi pareva di avere detto che non ci dovevano essere voli non accompagnati — scatta lei.
— Avevo fame, Liessa.
— Modera la tua fame. Presto ci saranno da mangiare cavalli.
— Le redini ci si incollano ai denti. Ci sono dei guerrieri? I guerrieri ci piacciono.
Liessa tira giù la scaletta e si issa in groppa, con le gambe serrate intorno al collo coriaceo di Laolith.
— Il guerriero è mio. Puoi avere gli altri due. Sembra che uno sia una specie di mago — aggiunge per incoraggiarlo.
— Oh, sai com’è con i maghi. Dopo mezz’ora potresti fartene un altro — brontola il drago.
Spiega le ali e si lancia giù.
— Stanno guadagnando terreno! — gridò Scuotivento. Si chinò ancora di più sul collo del suo cavallo e gemette. Duefiori si sforzava di tenere il passo e allo stesso tempo di allungare il collo per girarsi a guardare le bestie volanti.
— Voi non capite! — gridò, al di sopra del rumore terribile delle ali.
— È tutta la vita che desidero vedere i draghi.
— Dall’interno? — gridò a sua volta il mago. — Chiudi il becco e cavalca — ordinò, passando al tu. Frustò il cavallo con le redini e fissò il bosco davanti, cercando di farlo avvicinare con la semplice forza di volontà. Sotto gli alberi sarebbero stati salvi. Sotto quegli alberi i draghi non potevano volare…
Udì il battito delle ali prima che la loro ombra lo avvolgesse. Istintivamente si appiattì sulla sella e sentì una fitta rovente di dolore quando qualcosa di tagliente gli strisciò tra le spalle.
Dietro a lui Hrun urlò, ma sembrò più un ululato di rabbia che un grido di dolore. Con un volteggio il barbaro era atterrato tra l’erica e aveva sfoderato la spada nera, Kring. La brandì e urlò: — Nessuna dannata lucertola può farmi una cosa simile! — Intanto uno dei draghi si era girato per sferrare un altro attacco.