Fu proprio costui che attirò l’attenzione di Hugh il Cieco, uno dei mendicanti stazionati al molo delle Perle, che dette una gomitata nelle costole di Wa lo Zoppo e glielo indicò senza parlare.
Ritto sulla banchina, lo straniero osservava i marinai trasportare giù per la passerella un grosso baule cerchiato. Gli stava a fianco un altro uomo, evidentemente il capitano, con l’aria di uno che si aspetta di arricchirsi ben presto. Fu questo il messaggio trasmesso al cervello di Hugh il Cieco da ogni nervo del suo corpo, incline a vibrare in presenza anche di una piccola quantità di oro impuro a cinquanta passi.
Infatti, quando la cassa fu depositata sull’acciottolato, lo straniero infilò la mano in una borsa e si vide lo scintillio di una moneta. Parecchie monete. Oro. Hugh il Cieco, il corpo vibrante come una verga di nocciolo in prossimità dell’acqua, emise un sibilo tra sé e sé. Poi diede un’altra gomitata a Wa e lo spedì di fretta a zoppicare lungo il vicino viale fino al centro della città. Quando il capitano risalì sulla nave e lasciò sulla banchina il forestiero a guardarsi intorno, Hugh prese la sua ciotola da mendicante e gli si avvicinò con una smorfia accattivante. Alla sua vista, lo straniero si mise a frugare nella borsa.
— Una buona giornata per vedervi, signore — esordì Hugh che si trovò a fissare un volto con quattro occhi. Si girò per scappare.
— ! — disse lo straniero e lo afferrò per un braccio. Hugh era conscio delle sghignazzate dei marinai affacciati alla murata della nave. Ma allo stesso tempo i suoi nervi allenati percepivano l’odore irresistibile dei quattrini. S’immobilizzò. Lo straniero lo lasciò, prese a sfogliare rapido un libriccino nero sfilato dalla cintura e disse: — Salve.
— Cosa?
L’uomo lo guardò senza capire. — Salve — ripeté più forte del necessario, staccando le sillabe.
— Salve a voi — rispose Hugh.
Lo straniero fece un largo sorriso, frugò di nuovo nella borsa e questa volta tirò fuori una grossa moneta d’oro. Era leggermente più grande di una corona ankhiana da ottomila talleri, dal disegno sconosciuto ma che parlò alla mente di Hugh in una lingua che lui comprese perfettamente: "Il mio attuale padrone" diceva "ha bisogno di soccorso e di assistenza. Perché non darglieli così che tu e io possiamo andare da qualche parte a divertirci?"
Un sottile cambiamento nell’atteggiamento del mendicante mise maggiormente a suo agio lo straniero. Consultò di nuovo il libriccino.
— Desidero che m’indicate un albergo, taverna, camera d’affitto, pensione, ospizio, caravanserraglio — disse.
— Cosa? Tutti? — chiese Hugh stupito.
— ? — disse lo straniero.
Hugh si accorse che una piccola folla di pescivendole, raccoglitori di molluschi e perdigiorno li guardava con interesse.
— Sentite — disse. — Conosco una piccola taverna. Vi sta bene? — Rabbrividiva al pensiero che la moneta d’oro gli potesse sfuggire. Se la sarebbe tenuta anche se Ymor avesse confiscato tutto il resto. Secondo lui, anche la grossa cassa con gli averi del nuovo venuto doveva essere piena d’oro.
L’uomo dai quattro occhi consultò il libriccino. — Vorrei che m’indicaste un albergo, luogo di ristoro, taverna, una…
— Sì, va bene, venite — tagliò corto. Raccolse uno dei fagotti e si allontanò rapido, seguito, dopo un momento di esitazione, dallo straniero.
Un pensiero si affacciò alla mente di Hugh: portare tanto facilmente lo straniero al Tamburo Rotto era un colpo di fortuna che probabilmente gli sarebbe valso una ricompensa da parte di Ymor. Tuttavia, malgrado la sua nuova conoscenza si mostrasse assai mite, c’era in lui qualcosa che lo metteva a disagio, ma non sapeva dire cosa. Non si trattava dei due occhi supplementari, per quanto strani. C’era dell’altro. Si guardò indietro. L’ometto camminava in mezzo alla strada e girava lo sguardo intorno con espressione attenta.
Hugh vide un’altra cosa che quasi gli mozzò il fiato: la massiccia cassa di legno che aveva visto depositata sul molo, stava seguendo il suo proprietario a un’andatura appena oscillante. Lentamente, nel caso un movimento improvviso da parte sua potesse spezzare il suo fragile controllo sulle sue stesse gambe, Hugh si chinò a guardare sotto la cassa.
Vide una quantità di gambette.
Si voltò e prese a camminare con cautela verso il Tamburo Rotto.
— Strano — osservò Ymor.
— Lui aveva questa grossa cassa di legno — aggiunse Wa lo Zoppo.
— Doveva essere un mercante o una spia — disse Ymor.
Tirò via un pezzetto di carne dalla cotoletta che teneva in mano e lo gettò in aria. Non aveva ancora raggiunto l’apice della curva che una forma scura staccatasi dall’ombra nell’angolo della stanza calò rapida e afferrò il boccone a mezz’aria.
— Un mercante o una spia — ripeté Ymor. — Preferirei una spia. Una spia vale il doppio, perché c’è sempre una ricompensa da riscuotere quando la consegniamo. Che ne pensi, Giunco?
Seduto di fronte a Ymor, il secondo grande ladro di Ankh-Morpork socchiuse il suo unico occhio e alzò le spalle.
— Ho controllato la nave — rispose. — È un mercantile indipendente che ogni tanto fa la rotta delle Brown Islands. Lì gli abitanti sono soltanto dei selvaggi. Non ne sanno niente di spie e io credo che loro i mercanti se li mangino.
— Somigliava un po’ a un mercante — interloquì Wa. — Solo che non era grasso.
Si udì un fruscio d’ali alla finestra. Ymor si alzò pesantemente dalla seggiola per attraversare la stanza e ritornare con un grosso corvo. Gli staccò la capsula col messaggio fissata alla zampa e l’animale volò a raggiungere i suoi simili appollaiati sulle travi. Giunco lo guardò senza simpatia. La lealtà dei corvi di Ymor verso il loro padrone era risaputa. Infatti, malgrado lui fosse il suo braccio destro, l’unico tentativo fatto per promuoversi al rango di primo ladro di Ankh-Morpork gli era costato l’occhio sinistro. Comunque non ci aveva rimesso la vita. A Ymor non dispiaceva che un uomo avesse le sue ambizioni.
— B12 — disse Ymor, mettendo da parte la fialetta e svolgendo il minuscolo rotolino che conteneva.
— Gorrin il Gatto — disse automaticamente Giunco. — Di stazione nella torre del gong al Tempio dei Piccoli Dei.
— Dice che Hugh ha condotto il nostro straniero al Tamburo Rotto. Be’, non c’è male. Il Grosso è amico nostro, non è vero?
— Sì — confermò Giunco. — Se sa qual è il suo tornaconto.
— Tra i suoi avventori c’è stato il tuo Gorrin — continuò Ymor — perché scrive qui di una cassa con le gambe, se ho ietto correttamente questi scarabocchi. — Guardò Giunco al di sopra del foglietto.
Giunco distolse gli occhi. — Sarà punito — assicurò con voce piatta. Wa guardò l’uomo vestito di scuro appoggiato in posa indolente allo schienale della seggiola, simile a un puma su un ramo nella giungla della Terra dell’Orlo. E decise che Gorrin, in cima al Tempio dei Piccoli Dei. ben presto li avrebbe raggiunti nelle molteplici dimensioni dell’Aldilà. E doveva a Wa tre monete di rame.
Ymor appallottolò il foglietto e lo gettò in un angolo. — Penso che più tardi faremo un salto al Tamburo. Giunco. Forse assaggeremo anche quella birra che i tuoi uomini trovano tanto irresistibile.
Giunco rimase in silenzio. Essere il braccio destro di Ymor era come essere gentilmente flagellato a morte con stringhe profumate.
La città gemella di Ankh-Morpork, la prima di tutte le città che sorgono sulle rive del Mare Circolare, è naturalmente il rifugio di numerose bande, corporazioni ladresche, associazioni criminali e simili. È questa una delle ragioni delia sua ricchezza. Tra la povera gente che viveva sull’altra sponda del fiume, nel dedalo di vicoli di Morpork, moltissimi integravano le loro scarse risorse facendo qualche lavoretto per l’una o l’altra delle bande rivali. Fu così che, quando Hugh e Duefiori entrarono nel cortile del Tamburo Rotto, diversi caporioni già sapevano dell’arrivo in città di un tale che sembrava carico di ricchezze. I rapporti delle spie più attente riferivano di un libro che suggeriva allo straniero cosa dire, e di una cassa che camminava. Mai un mago capace di simili incantesimi si era avvicinato ai moli di Morpork.