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— Davvero? Perché? — chiese il mago. "Come fa a stare insieme" si domandava. "Perché non trabocca?"

— Se volete seguirmi a casa, vi troverò del cibo e un cambio d’abiti — disse solenne il troll e si avviò sugli scogli senza guardare se gli andavano dietro. Dopo tutto, dove altro potevano andare? Si stava facendo buio e un vento freddo e umido soffiava sopra il bordo del mondo. Già l’arcobaleno era scomparso e sopra la cascata la foschia cominciava a dissiparsi.

— Andiamo — disse Scuotivento e afferrò Duefiori per il gomito. Ma il turista non pareva intenzionato a muoversi.

— Andiamo — ripeté il mago.

— Quando diventa veramente buio, credi che guardando giù potremo vedere la Grande A’Tuin, la Tartaruga del Mondo? — chiese Duefiori, con lo sguardo alle nuvole.

— Spero di no — rispose Scuotivento. — Davvero. Ora andiamo.

Duefiori lo seguì a malincuore nella capanna. Il troll aveva acceso due lampade e se ne stava comodamente seduto in una poltrona a dondolo. Quando entrarono, si alzò in piedi e versò da un’alta caraffa due tazze di un liquido verde. Nella luce fioca pareva divenuto fosforescente, come i mari caldi nelle notti d’estate. Giusto per aggiungere un tocco di stravaganza alla paura che segretamente provava Scuotivento, sembrava anche diventato più alto di parecchi centimetri.

Il mobilio della stanza era composto quasi esclusivamente di casse.

— Uhm. Hai un gran bel posto qui — si congratulò il mago. — Etnico.

Prese in mano una tazza e guardò il liquido verde luccicante. "Speriamo che sia potabile" pensò. "Perché sto per berlo" e lo mandò giù.

Era la stessa roba che Duefiori gli aveva dato nella barca ma allora non ci aveva fatto caso, perché aveva la mente occupata da questioni più pressanti. Adesso aveva tutto il tempo di assaporarlo.

Storse la bocca e gemette piano. Con un movimento convulso una delle sue gambe si sollevò e lo colpì in mezzo al petto.

Duefiori, pensieroso, faceva roteare il suo liquido e ne analizzava il gusto. — Ghlen Livid — disse alla fine. — Il liquido fermentato della noce vul che distillano nella mia patria. Un certo gusto fumoso… Piccante. Dalle piantagioni occidentali della… ah… Provincia Rehigreed, sì? Dal colore, direi il raccolto dell’anno prossimo. Posso domandarti come lo hai avuto?

(Sul Disco le piante includono le categorie comunemente conosciute come annuali, seminate quest’anno per avere il raccolto più in là nello stesso anno; biennali, seminate quest’anno per l’anno prossimo e perenni, seminate per crescere fino a nuovo avviso. Includono anche poche e rare re-annuali, le quali, a causa di un insolito intreccio quadridimensionale dei geni, possono essere seminate quest’anno per nascere l’anno scorso. La vite della noce vul era particolarmente eccezionale in quanto poteva essere in pieno rigoglio fino a otto anni prima della semina. Si diceva che il vino della noce vul conferisse a certi bevitori il potere di leggere nel futuro che, dal punto di vista della pianta, era il passato. Strano ma vero).

— Tutte le cose confluiscono a tempo debito nella Circonferenza — sentenziò il troll. — Il mio lavoro consiste nel recuperare i relitti galleggianti. Legname, naturalmente, e navi. Botti di vino. Balle di indumenti. Voi due.

Nella mente di Scuotivento si fece la luce. — Si tratta di una rete, vero? Tu hai teso una rete proprio sul bordo del mare!

Il troll annuì. — La Circonferenza. — Sul petto gli corsero delle increspature.

Il mago guardò fuori all’oscurità fosforescente che circondava l’isola e fece una risatina sciocca. — Certo — esclamò. — Straordinario! Si potrebbero affondare delle palafitte, fissarle alla scogliera e… buona fortuna! La rete dovrebbe essere molto robusta.

— Lo è — disse Tethis.

— Si potrebbe estendere per più di due chilometri, purché si trovino abbastanza rocce e altro.

— Sedicimila chilometri. È la zona che pattuglio io.

— È un terzo della circonferenza del Disco!

Tethis fece di nuovo di sì con la testa e sparse un po’ d’acqua. Mentre i due uomini si versavano dell’altro vino verde, raccontò loro della Circonferenza, del grande sforzo fatto per costruirla; dell’antico e saggio Regno di Krull che l’aveva fabbricata diversi secoli prima, dei sette navigli che la ispezionavano costantemente per eseguire le riparazioni e riportare a Krull i prodotti del salvataggio; del modo in cui Krull era diventato un paese dove era piacevole vivere, governato dai più grandi sapienti e del modo in cui essi cercavano costantemente di comprendere in ogni dettaglio la mirabile complessità dell’universo; del modo in cui i marinai abbandonati sulla Circonferenza erano fatti schiavi e di solito avevano tagliata la lingua. A questo punto, dopo alcune interiezioni, parlò in via amichevole della futilità d’impiegare la forza, dell’impossibilità di fuggire dall’isola, se nor con la barca, verso una delle altre trecentottanta isole situate tra la sua e il regno di Krull, oppure di saltare giù dall’Orlo. E del grande merito del mutismo paragonato a, diciamo, la morte.

Seguì una pausa. Il rombo attutito nella notte del Rimfall serviva soltanto a fare risaltare il silenzio.

Quindi la poltrona a dondolo si rimise a cigolare. Sembrava che durante il monologo Tethis fosse cresciuto in maniera allarmante.

— In tutto questo non c’è nulla di personale — aggiunse. — Anch’io sono uno schiavo. Se cercate di avere la meglio su di me, sarò costretto a uccidervi, naturalmente, ma non mi darà nessun piacere.

Scuotivento guardò i pugni luccicanti posati in grembo al troll. Li sospettava capaci di colpire con tutta la forza di un maremoto.

— Non credo che tu capisca — disse Duefiori. — Io sono un cittadino dell’Impero Dorato. Sono sicuro che Krull non desidererebbe incorrere nel corruccio dell’Imperatore.

— Come potrà saperlo l’imperatore? — chiese il troll. — Pensi di essere la prima persona proveniente dall’Impero che sia finita nella Circonferenza?

— Io non sarò uno schiavo — gridò Scuotivento. — Piuttosto io… io salterei giù dall’Orlo! — Si meravigliò lui stesso del suono della propria voce…

— Davvero? — disse il troll. La sedia a dondolo andò a sbattere contro la parete e un braccio azzurro afferrò il mago per la vita. Un attimo dopo il troll usciva dalla capanna tenendo con noncuranza nel suo pugno Scuotivento. Non si fermò se non quando si trovò sul limite dell’isola dalla parte della cascata. Scuotivento strillava.

— Piantala o ti butto davvero di sotto — sbottò il troll. — Ti sto reggendo, no? Guarda.

Il mago guardò.

Davanti a lui si estendeva la notte nera dove le stelle brillavano pacifiche. Ma il suo sguardo si abbassò, attirato da una seduzione irresistibile.

Sul Disco era mezzanotte e pertanto il sole oscillava lentamente molto molto più giù. sotto la vasta corazza ghiacciata della Grande A’Tuin.

Scuotivento si sforzò un’ultima volta di fissare lo sguardo sulla punta dei suoi stivali, che sporgevano dall’orlo della roccia, senza riuscirci.

Su entrambi i lati due scintillanti cortine d’acqua si precipitavano verso l’infinito mentre il mare batteva le coste dell’isola nel suo cammino verso l’enorme cascata. Un centinaio di metri più in basso il più grosso salmone che avesse mai visto saltò fuori dalla schiuma, in un ultimo disperato frenetico grido. Poi ricadde, più e più volte, nella luce dorata del mondo sommerso.

Ombre gigantesche si levarono da quella luce come pilastri che sorreggessero il tetto dell’universo. Centinaia di chilometri in basso il mago scorse l’ombra di qualcosa, il bordo di qualcosa…

Come quei curiosi quadretti in cui la sagoma di un bicchiere finemente decorato diventa improvvisamente il contorno di due volti, la scena sotto a lui acquistò una nuova, terrificante prospettiva. Perché laggiù c’era la testa di un elefante grosso come un continente di proporzioni medie. Una zanna possente risaltava come una montagna contro la luce dorata e disegnava verso le stelle un’ombra che si andava allargando. La testa era leggermente inclinata di lato e si scorgeva un enorme occhio di rubino, quasi una super-gigante rossa che avesse trovato il modo di brillare a mezzogiorno.