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Sotto l’elefante…

Scuotivento deglutì e cercò di non pensare…

Sotto l’elefante non c’era nulla se non il distante disco del sole. Lo oltrepassava lentamente un qualcosa che, malgrado le sue squame delle dimensioni di una citta, la sua rocciosità lunare e i suoi buchi come crateri, era senza dubbio una pinna.

— Ti debbo lasciare? — suggerì il troll.

— Noo — disse Scuotivento, tirandosi indietro con tutte le sue forze.

— Ho vissuto per cinque anni qui su! Bordo e non ho avuto il coraggio — dichiarò Tethis con il suo vocione. — E nemmeno tu, se sono buon giudice. — Indietreggiò e lasciò che l’altro si buttasse a terra.

In quel momento arrivò Duefiori, che abbassò lo sguardo. — Fantastico — esclamò. — Se soltanto avessi la mia scatola a immagini… Che altro c’è laggiù? Voglio dire, se uno si butta, che cosa vedrebbe?

Tethis si sedette su una roccia sporgente. La luna apparve da dietro una nube e gli dette l’apparenza dei ghiaccio.

— Forse la mia casa si trova laggiù — disse lentamente. — Oltre i vostri stupidi elefanti e quella ridicola tartaruga. Un mondo vero. A volte vengo qui e guardo, ma non riesco mai a decidermi a fare quell’ultimo passo… Un mondo vero, con gente vera. Ho moglie e bambini, da qualche parte laggiù… — S’interruppe e si soffiò il naso. — Si impara presto di che cosa si è fatti, qui sul Bordo.

— Smettila di dirlo, ti prego — gemette Scuotivento. Si voltò e vide Duefiori ritto proprio sull’orlo della roccia. — Nooo — disse e cercò di cacciarsi dentro la pietra.

— C’è un altro mondo laggiù? — chiese Duefiori, sporgendosi a guardare. — Dove, esattamente?

Il troll fece un gesto vago. — Da qualche parte. È tutto ciò che so. È un mondo piccolissimo. Quasi tutto azzurro.

— Allora perché sei qui?

— Non è ovvio? — scattò Tethis. — Sono caduto dal Bordo!

Raccontò loro del mondo di Bathys, da qualche parte tra le stelle, dove la gente del mare aveva creato floride civiltà nei tre grandi oceani che si estendevano sul suo disco. Lui aveva l’incarico di procurare la carne e come tale apparteneva alla casta che si guadagnava la vita in mezzo ai pericoli e viveva in grandi yacht a vela; questi si avventuravano nell’entroterra per cacciare le mandrie di cervi e di bufali che abbondavano nei continenti battuti dagli uragani. Una improvvisa bufera di vento aveva spinto la sua imbarcazione in terre non segnate sulle mappe. Il resto dell’equipaggio aveva preso il piccolo carrello a remi dello yacht e si era diretto a un lago lontano. Ma Tethis, essendo il capitano, aveva scelto di rimanere con il suo vascello. L’uragano l’aveva trasportato via e sbattuto giù dal confine del mondo e ridotto la sua imbarcazione a un mucchio di rottami.

— All’inizio sono caduto — proseguì Tethis — ma cadere non è poi tanto male, sapete. Atterrare è ciò che fa male, e là sotto di me non c’era niente. Mentre cadevo vedevo il mondo roteare nello spazio finché lo persi tra le stelle.

— E dopo cosa è accaduto? — domandò Duefiori con il fiato sospeso e con un’occhiata verso il nebbioso universo.

— Diventai un pezzo di ghiaccio. Per fortuna è una cosa alla quale la mia razza può sopravvivere. Ma di tanto in tanto, passando accanto ad altri mondi, mi sgelavo. Ce n’era uno… Credo fosse quello che mi era sembrato circondato da montagne e che invece si rivelò essere il più grosso drago che potreste mai immaginare: coperto di neve e di ghiacciai, con la coda in bocca… Be’, ci sono arrivato a pochi chilometri di distanza (in effetti passavo con la velocità di una cometa) e poi mi sono allontanato di nuovo. Poi a un certo punto mi sono svegliato e il vostro mondo mi veniva incontro come una torta di crema lanciata dal Creatore e, be’, finii in mare non lontano dalla Circonferenza, nella direzione opposta a Krull. Ogni sorta di creature erano spinte dal mare contro la Palizzata e all’epoca stavano cercando gli schiavi per presidiare le varie stazioni, e io sono finito qui. — Si fermò e fissò Scuotivento. — Ogni notte vengo qui e guardo giù — riprese — e non salto mai. Il coraggio è una merce difficile, qui sul Bordo.

Il mago prese a strisciare risoluto verso la capanna e si mise a gridare quando il troll lo raccolse con garbo e lo rimise in piedi.

— Straordinario — esclamò Duefiori, sporgendosi per guardare in basso.

— Ci sono un sacco di altri mondi laggiù?

— Parecchi, immagino.

— Suppongo che si potrebbe escogitare una specie di… Non so, una cosa per ripararsi dal freddo — disse l’ometto pensieroso. — Una qualche nave per veleggiare al di là del Bordo e anche verso mondi lontani. Mi chiedo…

— Non ci pensare nemmeno! — gemette Scuotivento. — Smettila di parlare così, mi senti?

— A Krull parlano tutti così — affermò Tethis.

— Naturalmente quelli che hanno una lingua — aggiunse.

— Sei sveglio?

Duefiori continuò a russare e Scuotivento lo colpì malignamente nelle costole.

— Ho detto: sei sveglio?

— Scrdfngh…

— Dobbiamo andarcene da qui prima dell’arrivo di questa flotta di salvataggio!

La luce smorta dell’alba filtrò attraverso l’unica finestra della capanna e strisciò sulle pile di casse salvate dai naufragi e sulle balle sparse all’interno. Duefiori grugnì di nuovo e cercò di sprofondare nella pila di pellicce e coperte che Tethis aveva dato loro.

— Guarda, qui dentro c’è ogni sorta di armi e di materiale — disse Scuotivento. — Lui è andato da qualche parte. Quando torna potremo sopraffarlo e… be’, poi possiamo pensare a una soluzione. Che ne dici?

— Che non mi sembra una buona idea. In ogni modo è un po’ scortese, no?

— Accidenti! — esclamò irritato Scuotivento. — Questo è un universo scomodo.

Frugò tra le pile ammucchiate lungo le pareti e scelse una pesante scimitarra ricurva, che probabilmente aveva fatto la gioia e l’orgoglio di qualche pirata. Era il tipo d’arma che per arrecare danno conta tanto sul peso che sul filo della lama. La sollevò goffamente.

— Il troll lascerebbe in giro un oggetto simile se potesse fargli del male? — si chiese ad alta voce Duefiori.

Scuotivento non gli badò e si appostò dietro la porta. Quando questa si aprì, una decina di minuti dopo, si mosse senza esitare e roteò l’arma a quella che giudicava dovesse essere l’altezza della testa del troll. La lama sibilò attraverso il nulla e andò a colpire lo stipite della porta, facendogli perdere l’equilibrio e mandandolo a finire in terra.

Udì un sospiro e alzò gli occhi sul viso di Tethis, che scuoteva triste la testa.

— Non mi avrebbe fatto male — disse il troll — e tuttavia mi hai ferito. Profondamente ferito. — Allungò una mano e sfilò la spada dal legno. Senza sforzo apparente piegò la lama fino a ridurla a un circolo e la scaraventò sulle rocce dove rimbalzò fino a che urtò una pietra, scattò in aria, sempre roteando, e descrisse un arco d’argento che finì nella foschia che si formava sopra il Rimfall.

— Ferito molto profondamente — concluse. Pescò un sacco accanto alla porta e lo gettò a Scuotivento. — È la carcassa di un cervo frollato al punto che piace a voi umani, qualche aragosta e un salmone. La Circonferenza ci rifornisce.

Fissò intento il turista e di nuovo Scuotivento, sempre a terra. — Che stai guardando? — chiese.

— È solo che… — cominciò Duefiori.

— …paragonato alla notte scorsa… — aggiunse Scuotivento.

— Sei cosi piccolo - finì Duefiori.

— Capisco — ammise il troll. — Adesso siamo alle osservazioni personali. — Si drizzò in tutta la sua altezza, normalmente un metro e venti circa. — Solo perché sono fatto di acqua non significa che sono fatto di legno, sapete.