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— Scusami — disse Duefiori, uscendo in fretta dalle sue pellicce.

— Voi siete fatti di sudiciume, ma io non ho fatto commenti a proposito di cose per cui non potete farci niente. Oh no, noi non possiamo fare nulla per il modo in cui il Creatore ci ha fatti, è questa la mia opinione. Ma, se proprio volete saperlo, la vostra luna qui è parecchio più potente di quelle intorno al mio mondo.

— La luna? — disse Duefiori. — Non ca…

— Mi obblighi a mettere i puntini sulle i — replicò stizzoso il troll. — Soffro di maree croniche.

Nell’oscurità della capanna trillò un campanello. Tethis attraversò il pavimento scricchiolante per avvicinarsi al complicato congegno di leve, corde e campanelli montato sul cavo più alto della Circonferenza che passava nella capanna.

Il campanello suonò di nuovo e poi iniziò uno strano ritmo sussultante che durò parecchi minuti. Il troll lo ascoltava attento, tenendoci l’orecchio pigiato. Quando il suono cessò, si voltò lentamente a guardare i due uomini, con espressione preoccupata.

— Siete più importanti di quanto pensassi — annunciò. — Non dovrete attendere la flotta di salvataggio. Verrà a prendervi un apparecchio volante. È ciò che dicono a Krull. — Scrollò le spalle. — E ancora non avevo nemmeno inviato un messaggio che eravate qui. Qualcuno ha bevuto ancora vino della noce vul.

Prese un grosso mazzuolo appeso a un pilastro vicino al campanello e se ne servì per scandire un breve carillon. — Passerà da un guardiano all’altro e arriverà fino a Krull — annunciò. — È meraviglioso, vero?

Arrivò veloce sul mare, galleggiando sulla superficie a altezza d’uomo ma lasciando una scia spumeggiante, mentre la forza che lo sosteneva schiaffeggiava brutalmente l’acqua. Scuotivento sapeva qual era quella forza. Lui, per primo lo ammetteva, era un vigliacco, un incompetente, un fallito e, in questo, nemmeno tanto bravo. Ma era pur sempre un mago, conosceva uno degli Otto Grandi Incantesimi, quando moriva lo avrebbe reclamato la Morte stessa, ed era in grado di riconoscere una buona magia sofisticata quando la vedeva.

La lente, che sfiorava l’acqua diretta verso l’isola, distava forse sette metri ed era assolutamente trasparente. Seduti in giro si vedevano numerosi uomini vestiti di nero, ognuno assicurato al disco da una correggia di cuoio. E ognuno fissava le onde con un’espressione così tormentata che il disco trasparente sembrava contornato da mascheroni.

Scuotivento sospirò di sollievo. Un suono così insolito che indusse Duefiori a distogliere gli occhi dal disco e a guardarlo.

— Siamo importanti, non era una bugia — gli spiegò Scuotivento. — Non sprecherebbero tutta quella magia su un paio di semplici schiavi — sogghignò.

— Che cos’è? — chiese l’ometto.

— Il disco deve essere stato creato dal Meraviglioso Concentratore di Fresnel — affermò Scuotivento sicuro di sé. — Ci vogliono molti ingredienti rari e instabili, come l’alito di un demone e così via, e l’applicazione di almeno otto maghi del quarto grado alla settimana. Poi ci sono quei maghi che ci viaggiano e che devono essere tutti idrofobi…

— Vuoi dire che odiano l’acqua? — domandò Duefiori.

— No, non funzionerebbe. L’odio è una forza che attira, come l’amore. Loro l’aborrono, la sola idea li rivolta. Un idrofobo veramente bravo deve essere addestrato fin dalla nascita con acqua disidratata. E, solo di magia, costa una fortuna. Ma diventano grandi maghi del tempo: le nuvole cariche di pioggia rinunciano e se ne vanno.

— Terribile — commentò il troll marino.

Scuotivento non gli prestò attenzione. — E tutti muoiono giovani. Non riescono a vivere con loro stessi.

— Certe volte penso che un uomo potrebbe viaggiare tutta la vita nel Disco e non vedere tutto quello che c’è da vedere — osservò Duefiori. — E adesso sembra che ci sia anche una quantità di altri mondi. Quando penso che potrei morire senza vedere la centesima parte di quello che c’è da vedere, mi sento… — s’interruppe e quindi aggiunse: — Umile, direi. E naturalmente arrabbiato.

L’apparecchio volante si arrestò con un alto spruzzo di spuma a pochi metri di distanza, in direzione del centro dell’isola, e rimase sospeso, rotando lentamente. Una figura incappucciata, in piedi vicino al robusto pilastro esattamente al centro della lente, fece loro cenno di avvicinarsi.

— Fareste meglio ad andare a guado — consigliò il troll. — Non è prudente farli attendere. Conoscervi è stato un piacere. — Diede a entrambi una stretta di mano umida. Li accompagnò per un tratto e i due occupanti più vicini della lente si allontanarono con un’espressione d’intenso disgusto.

La figura incappucciata calò una scala di corda. Nell’altra mano teneva una mazza d’argento chiaramente concepita per uccidere. La prima impressione di Scuotivento si rafforzò vedendo la figura alzare il bastone e scuoterlo in direzione della spiaggia. Una porzione di roccia scomparve e al suo posto rimase soltanto una nebbiolina grigia di nulla.

— Questo perché non pensi che avrei paura a usarla — disse la figura.

— Non penso che voi avete paura! — esclamò Scuotivento. La figura sbuffò.

— Sappiamo tutto di te, Scuotivento il mago. Tu sei un uomo di grande astuzia e artificio. Ridi in faccia alla Morte. La tua finta aria di codardia non mi inganna.

— Io… — cominciò Scuotivento interdetto, e impallidì quando l’altro voltò verso di lui il bastone del nulla. — Io… vedo che sai tutto di me — concluse con voce debole e si sedette pesantemente sulla superficie sdrucciolevole. Seguendo le istruzioni del comandante incappucciato, lui e Duefiori si legarono con cinghie agli anelli infissi nel disco trasparente.

— Se accenni minimamente a lanciare un incantesimo, sei morto — lo minacciò la voce sotto il cappuccio. — Terzo quadrante, regolare; nono quadrante, raddoppiare; avanti tutta!

Un muro d’acqua si levò nell’aria dietro a Scuotivento e il disco sobbalzò. La spaventevole presenza del troll marino probabilmente aveva accresciuto la concentrazione della mente degli idrofobi, perché la lente s’impennò e non iniziò il suo volo regolare se non quando fu a diverse braccia sopra il livello del mare. Scuotivento guardò giù attraverso la superficie trasparente e desiderò non averlo fatto.

— Bene, di nuovo partenza — esclamò allegro Duefiori. Si girò a salutare con la mano Tethis, ridotto a una macchiolina sul confine del mondo.

Scuotivento gli lanciò un’occhiataccia. — Non c’è mai nulla che ti preoccupi?

— Siamo ancora vivi, no? E tu stesso hai detto che loro non si darebbero tanta pena solo per farci schiavi. Credo che Tethis esagerasse. Credo che sia tutto un malinteso. E che ci manderanno a casa. Dopo avere visto Krull, naturalmente. E devo dire che tutto questo sembra affascinante.

— Oh sì, affascinante — gli fece eco il mago con voce cupa. — Pensò: "Ho visto l’eccitazione e ho visto la noia. E la noia era meglio".

Se in quel momento uno di loro due avesse guardato in giù, avrebbe notato sorgere dall’acqua, molto al di sotto di loro, una strana onda a forma di V, con l’apice puntato dritto sull’isola di Tethis. Ma non stavano guardando. I ventiquattro maghi idrofobi stavano guardando, ma per loro si trattava soltanto di un altro frammento di orrore, non dissimile dal liquido orrore tutto intorno. E probabilmente avevano ragione.

Qualche tempo prima di questi avvenimenti, la nave pirata in fiamme si era immersa nelle onde e aveva cominciato la sua lunga e lenta scivolata verso il fondo distante. Era più distante del normale perché proprio sotto la chiglia sfondata si trovava la Gorunna Trench, una spaccatura nella superficie del Disco, così nera, così profonda e così perigliosa che perfino i mostri marini ci si avventuravano con timore e in coppia. Nei baratri meno rischiosi i pesci giravano con le luci accese sulla testa e, tutto sommato, se la cavavano benone. Nella Gorunna, lasciavano spente le luci e strisciavano, per quanto sia possibile strisciare a una creatura priva di gambe. E tendevano a andare a sbattere contro le cose. Cose orribili.