più che di scusa; e se ci fu sventura,
colpa è soltanto del destino... e nostra.
Non è giustizia che il persegue: è solo
odio privato, è invidia, è basso orgoglio
che non perdona al sommo, a chi tacendo 60
grida co’ fatti: io son maggior di voi.
Certo inaudito è un tal linguaggio: i Padri
nel lor Senato oggi l’udiro; e muti
si volsero a guardar donde tal voce
venìa, se uno straniero oggi, un nemico 65
premere un seggio nel Senato ardia.
Chiarito è il Conte un traditor; si vuole
torgli ogni via di nocere. Ma l’arte
tanta e l’audacia è di costui, che reso
ei s’è tremendo a’ suoi signori; è forte 70
di quella forza che gli abbiam fidata;
egli ha il cor de’ soldati; e l’armi nostre,
quando voglia, son sue; contro di noi
volger le puote, e il vuol. Certo è follia
aspettar che lo tenti; ognun risolve 75
ch’ei si prevenga, e tosto. A forza aperta
è impresa piena di perigli. E noi
starem per questo? E il suo maggior delitto
sarà cagion perché impunito ei vada?
Sola una strada alla giustizia è schiusa, 80
l’arte con cui l’ingannator s’inganna.
Ei ci astrinse a tenerla; ebben, si tenga:
questo è il voto comun. Che fece allora
l’amico di costui? Ve ne rammenta?
Io vel dirò; ché men tranquillo al certo 85
era in quel punto il vostro cor, dell’occhio
che imperturbato vi seguia. Perdeste
ogni ritegno, oltrepassaste il largo
confin che un resto di prudenza avea
prescritto al vostro ardor, dimenticaste 90
ciò che promesso v’eravate, intero
ai men veggenti vi svelaste, a quelli
cui parea novo ciò che a noi non l’era.
Ognuno allor pensò che oggi in Senato
c’era un uom di soverchio, e che bisogna 95
porre il segreto dello Stato in salvo.
MARCO
Signor, tutto a voi lice: innanzi a voi
quel che ora io sia, non so; però non posso
dimenticarmi che patrizio io sono,
né a voi tacer che un dubbio tal m’offende. 100
Sono un di voi: la causa dello Stato
è la mia causa; e il suo segreto importa
a me non men che altrui.
MARINO
Volete alfine
saper chi siete qui? Voi siete un uomo
di cui si teme, un che lo Stato guarda 105
come un inciampo alla sua via. Mostrate
che nol sarete; il darvene agio ancora
è gran clemenza.
MARCO
Io sono amico al Conte:
questa è l’accusa mia; nol nego, io il sono:
e il ciel ringrazio che vigor mi ha dato 110
di confessarlo qui. Ma se nemico
è della patria? Mi si provi, è il mio.
Che gli si appone? I prigionier disciolti?
Non li disciolse il vincitor soldato?
Ma invan pregato il condottier non volle 115
frenar questa licenza. Il potea forse?
Ma l’imitò. Non ve lo astrinse un uso,
qual ch’ei sia, della guerra? ed al Senato
vera non parve questa scusa? e largo
d’ogni onor poscia non gli fu? L’aiuto 120
al Trevisan negato? Era più grave
periglio il darlo; era l’impresa ordita
ignaro il Conte; ei non fu chiesto a tempo.
E la sentenza che a sì turpe esiglio
il Trevisan dannò, tutta la colpa 125
non rovesciò sovra di lui? Cremona?
Chi di Cremona meditò l’acquisto?
Chi l’ordin dié che si tentasse? Il Conte.
Del popol tutto che a rumor si leva
non può scarso drappel l’inaspettato 130
impeto sostener; ritorna al campo,
non scemo pur d’un combattente. Al Duce
buon consiglio non parve incontro un novo
impensato nemico avventurarsi;
e abbandonò l’impresa. Ella è, fra tante 135
sì ben compiute, una fallita impresa;
ma il tradimento ov’è? Fiero, oltraggioso
da gran tempo, voi dite, è il suo linguaggio:
un troppo lungo tollerar macchiato
ha l’onor nostro. Ed un’insidia, il lava? 140
E poi che un nodo, un dì sì caro, ormai
non può tener Venezia e il Carmagnola,
chi ci vieta disciorlo? Un’amistade
sì nobilmente stretta, or non potria
nobilmente finir? Come! anche in questo 145
un periglio si scorge! Il genio ardito
del condottier; la fama sua si teme,
de’ soldati l’amor! Se render piena
testimonianza al ver, colpa si stima;
se a tal trista temenza oppor non lice 150
la lealtà del Conte; il senso almeno
del nostro onor la scacci. Abbiam di noi
un più degno concetto; e non si creda
che a tal Venezia giunta sia, che possa
porla in periglio un uom. Lasciam codeste 155
cure ai tiranni: ivi il valor si tema
ove lo scettro è in una mano, e basta
a strapparlo un guerrier che dica: io sono
più degno di tenerlo; e a’ suoi compagni
il persuada. Ei che tentar potria? 160
Al Duca ritornar, dicesi, e seco
le schiere trar nel tradimento. Al Duca?
All’uom che un’onta non perdona mai,
né un gran servigio, ritornar colui
che gli compose e che gli scosse il trono? 165
Chi non poté restargli amico in tempo
che pugnava per lui, ridivenirlo
dopo averlo sconfitto! Avvicinarsi
a quella man che in questo asilo istesso 170
comprò un pugnal per trapassargli il petto!
L’odio solo, o signor, creder lo puote.
Ah! qual sia la cagion che innanzi a questo
temuto seggio fa trovarmi, un’alta
grazia mi fia, se fare intender posso
anco una volta il ver: qualche lusinga 175
io nutro ancor che non fia forse invano.
Sì, l’odio cieco, l’odio sol potea
far che fosse in Senato un tal sospetto
proposto, inteso, tollerato. Ha molti
fra noi nemici il Conte: or non ricerco 180
perché lo siano: il son. Quando nascoste
all’ombra della pubblica vendetta,
le nimistà private io disvelai;
quando chiedea che a provveder s’avesse
l’util soltanto dello Stato, e il giusto; 185
allora ufizio io non facea d’amico,
ma di fedel patrizio. Io già non scuso
il mio parlar: quando proporre intesi
che sotto il vel di consultarlo ei sia
richiamato a Venezia, e gli si faccia 190
onor più dell’usato, e tutto questo
per tirarlo nel laccio... allor, nol nego...
MARINO
Più non pensaste che all’amico.
MARCO
Allora,
dissimular nol vo’, tutte sentii