e il nemico gli è sopra, io la ritiro:
ei si desta, e mi cerca; io son fuggito! 325
Ei mi dispregia, e more! Io non sostengo
questo pensier... Che feci!... Ebben, che feci?
Nulla finora: ho sottoscritto un foglio,
e nulla più. Se fu delitto il giuro,
non fia virtù l’infrangerlo? Non sono 330
che all’orlo ancor del precipizio; il vedo,
e ritrarmi poss’io... Non posso un mezzo
trovar?... Ma s’io l’uccido? Oh! forse il disse
per atterrirmi... E se davvero il disse?
Oh empi, in quale abbominevol rete 335
stretto m’avete! Un nobile consiglio
per me non c’è; qualunque io scelga, è colpa.
Oh dubbio atroce!... Io li ringrazio; ei m’hanno
statuito un destino; ei m’hanno spinto
per una via; vi corro: almen mi giova 340
ch’io non la scelsi: io nulla scelgo; e tutto
ch’io faccio è forza e volontà d’altrui.
Terra ov’io nacqui, addio per sempre: io spero
ché ti morrò lontano, e pria che nulla
sappia di te: lo spero: in fra i perigli 345
certo per sua pietade il ciel m’invia.
Ma non morrò per te. Che tu sii grande
e gloriosa, che m’importa? Anch’io
due gran tesori avea, la mia virtude,
ed un amico; e tu m’hai tolto entrambi. 350
(parte)
SCENA III
Tenda del Conte.
IL CONTE e GONZAGA
IL CONTE
Ebben, che raccogliesti?
GONZAGA
Io favellai,
come imponesti, ai Commissari; e chiaro
mostrai che tutta delle vinte navi
riman la colpa e la vergogna a lui
che non le seppe comandar; che infausta 355
la giornata gli fu perché la imprese
senza di te; che tu da lui chiamato
tardi in soccorso, romper non dovevi
i tuoi disegni per servir gli altrui;
che l’armi lor, tanto in tua man felici, 360
sempre il sarian, se questa guerra fosse
commessa al senno ed al voler d’un solo.
IL CONTE
Che dicon essi?
GONZAGA
Si mostrar convinti
ai detti miei: dissero in pria, che nulla
dissimular volean; che amaro al certo 365
de’ perduti navigli era il pensiero,
e di Cremona la fallita impresa;
ma che son lieti di saper che il fallo
di te non fu; che di chiunque ei sia,
da te l’ammenda aspettano.
IL CONTE
Tu il vedi, 370
o mio Gonzaga; se dai fede al volgo,
sommo riguardo, arte profonda è d’uopo
con questi uomin di Stato. Io fui con essi
quel ch’esser soglio; rigettai l’ingiuste
pretese lor, scender li feci alquanto 375
dall’alto seggio ove si pon chi avvezzo
non è a vedersi altri che schiavi intorno;
io mostrai lor fino a che segno io voglio
che altri signor mi sia: d’allora in poi
mai non l’hanno passato; io li provai 380
saggi sempre e cortesi.
GONZAGA
E non pertanto
dar consiglio ad alcuno io non vorrei
di tener, questa via. Te da gran tempo
la gloria segue e la fortuna; ad essi
util tu sei, tu necessario e caro, 385
terribil forse: e tu la prova hai vinta;
se pur può dirsi che sia vinta ancora.
IL CONTE
Che dubbi hai tu?
GONZAGA
Tu, che certezza? Io vedo
dolci sembianti, e dolci detti ascolto:
segni d’amor; ma pur, l’odio che teme, 390
altri ne ha forse?
IL CONTE
No: di questo io nulla
sono in pensier. Troppo a regnar son usi;
e san che all’uom da cui s’ottiene il molto
chieder non dessi improntamente il meno.
E poi, mi credi, io li guardai dappresso: 395
questa cupa arte lor, questi intricati
avvolgimenti di menzogna, questo
finger, tacere, antiveder, di cui
tanto li loda e li condanna il mondo
è meno assai di quel che al mondo appare. 400
GONZAGA
Se pur non era di lor arte il colmo
il parer tali a te.
IL CONTE
No: tu li vedi
con l’occhio altrui: quando col tuo li veda,
tu cangerai pensiero. Havvene assai
di schietti e buoni; havvene tal che un’alta 405
anima chiude, a cui pensier non osa
avvicinarsi che gentil non sia:
anima dolce e disdegnosa, in cui
legger non puoi, che tu non sia compreso
d’amor, di riverenza, e di desio 410
di somigliarle. Non temer; non sono
di me scontenti; e quando il fosser mai,
io lo saprei ben tosto.
GONZAGA
Il Ciel non voglia
che tu t’inganni.
IL CONTE
Altro mi duoclass="underline" son stanco
di questa guerra che condur non posso 415
a modo mio. Quand’io non era ancora
più che un soldato di ventura, ascoso
e perduto tra i mille, ed io sentia
che al loco mio non m’avea posto il cielo,
e dell’oscurità l’aria affannosa 420
respirava fremendo, ed il comando
sì bello mi parea,... chi m’avria detto
che l’otterrei, che a gloriosi duci,
e a tanti e così prodi e così fidi
soldati io sarei capo; e che felice 425
io non sarei perciò!...
(entra un Soldato)
Che rechi?
SOLDATO
Un foglio
di Venezia.
(gli porge il foglio, e parte)
IL CONTE
Vediam.
(legge)
Non tel diss’io?
mai non gli ebbi più amici: a loro il Duca
chiede la pace, e conferir con meco
braman di ciò. Vuoi tu seguirmi?
GONZAGA
Io vengo. 430
IL CONTE
Che dì tu di tal pace?
GONZAGA
Ad un soldato
tu lo domandi?
IL CONTE
È ver; ma questa è guerra?
O mia consorte, o figlia mia, tra poco
io rivedrovvi, abbraccerò gli amici:
questo è contento al certo. Eppur del tutto 435
esser lieto non so: chi potria dirmi
se un sì bel campo io rivedrò più mai?
FINE DELL’ATTO QUARTO
ATTO QUINTO
SCENA I
Notte. Sala del Consiglio dei Dieci illuminata.
Il DOGE, i DIECI, e il CONTE seduti.
IL DOGE
(al Conte)
A questi patti offre la pace il Duca;
su ciò chiede il Consiglio il parer vostro.
IL CONTE
Signori, un altro io ve ne diedi; e molto
promisi allor: vi piacque. Io attenni in parte
quel che promesso avea: ma lunge ancora 5
dalle parole è il fatto; ed or non voglio
farle obbliar però: sul labbro mio
imprevidente militar baldanza
non le mettea. Di novo avviso or chiesto,
altro non posso che ridirvi il primo. 10