V. Finalmente queste regole impediscono molte bellezze, e producono molti inconvenienti.
Non discenderò a dimostrare con esempi la prima parte di questa proposizione: ciò è stato fatto egregiamente più di una volta. E la cosa resulta tanto evidentemente dalla più leggiera osservazione d’alcune tragedie inglesi e tedesche, che i sostenitori stessi delle regole sono costretti a riconoscerla. Confessano essi che il non astringersi ai limiti reali di tempo e di luogo lascia il campo a una imitazione ben altrimenti varia e forte: non negano le bellezze ottenute a scapito delle regole; ma affermano che bisogna rinunziare a quelle bellezze, giacché per ottenerle bisogna cadere nell’inverosimile. Ora, ammettendo l’obiezione, è chiaro che l’inverosimiglianza tanto temuta non si farebbe sentire che alla rappresentazione scenica; e però la tragedia da recitarsi sarebbe di sua natura incapace di quel grado di perfezione, a cui può arrivare la tragedia, quando non si consideri che come un poema in dialogo, fatto soltanto per la lettura, del pari che il narrativo. In tal caso, chi vuol cavare dalla poesia ciò che essa può dare, dovrebbe preferire sempre questo secondo genere di tragedia: e nell’alternativa di sacrificare o la rappresentazione materiale, o ciò che forma l’essenza del bello poetico, chi potrebbe mai stare in dubbio? Certo, meno d’ogni altro quei critici i quali sono sempre di parere che le tragedie greche non siano mai state superate dai moderni, e che producano il sommo effetto poetico, quantunque non servano più che alla lettura. Non ho inteso con ciò di concedere che i drammi senza le unità riescano inverosimili alla recita: ma da una conseguenza ho voluto far sentire il valore del principio.
Gl’inconvenienti che nascono dall’astringersi alle due unità, e specialmente a quella di luogo, sono ugualmente confessati dai critici. Anzi non par credibile che le inverosimiglianze esistenti nei drammi orditi secondo queste regole, siano così tranquillamente tollerate da coloro che vogliono le regole a solo fine d’ottenere la verosimiglianza. Cito un solo esempio di questa loro rassegnazione: Dans Cinna il faut que la conjuration se fasse dans le cabinet d’Emilie, et qu’Auguste vienne dans ce mêne cabinet confondre Cinna, et lui pardonner: cela est peu naturel. La sconvenienza è assai bene sentita, e sinceramente confessata. Ma la giustificazione è singolare. Eccola: Cependant il le faut.( [5] )
Forse si è qui eccessivamente ciarlato su una questione già così bene sciolta, e che a molti può parer troppo frivola. Rammenterò a questi ciò che disse molto sensatamente in un caso consimile un noto scrittore: Il n’y a pas grand mal à se tromper en tout cela: mais il vaut encore mieux ne s’y point tromper, s’il est possible.([6]) E del rimanente, credo che una tale questione abbia il suo lato importante. L’errore solo è frivolo in ogni senso. Tutto ciò che ha relazione con l’arti della parola, e coi diversi modi d’influire sulle idee e sugli affetti degli uomini, è legato di sua natura con oggetti gravissimi. L’arte drammatica si trova presso tutti i popoli civilizzati: essa è considerata da alcuni come un mezzo potente di miglioramento, da altri come un mezzo potente di corruttela, da nessuno come una cosa indifferente. Ed è certo che tutto ciò che tende a ravvicinarla o ad allontanarla dal suo tipo di verità e di perfezione, deve alterare, dirigere, aumentare, o diminuire la sua influenza.
Quest’ultime riflessioni conducono a una questione più volte discussa, ora quasi dimenticata, ma che io credo tutt’altro che sciolta; ed è: se la poesia drammatica sia utile o dannosa. So che ai nostri giorni sembra pedanteria il conservare alcun dubbio sopra di ciò, dacché il Pubblico di tutte le nazioni colte ha sentenziato col fatto in favore del teatro. Mi sembra però che ci voglia molto coraggio per sottoscriversi senza esame a una sentenza contro la quale sussistono le proteste di Nicole, di Bossuet, e di G. G. Rousseau, il di cui nome unito a questi viene qui ad avere una autorità singolare. Essi hanno unanimemente inteso di stabilire due punti: uno che i drammi da loro conosciuti ed esaminati sono immorali: l’altro che ogni dramma deva esserlo, sotto pena di riuscire freddo, e quindi vizioso secondo l’arte; e che in conseguenza la poesia drammatica sia una di quelle cose che si devono abbandonare, quantunque producano dei piaceri, perché essenzialmente dannose. Convenendo interamente sui vizi del sistema drammatico giudicato dagli scrittori nominati qui sopra, oso credere illegittima la conseguenza che ne hanno dedotta contro la poesia drammatica in generale. Mi pare che siano stati tratti in errore dal non aver supposto possibile altro sistema che quello seguito in Francia. Se ne può dare, e se ne dà un altro suscettibile del più alto grado d’interesse e immune dagl’inconvenienti di quello: un sistema conducente allo scopo morale, ben lungi dall’essergli contrario. Al presente saggio di componimento drammatico, m’ero proposto d’unire un discorso su tale argomento. Ma costretto da alcune circostanze a rimettere questo lavoro ad altro tempo, mi fo lecito d’annunziarlo; perché mi pare cosa sconveniente il manifestare una opinione contraria all’opinione ragionata d’uomini di prim’ordine, senza addurre le proprie ragioni, o senza prometterle almeno([7]).