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come si mor. Va; quando l’ultim’ora

ti coglierà sul vil tuo letto, incontro

non le starai con quella fronte al certo,

che a questa infame, a cui mi traggi, io reco.                    140

(parte il Conte tra i Soldati)

SCENA II

Casa del Conte.

ANTONIETTA, e MATILDE

MATILDE

Ecco l’aurora; e il padre ancor non giunge.

ANTONIETTA

Ah! tu nol sai per prova: i lieti eventi

tardi, aspettati giungono, e non sempre.

Presta soltanto è la sventura, o figlia:

intraveduta appena, ella c’è sopra.                                  145

Ma la notte passò: l’ore penose

del desio più non son: tra pochi istanti

quella del gaudio sonerà. Non puote

ei più tardar; da questo indugio io prendo

un fausto augurio: il consultar sì lungo                              150

tratto non han, che per fermar la pace.

Ei sarà nostro, e per gran tempo.

MATILDE

O madre,

anch’io lo spero. Assai di notti in pianto,

e di giorni in sospetto abbiam passati.

È tempo ormai che, ad ogni istante, ad ogni                    155

novella, ad ogni susurrar del volgo

più non si tremi, e all’alma combattuta

quell’orrendo pensier più non ritorni:

forse colui che sospirate, or more.

ANTONIETTA

Oh rio pensier! ma almen per ora è lunge.                       160

Figlia, ogni gioia col dolor si compra.

Non ti sovvien quel dì che il tuo gran padre

tratto in trionfo, tra i più grandi accolto,

portò l’insegne de’ nemici al tempio?

MATILDE

Oh giorno!

ANTONIETTA

Ognun parea minor di lui;                            165

l’aria sonava del suo nome; e noi

scevre dal volgo, in alto loco intanto

contemplavam quell’uno in cui rivolti

eran tutti gli sguardi: inebbriato

il cor tremava, e ripetea: siam sue.                                  170

MATILDE

Felici istanti!

ANTONIETTA

Che avevam noi fatto

per meritarli? A questa gioia il cielo

ci trascelse tra mille. Il ciel ti scelse,

il ciel ti scrisse un sì gran nome in fronte;

tal don ti fece, che a chiunque il rechi,                             175

n’andrà superbo. A quanta invidia è segno

la nostra sorte! E noi dobbiam scontarla

con queste angosce.

MATILDE

Ah! son finite... ascolta;

odo un batter di remi... ei cresce... ei cessa...

Si spalancan le porte... ah! certo ei giunge:                      180

o madre, io vedo un’armatura; è lui.

ANTONIETTA

Chi mai saria s’egli non fosse?... O sposo...

(va verso la scena)

SCENA III

GONZAGA, e dette.

ANTONIETTA

Gonzaga!... ov’è il mio sposo? ov’è?... Ma voi

non rispondete? Oh cielo! il vostro aspetto

annunzia una sventura.

GONZAGA

Ah che pur troppo                   185

annunzia il vero!

MATILDE

A chi sventura?

GONZAGA

O donne!

Perché un incarco sì crudel m’è imposto?

ANTONIETTA

Ah! voi volete esser pietoso, e siete

crudeclass="underline" tremar più non ci fate. In nome

di Dio, parlate; ov’è il mio sposo?

GONZAGA

Il cielo                   190

vi dia la forza d’ascoltarmi. Il Conte...

MATILDE

Forse è tornato al campo?

GONZAGA

Ah! più non torna...

Egli è in disgrazia de’ Signori... è preso.

ANTONIETTA

Egli preso! perché?

GONZAGA

Gli danno accusa

di tradimento.

ANTONIETTA

Ei traditore?

MATILDE

Oh padre!                         195

ANTONIETTA

Or via, seguite: preparate al tutto

siam noi: che gli faran?

GONZAGA

Dal labbro mio

voi non l’udrete.

ANTONIETTA

Ahi l’hanno ucciso!

GONZAGA

Ei vive;

ma la sentenza è proferita.

ANTONIETTA

Ei vive?

Non pianger, figlia, or che d’oprare è il tempo.               200

Gonzaga, per pietà, non vi stancate

della nostra sventura; il ciel v’affida

due derelitte: ei v’era amico: andiamo,

siateci scorta ai giudici. Vien meco,

poverella innocente: oh! vieni: in terra                              205

c’è ancor pietà: son sposi e padri anch’essi.

Mentre scrivean l’empia sentenza, in mente

non venne lor ch’egli era sposo e padre.

Quando vedran di che dolor cagione

è una parola di lor bocca uscita,                                     210

ne fremeranno anch’essi; ah! non potranno

non rivocarla: del dolor l’aspetto

è terribile all’uom. Forse scusarsi

quel prode non degnò, rammentar loro

quanto per essi oprò; noi rammentarlo                            215

sapremo. Ah! certo ei non pregò; ma noi,

noi pregheremo.

(in atto di partire)

GONZAGA

Oh ciel, perché non posso

lasciarvi almen questa speranza! A preghi

loco non c’è; qui i giudici son sordi,

implacabili, ignoti: il fulmin piomba,                                 220

la man che il vibra è nelle nubi ascosa.

Solo un conforto v’è concesso, il tristo

conforto di vederlo, ed io vel reco.

Ma il tempo incalza. Fate cor; tremenda

è la prova; ma il Dio degl’infelici                                     225

sarà con voi.

MATILDE

Non c’è speranza?

ANTONIETTA

Oh figlia!

(partono)

SCENA IV

Prigione.

IL CONTE

A quest’ora il sapranno. Oh perché almeno

lunge da lor non moio! Orrendo, è vero,

lor giungeria l’annunzio; ma varcata

l’ora solenne del dolor saria;                                           230

e adesso innanzi ella ci sta: bisogna

gustarla a sorsi, e insieme. O campi aperti!

o sol diffuso! o strepito dell’armi!

o gioia de’ perigli! o trombe! o grida

de’ combattenti! o mio destrier! tra voi                           235

era bello il morir. Ma... ripugnante

vo dunque incontro al mio destin, forzato,

siccome un reo, spargendo in sulla via

voti impotenti e misere querele?

E Marco, anch’ei m’avria tradito! Oh vile                       240

sospetto! oh dubbio! oh potess’io deporlo

pria di morir! Ma no: che val di novo

affacciarsi alla vita, e indietro ancora

volgere il guardo ove non lice il passo?

E tu, Filippo, ne godrai! Che importa?                            245

Io le provai quest’empie gioie anch’io:

quel che vagliano or so. Ma rivederle!

ma i lor gemiti udir! l’ultimo addio

da quelle voci udir! tra quelle braccia

ritrovarmi... e staccarmene per sempre!                          250

Eccole! O Dio, manda dal ciel sovr’esse

un guardo di pietà.

SCENA V

ANTONIETTA, MATILDE, GONZAGA, e il CONTE

ANTONIETTA

Mio sposo!...

MATILDE

Oh padre!

ANTONIETTA

Così ritorni a noi? Questo è il momento

bramato tanto?...

IL CONTE

O misere, sa il cielo

che per voi sole ei m’è tremendo. Avvezzo                     255