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io son da lungo a contemplar la morte,

e ad aspettarla. Ah! sol per voi bisogno

ho di coraggio; e voi, voi non vorrete

tormelo, è vero? Allor che Dio sui boni

fa cader la sventura, ei dona ancora                                260

il cor di sostenerla. Ah! pari il vostro

alla sventura or sia. Godiam di questo

abbracciamento: è un don del cielo anch’esso.

Figlia, tu piangi! e tu, consorte!... Ah! quando

ti feci mia, sereni i giorni tuoi                                           265

scorreano in pace; io ti chiamai compagna

del mio tristo destin: questo pensiero

m’avvelena il morir. Deh ch’io non veda

quanto per me sei sventurata!

ANTONIETTA

O sposo

de’ miei bei dì, tu che li festi; il core                                270

vedimi; io moio di dolor; ma pure

bramar non posso di non esser tua.

IL CONTE

Sposa, il sapea quel che in te perdo; ed ora

non far che troppo il senta.

MATILDE

Oh gli omicidi!

IL CONTE

No, mia dolce Matilde; il tristo grido                               275

della vendetta e del rancor non sorga

dall’innocente animo tuo, non turbi

quest’istanti: son sacri. Il torto è grande;

ma perdona, e vedrai che in mezzo ai mali

un’alta gioia anco riman. La morte!                                 280

Il più crudel nemico altro non puote

che accelerarla. Oh! gli uomini non hanno

inventata la morte: ella saria

rabbiosa, insopportabile: dal cielo

essa ci viene; e l’accompagna il cielo                              285

con tal conforto, che né dar né torre

gli uomini ponno. O sposa, o figlia, udite

le mie parole estreme: amare, il vedo,

vi piombano sul cor; ma un giorno avrete

qualche dolcezza a rammentarle insieme.                         290

Tu, sposa, vivi; il dolor vinci, e vivi;

questa infelice orba non sia del tutto.

Fuggi da questa terra, e tosto ai tuoi

la riconduci: ella è lor sangue; ad essi

fosti sì cara un dì! Consorte poi                                      295

del lor nemico, il fosti men; le crude

ire di Stato avversi fean gran tempo

de’ Carmagnola e de’ Visconti il nome.

Ma tu riedi infelice; il tristo oggetto

dell’odio è tolto: è un gran pacier la morte.                      300

E tu, tenero fior, tu che tra l’armi

a rallegrare il mio pensier venivi,

tu chini il capo: oh! la tempesta rugge

sopra di te! tu tremi, ed al singulto

più non regge il tuo sen; sento sul petto                           305

le tue infocate lagrime cadermi;

e tergerle non posso: a me tu sembri

chieder pietà, Matilde: ah! nulla il padre

può far per te; ma pei diserti in cielo

c è un Padre, il sai. Confida in esso, e vivi                       310

a dì tranquilli se non lieti: Ei certo

te li prepara. Ah! perché mai versato

tutto il torrente dell’angoscia avria

sul tuo mattin, se non serbasse al resto

tutta la sua pietà? Vivi, e consola                                    315

questa dolente madre. Oh ch’ella un giorno

a un degno sposo ti conduca in braccio!

Gonzaga, io t’offro questa man che spesso

stringesti il dì della battaglia, e quando

dubbi eravam di rivederci a sera.                                    320

Vuoi tu stringerla ancora, e la tua fede

darmi che scorta e difensor sarai

di queste donne, fin che sian rendute

ai lor congiunti?

GONZAGA

Io tel prometto.

IL CONTE

Or sono

contento. E quindi, se tu riedi al campo,                          325

saluta i miei fratelli, e dì lor ch’io

moio innocente: testimon tu fosti

dell’opre mie, de’ miei pensieri, e il sai.

Dì lor che il brando io non macchiai con l’onta

d’un tradimento: io nol macchiai: son io                           330

tradito. E quando squilleran le trombe,

quando l’insegne agiteransi al vento,

dona un pensiero al tuo compagno antico.

E il dì che segue la battaglia, quando

sul campo della strage il sacerdote,                                 335

tra il suon lugubre, alzi le palme, offrendo

il sacrifizio per gli estinti al cielo,

ricordivi di me, che anch’io credea

morir sul campo.

ANTONIETTA

Oh Dio, pietà di noi!

IL CONTE

Sposa, Matilde, ormai vicina è l’ora;                               340

convien lasciarci... addio.

MATILDE

No, padre...

IL CONTE

Ancora

una volta venite a questo seno;

e per pietà partite.

ANTONIETTA

Ah no! dovranno

staccarci a forza.

(si sente uno strepito d’armati)

MATILDE

Oh qual fragor!

ANTONIETTA

Gran Dio!

(s’apre la porta di mezzo, e s’affacciano genti armate; il capo di esse s’avanza verso il Conte: le due donne cadono svenute)

IL CONTE

O Dio pietoso, tu le involi a questo                                 345

crudel momento; io ti ringrazio. Amico,

tu le soccorri, a questo infausto loco

le togli; e quando rivedran la luce

dì lor... che nulla da temer più resta.

FINE DELLA TRAGEDIA

([1]) Sono differenti in questo (l’Epopea e la Tragedia), che quella ha il verso misurato semplice, ed è raccontativa, e formata di lunghezza; e questa si sforza, quanto può il più, di stare sotto un giro del sole, o di mutarne poco; ma l’Epopea è smoderata per tempo, ed in ciò è differente dalla Tragedia. Traduzione del Castelvetro.

([2]) Corso di Letteratura drammatica, Lezione x.

([3]) Batteux, Principes de la littérature, Traité v, chap. 4.

([4]) Marmontel, Éléments de littérature, art. Unité.

([5]) Batteux, l. c.

([6]) Fleury, Mœurs des Israélites, x.

([7]) Altre circostanze non hanno permesso all’autore di mantenere questa promessa. E lo dice senza riguardo, sapendo bene che sono mancanze le quali, lungi dal far perdere a un autore il titolo di galantuomo, gli acquistano spesso quello di benemerito. Del rimanente, questo punto è stato toccato in parte nella Lettre à M.r Ch... sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie. E forse, per ciò che riguarda la questione generale, basta osservare che tutta l’argomentazione di quegli scrittori è fondata sulla supposizione, che il dramma non possa interessare, se non in quanto comunichi allo spettatore o al lettore le passioni rappresentate in esso. Supposizione venuta dall’aver preso per condizione universale e naturale del dramma ciò ch’era un fatto speciale de’ drammi esaminati da loro, e della quale la più parte de’ drammi immortali di Shakespeare sono una confutazione tanto evidente quanto magnifica.

([8]) Corso di Letteratura drammatica, Lezione III.

([9]) Filippo la fece decapitare come rea d’adulterio con Michele Orombelli. Il più degli storici la credono innocente.

([10]) Hist. lib. 4; Rer. Ital. Script., T. xix, col. 72.

([11]) Tutto questo racconto è cavato dal Bigli.

([12]) Sanuto, Vite dei duchi di Venezia; Rer. Ital., xxii, 978.

([13]) Machiavelli, Ist. Fior., Lib. 4.

([14]) Per servire alla dignità del verso, il nome di quest’ultimo personaggio nella tragedia venne cambiato con quello di Fortebraccio. La storia stessa ha suggerito questo cambiamento; giacché il Piccinino era nipote di Braccio Fortebracci, e dopo la morte dello zio fu capo de’ soldati della fazione Braccesca.