Выбрать главу

di far leggi a me stesso, e trasgredirle,                             385

tra me fermai che, s’egli è mio destino

ch’io sia sempre in tai nodi avviluppato

che mestier faccia a distrigarli appunto

quella virtù che più mi manca, s’ella

è pur virtù; se è mio destin che un giorno                         390

io sia colto in tai nodi, e vi perisca;

meglio è senza riguardi andargli incontro.

Io ne appello a te stesso: i buoni mai

non fur senza nemici, e tu ne hai dunque.

E giurerei che un sol non è tra loro                                  395

cui tu degni, non dico accarezzarlo,

ma non dargli a veder che lo dispregi.

Rispondi.

MARCO

È ver: se v’ha mortal di cui

la sorte invidii, è sol colui che nacque

in luoghi e in tempi ov’uom potesse aperto                      400

mostrar l’animo in fronte, e a quelle prove

solo trovarsi ove più forza è d’uopo

che accorgimento: quindi, ove convenga

simular, non ti faccia maraviglia

che poco esperto io sia. Pensa per altro                          405

quanto più m’è concesso impunemente

fallire in ciò che a te; che poche vie

al pugnal d’un nemico offre il mio petto;

che me contra i privati odii assecura

la pubblica ragion; ch’io vesto il saio                               410

stesso di quei che han la mia sorte in mano.

Ma tu stranier, tu condottiero al soldo

di togati signor, tu cui lo Stato

dà tante spade per salvarlo, e niuna

per salvar te... fa che gli amici tuoi                                  415

odan sol le tue lodi; e non dar loro

la trista cura di scolparti. Pensa

che felici non son, se tu nol sei.

Che dirò più? Vuoi che una corda io tocchi,

che ancor più addentro nel tuo cor risoni?                       420

Pensa alla moglie tua, pensa alla figlia

a cui tu se’ sola speranza: il cielo

dié loro un’alma per sentir la gioia,

un’alma che sospira i dì sereni,

ma che nulla può far per conquistarli.                              425

Tu il puoi per esse; e lo vorrai. Non dire

che il tuo destin ti porta; allor che il forte

ha detto: io voglio, ei sente esser più assai

signor di sé che non pensava in prima.

IL CONTE

Tu hai ragione. Il ciel si prende al certo                           430

qualche cura di me, poiché m’ha dato

un tale amico. Ascolta; il buon successo

potrà, spero, placar chi mi disama:

tutto in letizia finirà. Tu intanto

se cosa odi di me che ti dispiaccia,                                 435

l’indole mia ne incolpa, un improvviso

impeto primo, ma non mai l’obblio

di tue parole.

MARCO

Or la mia gioia è intera.

Va, vinci, e torna. Oh come atteso e caro

verrà quel messo che la gloria tua                                   440

con la salute della patria annunzi!

FINE DELL’ATTO PRIMO

ATTO SECONDO

SCENA I

Parte, del campo ducale con tende.

MALATESTI e PERGOLA

PERGOLA

Sì, condottier; come ordinaste, in pronto

son le mie bande. A voi commise il Duca

l’arbitrio della guerra: io v’ho ubbidito,

ma con dolor; ve ne scongiuro ancora,

non diam battaglia.

MALATESTI

Anzian d’anni e di fama,                5

o Pergola, qui siete; io sento il peso

del vostro voto; ma cangiar non posso

il mio. Voi lo vedete; il Carmagnola

ci provoca ogni dì: quasi ad insulto

sugli occhi nostri alfin Maclodio ha stretto:                      10

e due partiti ci rimangon soli;

o lui cacciarne, o abbandonar la terra,

che saria danno e scorno.

PERGOLA

A pochi è dato,

a pochi egregi il dubitar di novo,

quando han già detto: ell’è così. S’io parlo                      15

è che tale vi tengo. Italia forse

mai da’ barbari in poi non vide a fronte

due sì possenti eserciti: ma il nostro

l’ultimo sforzo è di Filippo. In ogni

fatto di guerra entra fortuna, e sempre                             20

vuol la sua parte: chi nol sa? Ma quando

ne va il tutto, o Signore, allor non vuolsi

dargliene più ch’ella non chiede; e questo

esercito con cui tutto possiamo

salvar, ma che perduto in una volta                                 25

mai più rifar non si potria, non dèssi

come un dado gittarlo ad occhi chiusi,

avventurarlo in un sì piccol campo,

e in un campo mal noto, e quel che è peggio

noto al nemico. Ei qui ci trasse: un torto                          30

argin divide le due schiere: a destra

e a sinistra paludi, in esse sparsi

i suoi drappelli; e noi fuori de’ nostri

alloggiamenti non teniamo un palmo

pur di terren. Credete ad un che l’arti                             35

conosce di costui, che ha combattuto

al fianco suo: qui c’è un’insidia. Forse

la miglior via di guerreggiar quest’uomo

saria tenerlo a bada, aspettar tempo,

tanto che alcun dei duci ai quali è sopra                          40

prendesse a noia il suo superbo impero;

e il fascio ch’egli or nella mano ha stretto

si rallentasse alfin. Pur, se a giornata

venir si deve, non è questo il loco:

usciam di qui, scegliamo un campo noi,                           45

tiriam quivi il nemico: ivi in un giorno,

senza svantaggio almanco, si decida.

IL CONTE DI CARMAGNOLA

MALATESTI

Due grandi schiere a fronte stanno; e grande

fia la battaglia: d’una tale appunto

abbisogna Filippo. A questi estremi                                50

a poco a poco ei venne, e coi consigli

che or proponete: a trarnelo, fia d’uopo

appigliarci agli opposti. Il rischio vero

sta nell’indugio; e nel mutare il campo

rovina certa. Chi sapria dir quanto                                  55

di numero e di cor scemato ei fia,

pria che si ponga altrove? Ora egli è quale

bramar lo puote un capitan; con esso

tutto lice tentar.

IL CONTE DI CARMAGNOLA

SCENA II

SFORZA, FORTEBRACCIO, e detti.

MALATESTI

Ditelo, o Sforza,

e Fortebraccio; voi giungete in tempo:                             60

ditelo voi, come trovaste il campo?

Che possiamo sperarne?

SFORZA

Ogni gran cosa.

Quando gli ordini udir, quando lor parve

che una battaglia si prepari, io vidi

un feroce tripudio: alla chiamata                                      65

esultando venièno, e col sorriso

si fean cenno a vicenda. E quando io corsi

entro le file, ad ogni schiera un grido

s’alzava; ognuno in me fissando il guardo

parea dicesse: o condottier, v’intendo.                            70

FORTEBRACCIO

E tai son tutti: allor ch’io venni a’ miei,

tutti mi furo intorno. Un mi dicea: