— Sa una cosa? — disse Mary. — Ha anche l’aspetto adatto. Ha l’aria dello studioso.
— Mi pare che così basti — disse lui, inginocchiandosi per raccogliere la legna.
— Posso aiutarla? — chiese lei.
— No. Non ne occorre molta, per preparare il tè.
— Edward, lei cosa pensa che troveremo? Che cosa stiamo cercando?
— Non lo so, Mary, e non credo che lo sappia nessuno. Sembra che non ci sia una ragione per la nostra presenza qui. Nessuno, credo, ci vuole veramente. Eppure eccoci qua, noi sei.
— Io ci ho pensato molto — disse lei. — Questa notte quasi non ho dormito, per pensarci. Qualcuno ci vuole qui. Qualcuno ci ha mandati qui. Non abbiamo chiesto noi, di venire.
Lansing si rialzò, stringendo il mucchio di legna che reggeva con il braccio. — Non preoccupiamoci troppo. Per il momento. Fra un giorno o due, forse, ne sapremo di più.
Risalirono la strada. Jurgens stava salendo il pendio a grandi passi, con quattro borracce appese alla spalla.
— Ho trovato una sorgente — disse. — Avreste dovuto lasciarmi le borracce. Ve le avrei riempite.
— La mia è quasi piena — disse Mary. — Ho bevuto appena un sorso.
Lansing si mise all’opera per accendere il fuoco mentre Jurgens versava l’acqua in un bricco e piantava per terra un ramo forcuto per sospenderlo sopra le fiamme.
— Lei sapeva — chiese il reverendo, fermandosi accanto a Lansing, — che questo robot ha portato una borraccia anche per sé?
— Cosa c’è di male? — chiese Lansing.
— Lui non beve. Perché crede che…
— Forse l’ha portata perché lei e il generale possano avere acqua quando le borracce sono vuote. Ci ha pensato?
Il reverendo sbuffò, irritato e sarcastico.
Lansing si sentì vincere dalla collera. Si alzò e fronteggiò l’ecclesiastico. — Voglio dirle una cosa, e gliela dirò una volta sola. Lei è un piantagrane. E non abbiamo bisogno di piantagrane. Se non la smette, gliela farò pagare. Ha capito?
— Ehi! Ehi! — gridò il generale di brigata.
— E lei — disse Lansing, rivolgendosi al generale, — tenga la bocca chiusa. Si è autonominato capo del nostro gruppo, ma se la cava malissimo.
— Immagino — ribatté il generale di brigata, — che ritenga di dover essere lei, il capo.
— Non abbiamo bisogno d’un capo, generale. Se lo ricordi, quando la sua pomposità minaccerà di sopraffarla.
In un silenzio cupo consumarono il pranzo e bevvero il tè e poi si rimisero in cammino, con il generale di brigata ancora all’avanguardia e il reverendo che lo seguiva a pochi passi.
La campagna ondulata continuò a mostrare gruppi d’alberi. Era un territorio ameno, ma era caldo. In testa a tutti, il generale procedeva a un’andatura più lenta di quella con cui aveva marciato prima che si fermassero a mangiare.
La strada continuò in salita per l’intero pomeriggio, su pendii sempre più alti. A un certo punto il generale di brigata, che aveva un po’ distanziato gli altri, si fermò e gridò qualcosa. Il reverendo si affrettò per piazzarsi al suo fianco e gli altri allungarono il passo per raggiungerli.
Il terreno digradava in una conca, e in fondo alla conca stava un cubo celeste. Anche dall’alto della cresta sembrava una struttura massiccia. Era semplicissimo, senza fronzoli… le facce diritte salivano fino alla sommità piatta. Dalla distanza dalla quale lo vedevano appariva disadorno. Ma le dimensioni e l’intenso colore celeste lo rendevano spettacolare. La strada che avevano percorso fino a quel momento scendeva il pendio sconnesso e accidentato in curve e tornanti. Quando raggiungeva il fondo, proseguiva diritta come una freccia verso il cubo; ma quando vi arrivava, gli girava intorno, su un lato, e poi continuava attraverso la conca e saliva a zigzag il versante opposto.
Sandra proruppe in un gridolino. — È bellissimo! — disse.
Il generale di brigata si schiarì la gola. — Quando il locandiere ne ha parlato — disse, — non ho immaginato neppure per un istante che fosse una cosa del genere. Non sapevo che cosa aspettarmi. Forse una rovina cadente. Ma per la verità non ci pensavo troppo. Pensavo soprattutto alla città.
Il reverendo piegò verso il basso gli angoli della bocca. — Non mi piace.
— A lei non piace mai niente — disse il generale di brigata.
— Prima di esprimere giudizi — disse Lansing, — scendiamo a guardarlo da vicino.
Impiegarono diverso tempo per arrivarci. Furono costretti a seguire la strada perché la pendenza era troppo forte e il terreno troppo infido. Invece, seguendo la strada in tutte le sue giravolte, coprirono parecchie volte la distanza tra la sommità della cresta e la base.
Il cubo sorgeva al centro di un’ampia area sabbiosa che lo circondava completamente, un cerchio di sabbia così preciso che sembrava tracciato meticolosamente da una squadra di geometri… sabbia bianchissima, come quella che si può trovare in un parco giochi per bambini, sabbia simile a zucchero che forse un tempo era perfettamente spianata, ma che il vento aveva ondulato in una serie d’increspature.
Le facce del cubo salivano altissime. Misurandole attentamente, a occhio, Lansing calcolò che dovevano essere almeno una quindicina di metri. Non c’erano aperture, non c’era niente che sembrasse una finestra o una porta; e non c’erano ornamenti, né sculture eleganti, né lapidi commemorative, né simboli incisi che annunciassero il nome specifico della struttura. Visto da vicino, il celeste dei muri risultava immutato… un azzurro chiaro che pareva rappresentare l’innocenza più pura. E i muri erano levigati. Non erano di pietra, si disse Lansing. Plastica, forse, anche se la plastica sembrava incongrua in quella zona selvaggia; oppure ceramica… un cubo di porcellana finissima.
Quasi senza parlare, il gruppo girò intorno al cubo; per un tacito accordo nessuno mise il piede nel cerchio di sabbia che l’attorniava. Quando furono di nuovo sulla strada, si fermarono a guardare quella mole azzurra.
— È bellissimo — disse Sandra, con un profondo respiro che esprimeva uno stupore incessante. — Più bello di quanto sembrasse quando l’abbiamo visto dall’alto. Più bello di quanto si immagini che possa essere qualunque cosa al mondo.
— Sbalorditivo — disse il generale di brigata. — Davvero sbalorditivo. Ma qualcuno ha una vaga idea di quel che è?
— Deve avere una funzione — disse Mary. — Le dimensioni e la massa lo indicano. Se fosse semplicemente simbolico, non sarebbe tanto enorme. E se fosse un simbolo, sarebbe collocato in un punto dove risulterebbe visibile da molto lontano, in un posto molto elevato, anziché essere nascosto quaggiù.
— Non è stato visitato di recente — disse Lansing. — Non ci sono tracce nel cerchio di sabbia che lo circonda.
— Se le tracce ci fossero — disse il generale di brigata, — verrebbero coperte ben presto dalla sabbia spostata dal vento. Anche le tracce recenti.
— Perché ce ne stiamo qui impalati a guardarlo? — chiese Jurgens. — Sembra che ci faccia paura.
— Io penso che forse stiamo qui perché ci fa paura — disse il generale di brigata. — Mi sembra evidente che sia opera di costruttori molto evoluti. Non è un monumento raffazzonato, come avrebbero potuto erigerlo pagani primitivi decisi a rendere omaggio alle loro divinità. Una simile opera, secondo ogni logica, deve essere protetta in un modo o nell’altro. Altrimenti ci sarebbero graffiti scarabocchiati sui muri.
— Non ci sono graffiti — disse Mary. — Sui muri non c’è il minimo segno.
— Forse i muri sono di una sostanza inattaccabile — disse Sandra. — E uno strumento appuntito scivolerebbe senza lasciar tracce.
— Io credo ancora — disse il robot, — che dovremo esaminarlo più da vicino. Se ci accostassimo, forse troveremmo una risposta agli interrogativi che ci poniamo.