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Lansing non andò con il generale e il reverendo. Rimase con Jurgens, che stava provando la gruccia. Il robot era molto impacciato; ma dopo un po’ di tempo, si disse Lansing, avrebbe imparato a destreggiarsi. Cadde due volte e Lansing l’aiutò a rialzarsi.

— Mi lasci stare — gli disse alla fine Jurgens. — Mi mette in agitazione, standomi intorno così, pronto a darmi una mano. Le sono grato per la sollecitudine, ma devo arrangiarmi a modo mio. Se cado, ce la farò ad alzarmi da solo.

— D’accordo, amico — disse Lansing. — Molto probabilmente hai ragione.

Lasciò Jurgens e incominciò a girare intorno al cubo, lentamente, costeggiando la fascia di sabbia. Studiò con attenzione i muri, sperando di scorgere nella superficie qualche commessura, qualche discontinuità significativa. Ma non vide nulla. I muri si ergevano levigati, senza la minima frattura. Sembrava che il materiale fosse tutto d’un pezzo.

Ogni tanto lanciava un’occhiata furtiva a Jurgens. Il robot non se la cavava troppo bene, ma ci metteva molto impegno. Una volta cadde, si servì della gruccia per rialzarsi, e continuò a camminare. Gli altri non si vedevano. Il generale di brigata e il reverendo erano accanto al fuoco a tagliare le pertiche; a volte Lansing sentiva il suono delle lame sul legno. Mary e Sandra, probabilmente, erano dall’altra parte del cubo.

Si fermò a guardarlo, con mille interrogativi che gli turbinavano nella mente. Poteva essere uno spazio per vivere, una casa abitata da una famiglia d’esseri sconosciuti? E adesso erano là dentro, a farsi gli affari loro, e a volte guardavano dalle finestre (le finestre?) per osservare gli strani bipedi frastornati che giravano intorno alla loro dimora? Oppure era un magazzino di conoscenza, una biblioteca, un tesoro di nozioni e di pensieri completamente alieni alla mente umana, anche se forse non alieni in se stessi, le nozioni e i pensieri di un altro ramo della razza umana, di molti millenni più avanzata del mondo che lui aveva conosciuto. Era possibile, si disse. La sera prima lui e Jurgens ne avevano parlato, avevano parlato del divario di tempo che poteva esistere nei mondi alternativi. Da quel che gli aveva detto Jurgens, appariva evidente che il tempo del robot era situato molti millenni più avanti, nel futuro, rispetto alla Terra di Lansing. O forse il cubo era una struttura al di fuori del tempo, intravvista vagamente attraverso il velo nebuloso di un altro tempo e di un altro spazio? Era un’idea che non sembrava molto sensata, poiché il cubo era visibile chiaramente. Era lì, solido e concreto per quanto era possibile desiderare.

Lansing continuò a girare lentamente intorno al cubo. Adesso che il sole s’era alzato, era una bellissima giornata. La rugiada era evaporata, e il cielo era alto e azzurro, senza un ricciolo di nuvole che ne deturpasse la profondità. Il generale di brigata e il reverendo avanzarono verso la strada. Ognuno di loro brandiva una lunga pertica, un arboscello sfrondato. Attraversarono la strada e gli si avvicinarono.

— Ha fatto il giro? — chiese il generale di brigata. — Tutto intorno?

— Sì — rispose Lansing. — Ed è così dappertutto. Non c’è nulla. Nulla, assolutamente.

— Forse, avvicinandosi — disse il reverendo, — è possibile vedere qualcosa che da qui non si scorge. È sempre megliio vedere le cose da vicino.

Lansing annuì. — Questo è vero, — disse.

— Perché non va a tagliarsi una pertica? — chiese il generale di brigata. — Lavorando in tre, l’esplorazione procederà più rapidamente.

— Non credo che lo farò — disse Lansing. — Secondo me, è tutto tempo sprecato.

I due lo fissarono per un momento, poi distolsero gli sguardi. Il generale di brigata disse al reverendo: — Organizziamoci così. Incominciamo a tre metri e mezzo di distanza l’uno dall’altro e battiamo il terreno tutto intorno a noi, sondando con le pertiche in modo che, se c’è qualcosa, attacchi i pali e non noi.

Il reverendo annuì con aria saputa. — L’avevo in mente anch’io.

Si mossero. Il generale di brigata disse: — Procederemo verso il muro e, quando ci saremo avvicinati, ci separeremo. Lei andrà a sinistra e io a destra. Continueremo con prudenza, fino a incontrarci di nuovo.

Il reverendo non rispose. Proseguirono, avanzando lentamente verso il muro e sondando con le pertiche.

E se, pensò Lansing, la cosa o le cose nascoste entro il cerchio di sabbia erano programmate o adddestrate per aggredire un essere vivente che invadeva il loro dominio, e niente altro? Ma non disse nulla, e si avviò lungo la strada, in cerca di Mary e Sandra. Le scorse poco più avanti: stavano girando intorno al cubo tenendosi a distanza di sicurezza dal cerchio di sabbia.

Un grido, alle sue spalle, lo fece voltare di scatto. Il generale di brigata stava correndo al galoppo attraverso la sabbia, in direzione della strada. La pertica che stringeva in mano era tranciata a metà. Era stata spezzata nettamente, e l’altro pezzo giaceva sulla sabbia alla base del muro. Il reverendo era immobile, come pietrificato, contro il muro, e girava la testa per guardare il generale in fuga. A destra del generale qualcosa guizzò emergendo dalla sabbia, così rapido che era impossibile vedere che cosa fosse, e l’altra metà della mezza pertica che il generale stringeva in mano volò nell’aria, stroncata di colpo. Il generale di brigata lanciò un urlo di terrore e gettò via l’ultimo troncone di pertica. Con un lungo balzo, superò gli ultimi metri di sabbia e piombò sulla superficie erbosa, tra la sabbia e la strada.

Mary e Sandra accorsero per raggiungerlo, mentre il reverendo, paralizzato, restava rigido accanto al muro.

Il generale di brigata si rimise in piedi e si spolverò la tunica. Poi, come se avesse dimenticato l’accaduto, assunse quella solita aria di impettita solennità militare, attenuata da una regale noncuranza, che era il suo atteggiamento abituale.

— Mie care — disse alle due donne mentre si fermavano davanti a lui, — posso dire che là c’è una forza in agguato.

Si voltò e chiamò il reverendo, a gran voce, con un tuono da parata militare.

— Torni indietro — gridò. — Si volti e torni indietro lentamente, continuando a sondare. E stia attento a seguire lo stesso percorso che ha fatto all’andata.

— Ho notato — disse Lansing — che non è stato altrettanto meticoloso nel seguire il suo percorso precedente. Per così dire, si è lanciato su un terreno nuovo.

Il generale di brigata l’ignorò.

Più avanti, sulla strada, Jurgens s’era girato e stava tornando indietro. Si destreggiava un po’ meglio con la gruccia: aveva imparato a muovere la gamba irrigidita, ma camminava ancora lentamente.

Il generale di brigata chiese a Lansing: — Ha visto quel maledetto coso, quando ha attaccato la seconda volta?

— No, non l’ho visto — rispose Lansing. — È stato fulmineo. Troppo veloce per poterlo vedere.

Il reverendo era ritornato indietro lungo il muro e si stava avviando lungo il percorso che aveva compiuto nell’avvicinarsi: usava con impegno la pertica per sondare ogni spanna del terreno.

— Un uomo in gamba — disse il generale di brigata in tono d’approvazione. — Esegue bene gli ordini.

Rimasero a guardare il reverendo che procedeva lentamente.

Jurgens li raggiunse e si fermò accanto a loro. Il reverendo arrivò alla strada. Senza cercare di nascondere il sollievo, gettò via la pertica e si accostò.

— E adesso che abbiamo finito — disse il generale di brigata, — dovremmo tornare all’accampamento e riorganizzarci meglio che possiamo.

— Non si tratta di riorganizzarci — disse il reverendo. — Si tratta di andarcene. Questo posto è pericoloso. Ben difeso, come lei ha scoperto a sue spese — disse, lanciando un’occhiata al generale di brigata. — Penso che dobbiamo andar via. Non ho nessuna intenzione di fermarmi. Propongo di proseguire immediatamente verso la città, e vedere che cosa ci troveremo. Un’accoglienza migliore, mi auguro, di quella che abbiamo ricevuto qui.